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Difference between revisions of "Achille Marozzo/Fifth Book"
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BOOK 5
The following is the fifth book of the occurring cases in single battle; |
LIBRO QUINTO
Seguita il quinto libro de gli occorrenti casi nelle singulari battaglie, | |
che gli armigeri cavalieri faranno, se da antiqui exempli & autorità de eximii juris consulti o serenissimi Imperatori o altri predecessori nostri se governaranno e se per constitutione d’armi, consultata deliberatione de espertissimi combattenti, con aprobatione de’ vetusti martiali, se reggeranno, non postergando le fideli historie di veridichi & approbati autori. | ||
Capitolo 186. Of the challenge to combat. | Cap. 186. Del modo della disfidancia del combattere.
In prima vederemo in quale modo se vorrà dare la disfida da uno armigero a l’altro, per segno de combattere conforme alla difirentia; onde dico che retrovandose, per distantia de loco, l’armigero dall’altro separato, volendo dare la disfida per volerlo per nemico pronontiare, disfidare, dico che per precetto militare se ha da mandare el pegno dal requisitore per officiale de armi, cioè araldo o trombetta, una littera, per signale de pegno di battaglia, overo altra armatura; però comunamente se soleva mandare uno guanto, per essere armatura dignissima posta in defensione e guardia de la mano destra, senza lo quale guanto non poteano habilmente adoperare lo esercitio della spada & retrovandosi la mano nuda & despogliata dal guanto ch’è la sua armatura, senza fallo però, suspetta, non potrà securamente combattere senza timore de incorrere detrimento & danno; per la quale cosa quello el quale pigliarà tale segno per pegno de battaglia, o lettera, totalmente serà obbligato de combattere con lo richiedente & tenuto elegere el luoco, le armi e ‘l giudice; & in caso che recusasse accettare la lettera o altro, doverà lo officiale portator de quella lassarla in quello luoco dove se trova havere fatta la richiesta, in presenza del provocato, dal quale si fosse dinegato per scuse, overo fintioni, d’accettare il combattere; allhora quello il quale havesse rechiesto haveria luoco de pentirse & restaria in sua libertade se non volesse seguire la rechiesta, quando per lo desfidato se trovasse essere stata recusata & non havere accettata la battaglia; quantunque lo disfidatore si potesse, senza astringimento de institutione militare, in tale caso pentire, non li saria però honore, anzi gran carico, mostrando la sua richiesta essere stata più calunniosa che iusta, ma volendo el requisitore stare ai suoi propositi & deliberandose seguire, potrà procedere, contra al rechiesto, quella, senza ocagione legitima & senza iusta causa recusando la impresa, non havere accettata la disfida, per la quale per stillo de cavalleria, quando senza iusta causa recusasse accettare & defendere il suo honore & fama, haverà incorsa la infamia grande & meritaria iustamente essere portato dipinto & con altri modi infamatori contra de lui procedere se potrà, come se costuma per quelli che disfida, iusta la convenientia, da tale armigero recusata ad defendere lo honore, sì come apresso difusamente vedremo. | |
Capitolo 187. What qualities are sought for in singular battle. | Cap. 187. Delle qualità che si ricercano in le singulare battaglie.
Seria cosa inconveniente che, volendo seguire la incommenciata materia, lassasse de dire siccome sono cinque le cose le quale alla battaglia da persona a persona se recercano, inanci che a quella se pervenga, come che per lo Imperatore se trova essere stato amaestrato. Messere Baldo da Perossa, Dottore de leggie, simile sententia, trovandosi alla desputa in Bologna, confermando disse: la prima è ch’el provocato sia sospetto overo disfamato del delitto & mancamento qual per lo requisitore se trova imposto; la seconda che quella infamia non si possa provare nè mostrare per testimonii degni di fede; la terzia ch’el provocato sia de conditione equale overo magiore de quello che vorrà richiedere, atento che seria cosa iniusta & non condegna che uno homo da poco possesse uno magiore di le battaglie provocare, facendosi a lui equale & perchè non è licito al minore in tal dignità montare de combattere col maggiore & per tal cagione la equalità degli stati se recerca; la quarta che la causa perchè se move alla battaglia sia personale & non sia differentia civile de robe, ma sia de delitto o causa criminale conveniente alla persona: la Lombarda legge vole e promette de robba denegata iustamente si possa combattere, come più distintamente appresso vederemo; la quinta & ultima cagione è che della differentia per la quale è causata la battaglia non habia la corte iudiciale avuta notitia, perchè essendo andato al iudice della publica Corte & non havendo provato quello che apponeva, non se potria più pervenire a le arme, nè al giudicio militare, sì come Federico Imperatore scrive alla sua constitutione; & in queste diverse consuetudini, quantunque per lo mondo se trovano, niente di meno il delitto manifesta non havere loco tale bataglia, attento se non recercasse prova alcuna, essendo per lui medesimo provato per l’autorità della cosa, reservando s’el provocato allegasse havere iustamente el suo delitto adoperare & quello in battaglia se disponesse per la sua causa più manifestamente iustificare, alhora per battaglia se potria provocare, se la scusatione fusse vera; dilchè appresso mostraremo che havendo uno in publico loco amazato uno armigero & allegando iustamente haverlo amazato per sua defensione o per altra iusta occasione, combattere se potria, per dimostratione di tal defensione & haverlo con giustitia fatto. | |
Capitolo 188. If single battle by one person to another are permitted by justice, and reasonable. | Cap. 188. Che dice se le singulare battaglie da una persona a una altra sono permesse per iustitia & ragione.
Volendo ordinatamente seguire el nostro incomenciato preposito, l’è di bisogno principalmente declarare si li duelli, cioè el combattere da persona a persona, son promessi da la Christiana Religione o veramente prohibiti; e questo havemo da considerare tutti li tempi passati, da etade in etade. E primo sì come David Re per divina inspiratione combattere con Golia, dappoi venendo la lege Civile, permesse per vedere lo esperimento della virtù de l’animo & exercitio militare & per sollazzo, pompa, gioco del mondo; dopo, venendo la legie Longobarda, volse che in certi casi quali diremo apresso se potesse combattere; dopo, la legge Civile nella sequente etade lo prohibiva, salvo se licentia dalli principi non s’havesse e questo fu uno longo tempo observato per consuetudine, specialmente in Franza, nella Magna; dopo, la Decretale prohibì tale consuetudine expressamente, la quale prohibitione non troppo lontana è seguita & constitutione in questo regno, vedendo ogni duello reservando in crimine lege maiestatis & in homicidio clandestino, che vuol dire occulto; et Re Carlo lo prohibì per due sententie; & in questa nostra età per consuetudine se observa con moderatione de li Principi, li quali hano da vedere se la causa è iusta & se altramente che con la spada se può provare o provedere & se li casi per li quali la tal battaglia se recerca, offendendo lo honore in grande importantia, quando niuna di queste cagione nella querela apparesse, vuol la lege Canonica che in niun modo si permetta lo combattere, per lo peccato che gli incorre & per vedere la perditione de l’anima; & Santo Augustino & Hisidoro dicono che questi duelli sono crudelitate vane & stultamente trovate per homini vitiosi, in fatti de instigatione diabolica & quelli li quali presumeno tali nephandii essarcitii adoperare, manifestamente negano Iddio & fanno contra lo divino comandamento & in caso che li duelli se riprobasseno, la prova & la consuetudine che inducono a mettere in niuno modo sono da seguire, come se fussero d’ogni ragione & ribelli dello imperio di Dio & contra la divina giustitia; onde per tale cagione nel regno nel quale era constitutione che permetteva li duelli, fu per Papa Honorio reprobato & per questo diremo non son da dovere essere adoperati per giustitia, eccetto quando al Principe o al Re, alli quali è concesso la potestà di permettere le battaglie giuste et universali, paresse doverse fare; però non lo potranno fare senza peccato permettere, ma per consuetudine Mosè osserva, con licenza del Principe prudente, farse ove li parerà; et leggesi in una antica Cronaca di Giovan Villano, che essendo guerra infra Re Carlo et il Re Pietro di Ragona per la differentia della Sicilia, qual’è terra della Ecclesia Romana, Papa Martino con tutto ‘l collegio de’ Cardinali permesse che quelli dui Re dovessero combattere da solo a solo, over con cento Cavalieri per parte et ch’el regno fosse del vincitore, come appresso narraremo; & che li Re et Imperatori possano permettere le battaglie per autorità del Decreto, si prova che la battaglia è giusta & permessa da giustitia divina & per questo è ragionevole che ‘l Principe può giudicare & manifestare battaglia contra i disobbedienti; & dice più che ‘l Principe che permette et induce la battaglia giusta, lo fa in virtù di Dio, anchora che morte ne possa seguire, et per volontà di Dio, che dice “Io occiderò per mia volontà, ogni anima farò vivere”; et per questo più diffusamente in un altro luoco ho scritto, producendo molte autorità, et di sopra habbiamo scritto; et perciò al giudicio del Papa et della Ecclesia Romana et della Catolica Fede mi rimetto. Però si vede l’antica consuetudine osservare da ogni gente et per la Ecclesia Romana havendone conscienza et tollerato per li Principi mondani et più per l’Imperatori, li quali per la superna potestà permetteno tale battaglia con giuste cause, le quali con stillo di religione si adoperano, chè giurano li pugnatori di osservare tutto quello che prometteno; & non si permetteno tali battaglie se non per gran terrore & per conservatione della militare disciplina et per ritrovare la verità, dandosi gran punitione a quello che contra giustitia combatte, quale ingiusto combattitore fra tutta la Cavalleria si riprova & dasse per infame; & sì come vogliono le leggi de gli Imperatori, la militia si debbe osservar con grande honestà & virtute & osservatione delle cose pubbliche & con religione & punitione de i militari, perchè con giustitia grande fra li disfidati si debba combattere, come habbiamo detto. | |
Capitolo 189. Encounter of his person with another person. | Cap. 189. De quale conditione doverà essere quello il quale vorrà intrare nelli singulari abatimenti de sua persona con altra persona.
Volendo seguire nel mio cominciato scrivere nelle arte militari circa le particulari battaglie da persona a persona, necessaria cosa serà prima fare mentione qual conditione è oportuna a quelli che si disponeno in tale exercitio intrare; onde dico che coloro che vorrano exercitarsi in li fatti militari debbano prima considerare la causa della loro impresa e pigliare salubre consiglio nel intrare del combattere, a tale che de quella al fine possa con honore facilmente rimanere vincitore con la sua salute, perchè nelle armi nulla robusta fortezza senza prudenza può essere vincente; dapoi diremo che ‘l buono combattitore debbe essere longo tempo, nelli fastidiosi sudori & nelli supportabili freddi, exercitato & sotto lo peso de l’armi havere indurati li suoi valorosi membri, in modo che da fame, da vigilie e da tutti altri disasi che soleno comportare nel seguire de l’armi non pigli rincresimento alcuno, anci così armato come disarmato, trovare el corpo disposto a mostrare l’ardire de l’animo verso lo nimico, in modo che sia veterano & non novitio, come nella legie imperatoria è notato; & Vegetio de Re militare C. 24. dice che el buono combattitore studioso ne le arme dovrebbe essere esperto de l’arte della scrima, senza la quale attamente non potria tirare la spada contra del nimico, quale è necessaria continuamente nella guerra essercitarse. Onde Cassiodoro dice in una sua Epistola che l’animosità et feroce combattere per longa pace diventa vile e lo conflitto che per tempo se dimenticha, la nova battaglia li dà terrore: per questo debbia essere assiduo nel combattere, senza nessuno intervallo, chè altramente niuno in quello potrà havere ferma fiducia di contrastare; più, dice Cassiodoro, che l’arte de l’arme, se non se esercita, non se può havere quando è necessario; Cesare dice che gli armigeri che hanno posposta la militia, nello pigliare de l’arme seranno armigeri novitii, adonque nel tempo di pace non si doveria con ocio trapassare, anzi si debbe ne l’armi essercitarsi, così come in guerra si ritrovasse. Cassiodoro in un’altra epistola dice che l’armigero debbe l’animo sollevare et allevarse ne l’arte de la battaglia, di modo che se non era esercitato in quelle, haverà poca speranza nello bisogno essercitarse; la legge imperiale ordina che ‘l tribuno preposto alla militia debbe fare essercitare li comilitoni nell’armi, quando in ocio si ritrovano, perchè l’humana natura, lungo tempo in quiete nutrendosi, muta la sua virilità acquistata per disciplina; Vegetio un’altra volta dice la militia conservarsi per spesso essercitarla e più giova l’uso della battaglia che la valida fortezza, chè cessando l’essercitio de l’arme non serà differenza da un armigero ad uno effemminato; et Santo Hieronimo in una Epistola dice ch’el corpo assuefatto a delicate vesti male agevolmente comporta al peso della corazza, per questo di debbe astenire dal premio quello che non è disciplinato & instruito nello essercitio d’armi, da li quali debbe havere domati li membri, chè chi ha molle coperte de delicate carni combattendo con armigeri veterani serà facilmente superato: debbe essere tanto essercitato il comilitone sotto l’armi che così armato come disarmato si mostri aiutante; Tullio dice che l’huomo soldato che ne l’armi non è essercitato, dentro una squadra veterana mostra essere donna; e Santo Hieronimo dice che l’homo armigero debbe cercare sempre la cagione per la quale possa mostrare le virtù del suo invitto animo et quello il quale desidera premio dimostra le ferite per ornamento. Quintiliano dice che ‘l buono combattitore ricusa l’estivo ardore, nè mai al freddo tempo di veste infoderate si copre: adonque quelli che sono nutriti in delitie male potranno portare le gravose armi; quelli li quali non havranno sparso sangue da lor persone, dando & pigliando rigide ferite, non è verisimile da tali si possa sperare vittoria, chè quando combattendo quella conseguissero, più alla divina gratia che alla lor virtù se potria attribuire, di chi per militare disciplina è ordinato il tempo longo; aquelli che vorranno intrare in liza a combattere ad oltranza si debbon esercitare con li altri cavalieri et in sì fatti Cavalieri & in sì fatti essercitii preparare lo ingegno et disponere le forze, fortificare l’animo, temperare li membri, in modo ch’al fatto virilmente si dimostri, guardandosi da l’insidie del nimico aversario, pigliando veterano consiglio; chè Salamone dice nelli Proverbi lo consiglio essere necessario nella battaglia; & Seneca dice che la longa preparatione del combattere dà ferma speranza di lieta vittoria, adonque è di necessario prepararsi e con prudentia seguire & armarsi, quanto al Cavalliere, di arme necessarie offensive et diffensive, pensare a tutte le specie d’offese che dal nimico si potesseno operare, nè estimare tanto sua propinqua forza, quanto nello officio della prudentia; & perchè dice Egiccio, de bello iudaico, che la prudentia assai vale ne l’armi e la fortezza senza prudentia è temerità, però si debbe esperimentare ben inanzi che alla spada se provenga, debbesi ogni timore dell’animo togliere e cacciare; perchè dice Salamone nei Proverbi che ‘l timore è causa di cadimento e Sallustio nel Catilinario dice quello havere maggior pericolo nella battaglia che più teme, chè l’audatia è muro al combattente; Seneca dice nelle Tragedie: “peggio è il timore nella battaglia ch’essa battaglia propria”. Onde concludendo, dico che con fortezza e con prudentia se ha da intrare e da uscire da ogni pericoloso periglio, nè debbe essere tanto il combattitore da l’armi aggravato che ‘l corpo resti impedito. Leggesi di David che volendo andare a combatter con il gigante Golia e deponere la imposta corazza, se ritornò dicendo che più impedimento che aiuto li dava. Onde disarmato combattendo rimase alfine vicitore; però tutto il corpo debbe esser come vuole Platone & Tullio, sempre con l’animo invitto, sperando in la divina gustitia combattere et, estimando l’inimico, proveda & ripari all’astutia di quello con animosa fortezza, speri fermamente esser vincitore senza suspicione de perdere, sempre se refreschi le forze nel combattere: seguendo la battaglia animosamente restarà con vittoria. | |
Capitolo 190. As in certain place, and times fighting one person with another is prohibited. | Cap. 190. Come in certi luochi e tempi il combattere da una persona a una altra son prohibite.
Et seguendo, se ha da sapere che molte volte il combattere da persona a persona seranno ingiuste per ragione della prohibitione del luoco, chè volendosi adoperare in luogo sacro religioso & propinquo in sacro tempo, per iustitia non serà permesso; & oltra a questo per la prohibitione del tempo che ne li giorni solenni de festività in honore de Dio & quando non ci intervenisse iusta causa o quando non combattessero a defensione del proprio honore o per diffesa de la patria, o quando combattessero per giusta querella, de li quali diremo appresso, che tali casi, lochi e tempi combattessero, peccaria mortalmente, come quei che diffendon la prima iniustamente, perchè il vigore & honestà della giustitia è grande, in tanto che essendo un huomo giustamente condennato a morte, se rompendo le carceri fuggisse per non esser giustitiato, violando la gustitia mortalmente peccaria; sono ancora questi tali abbattimenti per divina legge a gli ecclesiastici prohibiti, che sono dati tanto per cagione de loro quanto per aliena ragione combattere. Ancora nelli terreni & possessioni ecclesiastici, quali possedono per recuperatione & sostenimento delli ecclesiastici, non si ponno operare, quantunque la legge Longobarda voglia che le persone ecclesiastiche per ricuperatione delle cose occupate all’Ecclesia possano per Campione far combattere. Ma questo reprova espressamente il Decretale dal Papa fatto, qual reprova ogni legge e contraria observatione. | |
Capitolo 191. As the case of singular battle must be, and constitution of the arms so indicated by imperial law. | Cap. 191. Come li casi delle singulari battaglie debbeno, e constitutione d’arme se iudicano per imperiale legge.
Non si debbe lassar de dire se nelle controversie di battaglie succedeno casi dubbiosi nelli singulari abbattimenti duelli, dove non fusse stillo di arme, osservatione, constitutione de militia, iudicare si doverà per legge imperiale, overamente civile, perchè gli armigeri le più delle volte soleno tal giudicio recusare, cioè determinatione de le leggi imperiali, havendo tra lor comune proverbio che la legge et la iustitia solamente consiste ne l’armi et che la spada si dà per libello, et a coloro che tenendo le armi se danno quello che per iustitia di non darse se potria negare; et Valerio Maximo disse che intra li strepiti de l’armi non se possono intendere le voci di ragione Civile; & quantunque loro pretendeno di non se dovere seguire la legge Civile, nè le loro militari & dubbiose differentie, overo cause, senza dubbio grandemente errano, perchè in tale legge se fa mentione de tutta la militare disciplina & li cavalieri armigeri sono tutti iudicati per li Imperatori, per li Re, Principi & loro conduttieri, li quali per esperimento hanno la dottrina della militia, del stile & constitutione che in armi se sogliono e debbeno osservare; però communamente si reggono per legge scritta, intravenendoli casi ne l’armi dubbiosi, ricorrere alli officiali de armi, overamente alli loro Capitani, li quali iudicano lo vedere de loro intelletto et giudicij, per la qual cosa rare volte se accordano in una medesima sententia & determinando senza ragione naturale, quando per essempli & quando per loro arbitrio & senza fondamento di cagione, perchè non se fondano in legge scritta; dove mancha lo stile o constitutione de l’arme se ha da ricorrere alla imperiale legge, la quale per cagione non possono in nissun modo refudare che non si debbino per quella iudicare et perchè astringe tale imperiale legge ogni vivente; et gli Imperatori, per voluntà divina a tutte le genti sopraposte, per le quali è stato tramato l’uso dell’armi, approbata hanno et ornata, esaltata la militia, nella quale hanno constitute le leggi, quantutnque primo, sì come di sopra è ditto, da Dio immortale fu ordinato inanzi che nel mondo venisse lo Romano Imperio, lo quale molto ferventemente di continuo le battaglie assercitaro; et perchè li Romani con l’armi prima acquistorno lo Imperio, quale seguendo tutti li Re con arme hanno acquistato e conservato li regni; et è argumento reale che prima l’arme che le leggi se trovassino, le quali dapoi hanno dato con ordine disciplina alla militia, di modo che non saria disconveniente religione appellarla, per i molti giusti precetti che per privilegio nella militia, onde ordinati per conservatione della honestà delli armigeri cavalieri, hanno dato regola, modi, con li quali se debbano li cavalieri in arme reggere & governare et lo imperio per le armi fu detto felicissimo. Attento che con la esercitatione dell’arme inviolabilmente se osservano extrema conservatione le leggi imperiali et li Imperatori per legge et per l’armi conservano lo imperio et per quella sono stati sempre osservati, mantenuti et diffesi in loro imperio e col presidio dell’arme et per li imperatori è stata costituita et ordinata l’arte della militia: con regula et disciplina militare si deve osservare e dando gran privilegio alli cavalieri che in esercitio d’arme si ritrovano, de li quali tutta la legge civile n’è piena; e specialmente Constantino Imperatore donò molti privilegi alla militia et ordinando con quella la legge militare, la quale è contra li cavalieri che non osservano la dottrina et la militare disciplina e contra quelli che commettesseno mancamento nello essercitio militare, overo altri delitti et specialmente quelli che passasseno li comandamenti del loro Capitano, Duca e conduttiero et che non obedisseno lo imperio et potestà di quello o che fussero trasfugitori dell’hoste o che commettesseno latrocini, alienando le arme militare, overo che l’arme militare convertesseno in altri instrumenti o che ne facesseno zappe, aratri o simile artificii, più atti al culto della terra che all’aministration dell’arme adoperare; et però havendo lo Imperatore ordinata l’arte della militia et sopra quella officio per privilegio concesso et fatta la disciplina de la militia per li propri cavalieri armigeri, non se può degnare che non debbano osservare la imperiale legge, perchè da li Imperatori hanno edutto la origine delle arme e de le leggi, autori et inventori se sono trovati, li quali sono di tanta veneratione che lo imperio alle leggi è suggetto et non le leggi allo imperio suggetto se mantengono; et per questa cagione li Cavalieri armigeri sono suggetti allo imperio et debbano essere giudicati per queste, per le quali son giudicati principi mondani et de ciò non se potria dire lo contrario; attento che tutti dui procedeno da fonte imperiale & specialmente da Dio. Dunque io delibero fondare la nostra decisione de stilo de arme per la ragione delle Imperiali leggi et per la causa che tali leggi sono commune ad ogni gente; & che questo sia vero per autorità de li antiqui & per esempio di magiori adoperati, acciocchè se possa fare retto iudicio, ho deliberato provare. | |
Capitolo 192. As these encounters come before if it should be with great justice for the provoker & constrained, by honour for the necessity of defence. | Cap. 192. Come a questi abattimenti pervenire se debbe con gran iustitia del provocatore & constretto dal honore per necessità della defensione.
Per volere declarare con quale modo se debbe pervenire agli abatimenti essendose dato disfida o altro segno che per quello totalmente se habia da combattere, dico che quello il quale vorrà intrare in impresa essendo conscritto per offensione aliena, movere non si debbe legiermente, per disfidare il suo offensore, ma debbe essaminare e naturalmente procedere alla disfida et sopratutto fondarsi alla giustitia, nè debbe tanto sperare nella forza sua quanto nella ragione; perchè dice Salomone che le armi non si debbon senza consiglio pigliare; & la legge dice che non si può lodare la fortezza dell’huomo senza giustitia & gli abbattimenti die esser parte di religione; & Alessandro in libro di buon operatore dice che Dio è propitio a colui che si muove con giustitia nel battagliare, che di fermo può sperare essere l’istesso Iddio essergli aiutatore; & i Cavalieri che con ragione combattono, senza dubbio più animosi si ritrovano et essendo senza giustitia provocati mostrano più utilità, & serà all’opposto adoperato per coloro che credono iniustamente combattere, chè sempre Iddio per suo adversario trovano: havendone questa sola sospettione di combattere al torto, senz’altra paura facilmente con morte loro seranno superati. Dice ancora sia Alessandro che l’Imperatore, provocatamente & non volontario alla battaglia si debbe condurre, cercando sempre cose giuste & quando se le vedesse dinegare, non potendo comportare l’iniquità, debbesi al Signore Iddio & a gli huomini protestare prima che venghi alla battaglia, dicendo a quella contra il suo volere esser condotto, non per altrui detrimento, ma per la sua giustitia diffendere; & Livio dice nel primo libro Ab urbe condita, che le battaglie si debbano fare con religione & protestatione & non per usurpar la roba d’altrui, ma per la sua propria ragione conseguire, dove seguita che quelli sogliono di continuo vincere, entrano nella battaglia per favorire la giustitia & in caso che ‘l contrario intravenisse, dice lo Decretale che per gli altri peccati vengono li bisestri & l’adversitade; & Propertio dice che chi ha iusta causa de combattere sempre li cresce le forze et quelli che contra giustitia combattono gli intraviene il contrario, chè si debbilitano lor forze: adonque, havendo provato come si debbe andare alla battaglia con giustitia e non spinto da ira, invidia o da perversa volontà, dico che tanto precetto debbe esser osservato da giustificare; & dice Livio in lib. 7 Ab urbe condita, c’havendo un gentilhuomo franzese di gran forza volontariamente provocato Marco Valerio, gentilhuomo romano, fu il Franzese dal ditto Valerio superato, intravenendoci uno prodigio, cioè male segnale, da uno corvo che venne dall’aere in favore del gentilhuomo Romano; similmente Manlio Tusculano, havendo volontariamente in battaglia personale Tito Manlio provocato, fu da lui morto et superato; et Plinio dice ancora lui che havendo un altro Franzese provocato il predetto Tito Manlio, similmente il Franzese fu da quello superato et vinto, con il Re Ferece ancora. Et Livio similmente dice in secondo bello punico, che provocando Iubileo Tarantino Claudio Afelio, fu da lui vinto fuggendo; et così scrive di Badio Campano provocante Crispino, il quale non solamente lo superò, ma ancora le arme gli spogliò; et Giustino riferisce di Alessandro Magno che superò il Re Poro suo provocatore; et il più delle volte quelli che volontariamente et senza necessità di diffendere il proprio honore richiedeno restano perditori, perchè tentano Dio come dice lo Decretale; et per questo sogliono li costumati & discreti Cavalieri continuamente dire che vanno alla battaglia per sostenere & diffendere la lor giustitia, chiaramente se conoscer possono audacemente dire quello che dicono, volendo provare & mantenere & ponerlo con la spada in vero & esser falso per contrario quello che del compagno è opposto; & per questo si deve ogni offensione & diffensione nella giustitia fondare, in modo che pigliando giusta impresa, di perdita non li sia la cagione; & dico che quelli li quali vorranno combattere debbano orare secondo la lor credenza: haveranno giustitia, per la diffensione della quale, al combattere, se sono condotti senza calonnia & allhora conosceranno Dio & li pianetti celestiali dare favore alle armi che con giustitia sono pigliate & per contrario disfavorire iratamente quelli li quali ingiustamente nel pigliare della impresa si conducono: come spergiuri calonniatori & Cavalieri di mala conditione li condannano. | |
Capitolo 193. If clergymen can ask permission to contend in land of the Roman Ecclesia or in Ecclesiastical possessions. | Cap. 193. Se li prelati posson concedere licentia di contrastare nella terra della Romana Ecclesia o nelle possessioni Ecclesiastiche.
Habbiamo da sapere di necessità, per seguire la incominciata materia, se li Ecclesiastici posson concedere luochi dove s’habbiano ad esercitare le battaglie particolari da persona a persona, nelli terreni over nelle ecclesie o nelle città soggette alla Ecclesia Romana; diterminatamente si dice di no, per rispetto che in simil battaglie senza causa è peccato & per vietare gli homicidij che di continuo ci intravengano; & oltra questo gli è un’altra ragione, che non hanno potestà nè auttorità le persone ecclesiastiche d’indurre, nè permettere le battaglie, riservando contra gli heretici ribelli della Christiana religione et contra gli occupatori delli buoni ecclesiastici, over contra alli disobbedienti sudditi al loro imperio & non contra altra persona, riservando quando la giustitia secolare cessasse & fosse occupata la terra della ecclesia Romana: in tal caso potria il Pontefice movere & permettere la battaglia contra dell’occupatore, come se uno Signore occupasse la Romagna o la Marca, ch’è territorio della ecclesia Romana, o altre sua provincie: permettendo battaglia contra di tale Signore occupatore delli beni ecclesiastici, giustamente potrà indurre battaglia da persona a persona. | |
Capitolo 194. How in a battle perons to person divine justice is demonstrated, which is favourable for those that have justice. | Cap. 194. Siccome in battaglia da una persona si dimostra il divino giudicio, quale è propitio a quello c’haverà giustitia.
Quando la battaglia in giudicio militare si causa per conservatione dell’honore di nobili o Cavalieri, si deve fare & diffinire per giudicio d’arme da persona a persona, dove molte volte interviene divino giudicio, trovato per humana et antica consuetudine di cavalleria; & per la legge Lombarda si trova che si debbe fermamente credere in Dio essere aiutatore in tal battaglia della giustitia, & benchè non sempre, pure la maggior parte delle volte se ne vede la esperienza, chè sempre Iddio aiuta la verità et per non esser mai la ragione vincitrice, perchè è incerto et occulto il divino giudicio: per questa ragione non si deve apertamente punire il perditore che serà vinto et superato in tal battaglia, et la pena che per la perdita meritasse, si deve per tale occasione mitigare, come continuamente si vede che molti combattono con giustitia; perciò della lor impresa in battaglia rimangono perditori, quantunque combattono fatto l’ausilio della giustitia & il scudo della ragione adoperano; perchè se ha dato sapere che tal perdita per altro che per infortunio non potrà intervenire causato, per peccati da lungo tempo commessi dal perditore; & per questo dal Decretale notamo un proverbio antico, “peccato vecchio penitentia nuova”: alle personale battaglie & la incertitudine & il dubbio della vittoria è causa, perchè rare volte si trovano duoi armigeri d’animo & di forza eguali, nè ancora simili di prudentia & di peritia di combattere; ancora, molte volte in tale battaglia si perde per difetto dell’arme mal temperate, chè spesse volte una per finezza dell’altra è di maggiore bontà & questa sententia si trova in molte antiche autorità scritte; parlando di questa sentenza, fu di Federico Imperatore, è da maravigliarsi molte volte se il giusto cade in battaglia, perchè sì come di sopra è ditto gli giudicij divini son molto occulti nel combattere, quantunque commune opinione è che quello il quale ha vera giustitia, verisimilmente debbe esser vincitore; & per causa della incertezza della battaglia, vuole la legge che essendo uno accusato di homicidio, quale si disponesse provocare per battaglia la sua innocenza contra il suo accusatore, ancora che da quello sia vinto non merita però esser decapitato per tale homicidio, ma se li debbe tagliare la mano, mitigando la pena ordinaria per lo esperimento, che alcune volte si vede, che perde chi ha ragione; ma di questo appresso più ampiamente diremo. | |
Capitolo 195. As for the judgment of Astrologers in such battles that the victor will be that who will have the planets in the cycle best ordered, which give victory that won’t be hoped for. | Cap. 195. Come per giudicio di Astrologhi in tal battaglie quello serà vincitore che haverà li pianeti del ciclo meglio disposti, li quali danno vittoria che non spererà.
Quantunque habbiamo ragionando ditto che ragionevolmente quello debbe vincere in battaglia particolare da persona a persona che con più giusta causa si muove nel combattere, et perchè fermo & certo teneremo Iddio esser protettore & diffensore della giustitia & della verità; però molte volte secondo il giudicio delli Astrologhi li pianeti superiori, adoperando la loro influenza nelli corpi inferiori, nelli quali dispongono a bene & al male operare & vincere & perdere, per gli aspetti & congiontione di lor proprietà & per loro oppositione muovono li corpi humani, sì come vuole Aristotile; & son di tanto potere li pianeti celestiali che muovono le anime degli huomini, mutando le lor complessioni dando buona & mala influenza agli huomini più in un luoco che in un altro, secondo l’aspetto & moltitudine delle stelle, le quali alcuna volta danno la vittoria a quelli che non la sperano conseguire; & imperò se uno armigero moverà battaglia un’hora che il suo ascendente fosse nella settima casa, la quale è casa del nimico & specialmente se la Luna allhora risplendesse sopra il provocato con buona gratia & con buono aspetto, senza dubbio quello che provocasse restaria perditore, ancora che havesse più forza & più potenza dell’armigero accompagnato si ritrovasse, ch’è ‘l suo nimico hoste; & quando quello che muove la battaglia havesse il suo significatore proprio, sarebbe vincitore; & così similmente de gli altri corsi delle stelle & pianeti celestiali, se son bene over male disposti in quello che sopra qualcheduno degli armigeri che combattere vorranno, chè quando fossero egualmente disposti, ad ambedui intravenirebbe che sarebbe equalità nel combattere, facendo ciascheduno bene, overamente sarebbe vincitore colui che havesse più forte costellatione della sua nascita; & secondo gli Astrologhi la vittoria & la infelicità consistono nelle hore & modi havere giustitia o ingiustitia; quantunque dal grande Iddio si moveno tutte le seconde cause, si potria mutare la influenza delli pianeti in bene overo in male di quelli che vogliono combattere; ma non intravenendoci la volontà divina, la vittoria nelle costellationi consiste in loro moti, quali son d’attendere, perchè li animi delli huomini moveno, mancano & augmentano le forze & ingegni humani alle hore destinate. Per tanto dice Alessandro nel libro del buono Imperatore che nelle battaglie si devono havere li Astrologhi per consiglio de l’hore & punti disposti in male & in bene, per seguire lo esercitio in tempo opportuno; perchè lo evento della battaglia solo essere dubbioso, alcuna volta per fortuna interviene la vittoria, alcuna fiata per essere uno più fortunato dell’altro nella battaglia, alle volte, che alcuno si ritrova gravata la conscienza, per la quale li vengono manco le forze & perde l’audacia; molte volte per fortezza et debilità dell’altro interviene, spesso per sospettion di perdere, sì come si suole per proverbio dire “la sospettion fa il caso spesse volte”; ancora per havere l’uno l’altro in altra battaglia superato & vinto, per la quale superatione gli va incontro con maggiore animo & audacia; alcuna volta per sè perde, per haver troppo superbia & l’altro l’audacia modesta; alcuna volta per estimare troppo lo compagno; alcuna volta per essere uno di natura più bellicoso dell’altro; alcuna fiata che uno è nato sotto al pianetto di Marte et l’altro sotto quello di Giove. Tutte queste cose sono da esser notate, perciocchè sono utili & dannose alla vittoria; ma essendo la egualità di fortuna, di fortezza & di celeste dispositione, colui senza fallo serà vincitore che con più giustitia intra nel combattere, chè il grande & Signore Iddio lo inchina a ricevere la vittoria; in molte scritture si trova che da molti cavallieri è stata produtta la battaglia sotto la insegna della giustitia, quantuque ogni vittoria dal medesimo Signore & grande Iddio proceda, sì come nelli Capitoli seguenti più distintamente diremo. | |
Capitolo 196. How trial by arms if by arms is not certain, howbeit it may be in the opinion, that in virtue of God, if the victory is given to whom is unjust. | Cap. 196. Come la prova qual se per forza d’arme non è certa, quantunque sia in opinione che in virtù de Dio se dà la vittoria a chi ha la iustitia.
Di necessità habbiamo da sapere & intendere sì come nella battaglia dove dui solamente intervengono si chiama duello, che vuol dire battaglia de dui; nel qual duello se ha da provare il delitto, che s’oppone contra l’altro per forza d’arme; ma quella prova, dice il Decretale & la constitutione di Federico che non è prova vera, ma più con legittima “divinatione” si potria appellare, attento che col vero non s’accorda, ma più presto spoglia da ogni commune ragione & equità & non consente con alcuna naturale ragione, per rispetto ch’è impossibile dui uguali pugnatori ritrovare, che non venga ad esser l’uno più forte dell’altro o di maggior ingegno o più nell’armi esercitato. Ma perchè li Franzesi & gli Italiani dicono che il più delle volte in tali battaglie suole il divin giudicio dimostrare & perchè quello c’ha ragione di continuo vincere si vede. L’Abbate Siculo dice che cessando la divina dispositione vincerà colui ch’è virile, ingegnoso & gagliardo; et il Salmo dice che’l simile: ad alcuno si può far persuadere Iddio haver cura de gli iniqui & perversi huomini, però per commune opinione si tiene che Dio in tal battaglia mostra la sua giustitia. Gli infedeli tengono & affermano ch’ogni vittoria proceda da Dio & per mostrare di questo la lor ferma oppinione sempre portano, nelli scritti, littere che dinotano non esser vittoria se non quella della qual Dio è donatore; & questo sia vero, in littere Hebree è notato che le vittorie vengon da Iddio; & ciò afferma la legge Imperiale, qual gratie rende Iddio delle vittorie date agl’Imperatori per la divina dispositione; & è sentenza buona che la giustitia dà gran vigore alle battaglie, ma le scritture Longobarde dicono che nel duello sono incerti dello divino giudicio; & dice la legge Canonica & Civile che quelli li quali contrastano in simile battaglie tentano Dio; et Seneca dice nell’ultima Tragedia, che la fortuna di battaglia è sempre dubbiosa et per questo non si deve essere procuratore, ma più presto da altri essere provocato et non senza grande giustitia respondere nel contrastare, come più distintamente appresso diremo. | |
Capitolo 197. When a challenged Knight on the day does not turn up & is maybe reputed to be dead, how to proceed. | Cap. 197. Quando uno delli Cavalieri sfidati nello giorno non comparesse & fama fusse della sua morte, come si producerà.
Intravenendo uno caso che dui Cavallieri si furono disfidati per segno di battaglia di combattere a tutta oltranza, distinando la giornata, et accadendo ch’uno di loro, secondo li patti, armato a cavallo comparesse, disposto con voluntà di seguir la battaglia nella destinata giornata, e l’altro non apparesse nel promesso tempo, con fama da essere di questa vita trapassato, per la qual morte quello il qual fusse comparso in assentia del morto cercasse per giustitia che sententia in suo favore si donasse, volendo del nimico morto così come havesse superato la vittoria reportare, allegando che per timore di non combattere contra la sua possanza, in morte essere incorso; et perchè seria ingiusta tale petitione, si debbe per lo iudice in sì fatto caso prudentemente consultare & diligentemente provedere di uno officiale di arme la causa della infirmità della morte di colui e l’hora e ‘l tempo che s’è infirmato & a che punto morì, imponendo allo officiale commissario che tutto debba a lui riferire; et trovando che per infirmità naturale fusse estinto, attento che la morte naturalmente è commune ad ogni gente & che per voluntà di Dio nella battaglia è stata fatta provisione, per morte del Cavalliero non si deve per lo iudice altra decisione innovare, essendo morto come sopra è ditto di morte naturale; & quando trovasse che morto fusse nella giornata destinata alla battaglia, overo innanzi per piccol spacio di tempo, preparandose al combattere fusse cascato di morte subitanea, senza febre o altro naturale accidente, non ricordando causa per la quale se potesse investigare, che per altro che per suspitione & timore di battaglia fusse morto; alhora attento che il Philosopho dice che la paura de la battaglia è peggio & offende più che la battaglia & molte volte la suspittione fa il caso intravenire, sì come Avicenna, dottore di medicina singularissimo, scrive alla seconda del primo & alla quarta del sesto Della natura, dove tratta delle imaginationi che fanno gran motivi nelli corpi humani & causano gran casi secondo la loro intentione; per questa ragione possibile seria uno per imaginatione de la morte facilmente morire, tanto quanto vicino all’atto de la morte se ritrovasse imaginatione della morte potria seguire il caso & questo per esperienza più volte è stato visto; e cantasi del Re Lancillotto che mandando dui, che contra l’Imperio si erano adoperati, a decapitare, impose che lì fusse menato un altro per terzo, quale non deliberava dopo la paura farlo morire, ove vedendo colui primo li dui decapitare, per timor di sì acerba & infelice vista, sol per imaginarsi della violenta morte si morì. Et tale caso del Gonella, buffone famoso, si narra esser intravenuto senza ferro, solo per imaginatione esser senza febre estinto. Ragionasi ancora di uno prete timoroso & grande dormitore, essendo ben formato, forte, robusto & sano nella persona, intrati circa sei giovani compagni nella camera dove lui solo dormiva, risvegliandolo li denno ad intendere che era in pericolo di morte & che in niuno modo poteva più vivere: mostrandoli l’hostia li disseno per salvatione de l’anima sua si dovesse devotamente communicare, per la quale amonitione et demostratione, svegliato dal grave sonno in siffatto modo, svegliandosi stordito, che doppo la communione della morte ritornando nel dormire, fu cagione che per la falsa persuasione la mattina morto si ritrovò: per la qual morte causata dalli suoi amici che li persuaderno tal fantasie, così come proprio lo havessero ammazzato, gravemente di vita furono puniti; adunque ritornando al nostro narrato caso si potria presumere che ritrovando il cavalliere per promissione obligato in tal giornata a combattere col suo nimico et trovandosi morto vicino al termine de la battaglia senza altro accidente o segno di infirmità naturale, trovandose morto seria coniettura di non essere reprobata, per timore & imaginatione de la morte, temendo la battaglia essere intravenuta; però li armigeri direbbon tal morte essere venuta per divina voluntà, credendo che ‘l morto, perchè si disponea offendere la iustitia & mantenere lo iniusto, esser nel caso cascato & per questo si debbe per il iudice dechiarare per propria scrittura, dare honorevolmente in favore, dando sententia, del vivente: attento che ardito & virilmente alla giornata nella battaglia e comparatione, con le arme deputate, aspettando il suo nimico tutto il dì, qual non è comparso, facendo mentione della morte, alla quale per l’officiale de l’arme è fatta diligente inquisitione come, quale & quando & in che modo è morto, havendo avuto in ciò nel suo consiglio di expertissimi medici & trovato esser morto in piccolo spacio inanzi il termine che alla battaglia si dovea rappresentare, presumendosi solo per immaginatione & timore del combattere esser stato morto, morendo in l’hora propinqua al destinato tempo della battaglia & non per apparere febbre o altro naturale accidente havere adoperato, debbe pronunciare, havendo il vivo comparso al promesso tempo nel loco con le pattuite arme, meritatamente ne dovere l’honore et la vittoria senza cacciar di arme et con virile animo acquistata reprobare, permettendo che vadi fora la liza el vivo, honorato con quelle cirimonie che merita il vincitore, col fausto delli trionfi che si costuma dare a tutti li vincitori di battaglia; et essendo di morte naturale estinto si debbe per lo iudice declarare come assoluto della promessa della battaglia per impedimento della naturale morte et doverse anchor pronuntiare da parte del vivo comparitore, che havendo lui parlato audace et virilmente a satisfare la promessa del combattere contra del suo nimico dandoli honore, sì come quello che ha mostrato la virtù de l’animo, comparendo alla giornata con proposito di mandare a effetto quanto per lui era stato promesso & aspettando non combattendo non è mancato per lui di non farse, ma solo per cagione del caso sinistro del nimico: et posto che uno parente, overo amico del morto, o qualche altro cavalliere gli intervenisse per volere pigliare la querella a difendere, non se potrebbe in quella battaglia renuntiare. | |
Capitolo 198. Which of the challengers will select the arms, judge & place of battle. | Cap. 198. Quale delli disfidati doverà eleggere l’arme, lo giudice & loco alla battaglia.
Resta da intendere qual delli sfidati a combattere doverà eleggere lo giudice et così ancora dell’arme. Onde per volere dare buon precetto, si debbe accortamente in ciò considerare che ‘l requisitore habbi dal principio arbitrio & potestà di potere eleggere per la sua querella la via dell’arme, volendo mostrare con la spada quello che con altra prova non potesse provare et provocando lo nimico a combattere con lui da persona a persona li potria il provocato respondere che in caso che se sentisse da lui essere offeso, dovesse al suo giudice competente andare et giudicialmente giustitia domandarli, che li responderia; et havendo il requisitore facultà per diritto di arme di poter dimostrare la giustitia con le arme et con sua autorità potere tirare et constringere lo richiesto alla personal battaglia, senza andare dal giudice ordinario, perciò si debbe la qualità servare, non usando il requisitore maggior privilegio, del richiesto, quantunque lo disfidato sia degno di maggior favore, come sono li rei convinti chiamati a giudicio civile; et questo per constitutione di Ottone Imperatore Re in Italia et dapoi per Federico confermata et seguita et per consuetudine et stile di arme, il iudice e loco quando a combattere se disponeno; et questo statuto fu perchè lo procuratore, il quale ha facultà poter eleggere la prova et constringere il provocato nella via delle arme, havendo potestate, pretermettendo lo iudiciale solo fora alla battaglia, totalmente costringere lo provocato, et quanto non havesse del tutto l’arbitrio et facultà d’eleggere le armi, debbeno essere per lo iudice ancora elette; attento che tutti li Cavallieri che provocati fusseno per iusta cagione a tale che la battaglia per iudicio militare se difinisse con ogni equalità, che alcuno avantaggio gli intervenga et che al richiesto, sì come è debito che in tutte le differenze che al giudicio si adducono si debbono con giusta bilanza pesare; conciossiacosacchè la giustitia è ditta che debbe stare & esser giusta & eguale & non dare disvantaggio allo richiesto, il quale per forza al combattere è stato tirato: debbe però havere elettione delle armi, del luoco & del giudice, per rispetto che se quello il quale provoca il suo nimico nel combattere havesse arbitrio & potestà eleggere la via dell’arme, il giudice, loco & l’arme et tutte le cose necessarie alla battaglia, senza dubbio il requisitore d’ogni impresa sarebbe vincitore, quando non gli intravenisse divina potenza, chè potria eleggere le armi nel combattere a lui habile di operare, allo inimico incongrue et non sopportabile, potria elegger giudice che sempre in suo favore si adoperasse et in disfavore del nimico, potria elegger luoco con suo avantaggio et del nimico disvantaggio et così d’ogni abbattimento veneria ad essere vincitore; et per questo si debbe attendere alla comodità del richiesto, in modo che senza disvantaggio di niuno con egualità di tutti venga ad esser moderata, chè giusto giudicio di battaglia si debbia la differenza diffinire, dove, secondo la opinione delli Cavallieri armigeri, Iddio mostra di continuo la sua giustitia; ancora per stile d’arme et consuetudine di cavalleria communamente al richiesto si concede per termine competente sei mesi habbia a preparare & risvegliare lo adornamento, forte esercitandosi nelle armi et trovare il giudice e ‘l luoco, per commune comodità senza gravezza et ingiuria di niuno, a combattere, si possa egualmente coprire per honore delli Cavallieri et esperimentatione della verità. | |
Capitolo 199. Of the equality & way of the fighting person to person to another & of the disposition of their person. | Cap. 199. Della equalità & modo del combattere da una persona ad un’altra & della dispositione della loro persona.
Et volendo io scrivere della qualità et modo del combattere fra armigeri, a tutto transito diremo che ‘l provocatore a giornata di battaglia è constretto a combattere col provocato secondo la dispositione della persona del suo richiesto & non secondo la sua commodità, in modo che essendo il provocato armigero in arme da cavallo e ‘l provocatore armigero in arme da piede, debbe il requisitore a cavallo & non a piede combattere; & colui ancora che a cavallo combattere non sapesse per non essere usato et instrutto in ciò et per volere il richiesto a cavallo combattere, di giustitia non lo può ricusare il requisitore, per ragione che in tal battaglia si debbe alla volontà del provocato et non del provocatore combattere, havendo il provocatore privilegio et facoltà pigliare la via della spada; et similmente trovandosi il provocato armigero da piedi, il provocatore all’opposito è tenuto combattere a piedi, perchè la elettione è del diffendente, come meglio si potrà esercitare nella battaglia per diffendersi a potestà & modo eleggere; & più che se ‘l richiesto havesse alcun de’ suoi membri debilitato, come che fosse occhio, braccio o gamba o altro difetto, si debbe il provocatore molti giorni innanzi la battaglia un suo membro simile al debilitato, o guasto, del provocato in tal modo ridurlo, chè nella giornata della battaglia senza avantaggio si conduca nel combattere, volendo in ciò esempio dimostrarne: havendo privo un occhio il provocato, si deve il provocatore, con legame, per oppositione di ciò coprire, togliere la luce, combattendo con un solo occhio aperto & come è forza che ‘l provocato combatta a richiesta del suo provocatore, havendo un braccio debilitato, si deve il suo attaccare , in modo che non possi fare operatione nella battaglia; & ritrovandosi il richiesto la sua persona libera & sana degli membri intieri e ‘l requisitore d’alcuno de’ suoi membri privato, non è tenuto il richiesto del membro simile al guasto o perduto del provocatore privarsi, ma combattere con tutta la sua forza, secondo la sua dispositione & non secondo quella del suo provocatore, quale ritrovandosi più sano, disposto & prospero della persona, provocando uno stroppiato et guasto, manifestamente si conosce lui dover la vittoria conseguire, quantunque contra ragione combattesse; et questo è di decisione d’Ottone Imperatore in Italia, seguendola Federico; ancora diremo che trovandosi il provocatore sinistro e ‘l provocato destro, deve con la destra & non con la sinistra combattere, per rispetto che la sinistra allo manco è destra & combattendo il provocatore con la mano sinistra non veneria a combattere secondo la dispositione del destro provocato, ma combatteria secondo la sinistra dispositione del provocante; furono ancora alcuni Cavallieri che risposero che se ‘l richiesto fosse lento, fragile & di natura debile & il requisitore forte, robusto & gagliardo si ritrovasse, si deve con astinenza tanto indebilitare et fiaccare le sue corporali forze che venga ad esser uguale col provocato, altrimenti, ritrovandosi fortissimo, il comilitone che provocasse li debili et impotenti facilmente di tutte le sue imprese resteria vincitore; onde per voler vietare questo inconveniente, chè seria molto avantaggio che ‘l gagliardo potesse astringere uno debile et impotente nel combattere, si deve così come di sopra è detto le sue forze indebilire, come è nello esempio del giocatore, con uno il quale non sarà destro, nè così esperto nel gioco, lui si ligarà la mano, overo giocarà con la sinistra & l’altro con la destra, similmente uno maestro di scrima suole dare avantaggio a colui il qual non sarà così ardito, nè ammaestrato nel scrimire; et succedendo per caso che ‘l comilitone provocasse un altro c’hvesse un occhio, potria dire colui il qual fosse provocato a tale, che la fortuna fosse commune a tutti dui, che non combattessero con uguali pericoli, che non solamente si dovesse un occhio per legame offuscare, come disopra è ditto, ma che totalmente privarsene dovesse, cavandosi un occhio come il provocato, a tale che così come il provocato dovesse tenere nel combattere, che perdendo l’uno non havesse speranza nell’altro cieco et che con uguale timore battagliassino; attento che colui c’hvesse dui occhi con più sicurtà combatteria, ch’uno perdendo l’altro li resteria, et il nimico cieco d’uno occhio con più timore, conoscendo lo avantaggio dello nimico che duoi ne havesse, et per questo non osservandosi la ugualità nella battaglia l’avantaggio del nimico saria gran contrapeso a colui che uno meno havesse a farlo pericolare; et perciò è precetto nella battaglia particolare si debba servare la egualità, a tale che quello che perde non habbia scusa per lo disvantaggio havere perduta la sua querella et la battaglia. | |
Capitolo 200. The challengers having entered in the field, which will be the first to wound. | Cap. 200. Essendo li disfidati intrati in campo, quale doverà essere il primo a ferire.
Dimandandosi una dubitatione, trovandosi gli armigeri dentro dalla lizza, essendoci intrati con intentione di combattere, quale di quelli prima risulterà contra del nimico: si risponde che deve esser quello il qual provoca, overo il suo campione debbe essere il primo alla battaglia cominciare et non lo richiesto, sì come è dinotato per legge Lombarda; la ragione è questa: quello il quale richiedendo ha promesso fare la prova, se mai non cominciasse non debbe il richiesto rispondere: attento che a lui sta ‘l diffendere et debbe aspettare lo insulto del provocatore, che ha pigliata la querella con offesa, provare quello che ha promesso; et questo ancora è di natura di battaglia giudiciale, dove il provocato reo aspetta la dimanda dello attore, dimandante per ragione di legge civile, chè è proprio delli rei sempre fuggire il pigliare del giudicio; et è consiglio di cavalleria che ‘l provocato debba l’offesa del provocatore aspettare, acciocchè più giustamente a diffendersi nel combattere si conduca, giustificandosi ch’è ‘l primo insultato et, provocato forzatamente alla battaglia, diffendendosi dall’insultatore tentatore del combattere, è stato vincitore: ove per giudicio divino spesso li provocati restano superati; et l’ordine militare per l’officiale d’arme s’osserva che per li maestri di battaglia si debbano li cavalli de’ combattenti per la briglia ritenere, stando l’uno et l’altro nelle due parte del campo et sonando la trombetta tre volte, all’ultima li debbano liberare; et in caso l’un di loro offendesse innanzi il terzo suono della trombetta debbe esser per lo giudice punito & in caso che i ministri o gli patrini che tenessero li cavalli al primo suon della trombetta liberassero li pugnatori contra l’ordine dato, venendosi ad offender quelli, si debbano li ministri, over patrini & non combattenti, gravemente punire: essendone liberati per l’officiale, restano li combattenti escusati per la liberatione delli ministri, over patrini. | |
Capitolo 201. If the challengers enter in the field if they can repent without the permission of the chosen judge. | Cap. 201. Se li disfidati nel campo intrati se si potranno pentire senza licenza del giudice deputato.
Ancora si dimanda se dui armigeri che sono intrati in lizza per combattere ad oltranza, havendo cominciata la battaglia s’haveranno libertà di pentirsi, di sua commune volontà di non volere più combattere & lasciare la battaglia incompiuta & se per lo giudice si debbono ammettere di non far seguire la incominciata battaglia; M. Baldo da Perosa disse che non valerà più lo pentire a quelli che una volta sono intrati in lizza, con intentione di combattere a tutta oltranza: havendo incominciata la battaglia debbano fino alla fine seguire; la ragione è questa, che si debbe attendere alla pubblica utilità ch’è in tale battaglia, quale spesse volte per forza d’arme si manifesta, dopo che li combattenti, essendo venuti dinanzi al diputato giudice, bisogna che totalmente la battaglia si fornisca, ch’essendo una fiata intrati nel campo et havendo cominciato a combattere in presentia del giudice non sono più in lor potestà del pentirsi, ma sono in arbitrio del giudice; et questo si debbe intendere quando la battaglia fosse causata da gravissimo delitto, come è tradimento, homicidio, over altra cosa occulta di tale falsità, che per bisogno fusse da manifestare, non debbe restare costando di non vedrsi il fine, riservando se per licentia del giudice il pentire permettesse, altramente non intravenendoci volontà, in niun modo pentire si possano. | |
Capitolo 202. Regarding the conditions of the place where one must do single battles. | Cap. 202. Della qualità del loco ove si doverà fare la singolare battaglia.
Volendo dire & per auttorità provare quale luoco si debbe eleggere che venga ad esser congruo tra li combattenti per commune sicurtà del combattere, diremo prima sì come al tempo de gli Imperatori Romani per un graditissimo dono questo ufficio della elettione del campo & per gran rimuneratione d’utilità era donare ad huomo dignissimo di conditione & fosse prudente a investigare & trovare il luoco che fosse piano et spatioso et c’hvesse a considerare che alli combattenti non potesse essere in pregiudicio & non potesse sollevar la polvere, che venisse ad offendere la vista & dare a cagione ad alcuno di perdita & vittoria & che fosse situato in termine dove niuno havesse sospetto di superchiaria et che così lo eleggesse in parte dove niuno incongruo accidente potesse accadere, cioè per il voltare del Sole, impeto di vento, indisposition di terreno et incongruità del luoco quale ostaculo; Vegetio, De re militare, per precetto li dinota, consigliandoli che con l’ufficio della prudentia dalli strenui Capitani d’arme luoco & tempo si debbano pigliare, chè facilmente si potrà l’hoste nimico superare; leggesi d’Annibale che superò Paulo Emilio & Marco Varrone capitani Romani, con l’ausilio del reverberante Sole, offendendo la vista de gli armigeri Romani: come ciechi da’ Carthaginesi furono abbattuti. Et nel Vecchio Testamento leggesi che in tale modo s’ottenne una vittoria grande , che coloro i quali portavano li scuti d’oro contra lo aspetto delli raggi del Sole venivano a reverberare contra la vista de’ lor nimici: abbarbagliandoli rimasero vincitori. Leggesi d’Annibale ancora, che per opportunità & dispositione di luoco hebbe altra vittoria; et secondo che ‘l Filosofo scrisse, la fortuna nelle battaglie ha gran potestà, quanto la virtù, lo ingegno & la fortezza, & il loco si debbe per consideratione in modo ordinare, che venga ad essere in similitudine di Labirinto cinto di tre strade, terminate di ligname, il qual per proprio nome si dice lizza, et in caso di necessità si puote con corde, overo lo terreno, come aratro, designato di tre solchi, nelli quali nel primo circolo debbeno stare gli ufficiali & li ministri, cioè patrini diputati alla battaglia fino che serà finita, cioè uno delli dui vinto o superato, con pena di perdita & vittoria di quello che dentro rimanesse; & oltra questo si debbe edificare nel disegnato loco un solaro eminente, overo catafalco, che sia loco del giudice & delli suoi consiglieri & comodo tanto a lui quanto alli diputati ministri, nel vedere & intendere li motivi delli combattenti & loro parole che dicessero; et se ha da osservare continuo silentio, senza strepito niuno di movimento de’ piedi o mani o altri membri che potessero causare, nè tossere, nè rascare, nè fare atto per il quale si potesse intendere segnale che desse aviso in favore o in disfavore delli combattenti, in modo che quello che venisse a perdere potesse opponere non con arme, ma con aviso del circonstante esser stato superato & vinto. | |
Capitolo 203. When one has to come to single battles the evidence must be demonstrated, for which it is presumed to be true that which the provoked opposes. | Cap. 203. Quando s’haverà a venire a singolari battaglie si debbano mostrare gli indicii, per i quali si presuma esser vero ciò che al provocato si oppone.
Si debbe accortamente considerare che innanzi che alla battaglia singolare e di oltranza si pervenga, è di necessario che ‘l requisitore, innanzi c’habbia autorità il suo nimico nel combattere provocare, che mostri gli indicii, presontioni et congetture o delitto contra colui con il quale vuole combattere, acciò possa giustamente pervenire a battaglia, perchè non si debbe procedere per sola informatione del requisitore nella causa, perchè in tal battaglia si dimostra esser senza specie di tortura giudiciale. Et innanzi che si possi procedere per il giudice a dare la tortura a qualche malfattore pigliato et posto in prigione, per colui si debbe prima pigliare informazione della vita di tale delinquente et dopo intendere et vedere il delitto del quale lui è accusato et diligentemente vedere, intendere et esaminare tale causa: trovandosi gli inditii contra di lui, tale che si possa venire a tortura, se dà la tortura. Così adunque si deveno manifestare gli indicii contra l’infamato, per l’infamatore dimostrare, a tal che non apparendo innocenza nè manifesto delitto del provocato, si deve per potenza d’arme la verità dimostrare, sì che l’uno o l’altro resta confesso o disdetto; & questo vuole la legge Lombarda & lo Imperator Federico & M. Baldo da Perossa in una stessa sentenza concordandosi. | |
Capitolo 204. When the provoked may have found the judge & place, of after the judge may deny to do the battle, if it will be obliged by the provoked to find another judge. | Cap. 204. Quando lo provocato havesse trovato il giudice & luoco, se dopo il giudice dinegasse di farsi la battaglia, se sarà tenuto il provocato trovare altro giudice.
Habbiamo da vedere se dui armigeri si sfidassino a combattere & il richiesto trovando giudice competente & loco sufficiente et opportuno, sì com’è costume di tale combattere la ricerca, & venendo la deputata giornata, lo giudice c’haverà preso il giudicio, che da loro è stato accettato, per qualche causa non li parerà doversi la battaglia nella promessa giornata cominciare, perchè pare ad una delle parte grave, come che vorria entrare a combattere, il giudice o per non essere dotto o per volere maturamente studiare, intendere & vedere il modo de li Capitoli tra li disfidati fermati, o che parerà a lui per qualunque cagione che moverà la sua mente tal differire et usare cautela del buon sarto, quale havendo il panno innanzi, lui fa de’ molti disegni per venire al vero taglio, così adunque al buono fabricatore, quale prima che faccia il suo magisterio fa il disegno della futura opera, tal cautela usata dal giudice & differire la giornata; il provocato intende seguire la sua querela, perchè quello il quale ha provocato richiederà un’altra volta il suo richiesto. A tal che la differenza della loro querella totalmente se disfinisse, se domanda se con quel medesimo giudice & se nel deputato loco, essendo un’altra volta richiesto, debbono la battaglia incominciata o s’è tenuto il provocato d’altro luoco, giudice provedere, per essere passata la giornata & senza effetto di combatter, per negligenza dello eletto giudice. Si risponde de sì, perchè havendo il provocato eletto il giudice dopo la promissione del combattere, si potria presumere lui esser pentito, per haver trovato il giudice che con fatti & non con parole l’ha liberato, havendo differita la battaglia: per questo è tenuto il provocato d’un altro giudice provedere, acciocchè la battaglia si seguisse, ch’altrimenti haveria apparenza di fintione; havendo il giudice eletto, il combattere non esser seguito, potria dire il nemico esser dilegiato, havendosi con il giudice consultato che alla giornata dovesse revocare la concessa licenza & se bene il richiesto trovasse il giudice, che dopo la sicurtà del combattere il giudice ricusasse, non saria però della promessa liberato, perchè si deve la negligenza del giudice solo ad esso imputare; & in ciò la legge vuole che s’accusa la negligenza contra di colui che nel negligente amico si confida; & quello che trovasse & promettesse per arbitrio diffinire, in caso che non diffinisce è tenuto un altro ritrovare & per questo quello il quale trova giudice che la differentia intendere non vole, non si potrà appartener haver fatto il suo dovere, sì come nulla in ciò havesse adoperato & per questo non si può dire essere escusato, perchè è tenuto un altro diligente giudice & luoco ritrovare; & questo si prova per autorità di molte leggi imperiali, che dicono dove non è principio nè fine non si può dire esser adoperata cosa alcuna di effetto; dopo il pricipio si aspetta il fine di tutte le cose che se hanno a fare, attento che il pricipio è più degno del fine di tutte le cose che se hanno a fare & tutti gli effetti delle opere al fine si vedeno; per questo, se alla deputata giornata li armigeri fossero nel campo entrati & nella preparata lizza havessero cominciata la battaglia per alcun spatio di tempo, havendo il giudice lo pricipio della battaglia promesso & dopo havesse gittato il secreto, prohibendo li combattenti del combattere nella cominziata battaglia, allhora il provocato, havendo trovato giudice & luoco & tutto quello che nel combattere si ricerca et incominciata la battaglia haver fatto il suo dovere, in modo che fosse richiesto dal provocatore che di nuovo dovesse giudice ritrovare, non saria più tenuto et resteria della promessa libero, perchè havendo una volta lui trovato ciò che alla battaglia di giusta necessità si ricerca & cominciato a combattere col nimico, quantunque la battaglia non sia fornita n’è rimaso per lui di venire al fine. Ma solo perchè al giudice deputato, a lui non è paruto si debba più seguire per suo imperio & instato Decreto, facendo segno che più non si combattesse, puoi dire esser stato la lor querella per sentenza diffinitiva dal giudice competente & per quella haver posto quasi fine alla lor differenza & per questo il provocato è liberato dal giudice c’ha posto fine alla battaglia. Debbiamo ancora sapere & intendere che in caso che ’l requisitore volesse trovare altro giudice, che promettesse farli finire la cominciata battaglia, però non saria più tenuto lo richiesto andare innanzi al nuovo giudice a finirla, ancora che nuovamente lo requisitore il ricercasse, perchè mostrando haver fatto il debito suo & essendo per il giudice deputato provisto, come è ditto & narrato, si trova libero, in modo che non si può molestare per altri giudici in altri luochi o territori dal requisitore, che parendo a lui non esser satisfatto per la impedita battaglia, potria haver querella col giudice, con dire che lui è stato gravato, spartendo il combattere, ma non col richiesto, reservandosi per patto che fosse espresso in lor capitoli, che dovessero tanto combattere, affine che uno di quelli morto o disditto rimanesse: in tal conventione seriano tenuti in altro luoco et con altro giudice la battaglia fornire, questo che l’havesse a trovare il requisitore, a tal che si vedesse la vittoria dell’uno per morte o disdetta dell’altro, secondo la capitolata conventione; & questo si prova per autorità de molte imperiali leggi & comandamenti, quali parlano de gli narrati casi. | |
Capitolo 205. How must the arms-bearers take a just quarrel for proceeding in the combat, such that of the undertaking remain victorious. | Cap. 205. Come debbe gli armigeri pigliar giusta querella per proceder nel combattere, a tale che dell’impresa resti vincitore.
Ciascheduno armigero che vorrà con giustitia per la sicurtà nella battaglia particolare procedere, nè provocatore, nè requisitore volontario dovrà essere, anzi dell’honore constretto, come provocato & offeso dal nimico, debbe per necessità venire allo effetto del combattere; & per commune opinione de gli armigeri & cavallieri si dimostra li provocatori a battaglia volontaria senza necessità; di offesa, fosse chiaramente vera & non dubbiosa, si doverà esser provocatore, si debbano usare parole da provocato et offeso et andare a combattere con grande animo per diffesa della verità & dell’honore della sua giustitia et quella si debbe disponere con animo sostenerla: però la querela che piglierà a diffendere debbe esser giusta, dove si dichiara ch’ogni offeso, che pretende voler combattere per l’offesa ricevuta, il provocatore è necessario & tiene luoco di reo offeso, come quello che dal nimico si sente offeso. Ancora si dichiara la causa di giusta provocatione, quale loro, quando si muove per la offesa ricevuta per ingiuria o per altro mancamento di sua fama & honore che patisce dal nimico, con cui intende combattere: alhora si chiama requisitore provocato, perciocchè tiene luogo di richiesto, per sè debbe adattare & porgere la querella con parole per le quali havendo fondamento di giustitia non dimostra contra ragione procedere, perchè alcuna volta uno armigero potrà havere giustitia et fondamento nella sua querela, in modo che per giustitia non venirà a conchiudere esser giusta, tale che venirà ad esser ingiusta & la vera potria per le parole false diventare, sì come diffusamente è dechiarato in altro capitolo, nel quale è dinotato che la querela debbe con gran giustitia conchiudere; & trovasi che una volta fu fatto un bando da parte d’uno armigero, che volle a combattere con chi dicesse il contrario, al quale rispose un altro che disse il contrario & essendo dubitato quale fosse il provocatore, fu diterminato per cavalieri quello il quale pose il bando fosse il requisitore. Similmente ancora quello che ponesse scrittura alcuna contra di che volesse dire il contrario seria lo requisitore, overo il primo che movesse la querela: quando non fosse ingiuriato seria requisitore volontario, però le più volte si vede li volontarij provocatori sempre esser perditori. | |
Capitolo 206. If the requested of the battle does not find a place of justice, if one must go to a wild & solitary place to fight with the requestor. | Cap. 206. Se lo richiesto a battaglia non trovasse luoco nè giudice, se andare doverà a luogo silvestro & solitario a combatter col requisitore.
Quando fosse uno provocatore richiesto, che dovesse il luoco sicuro & il giudice trovare per fare l’abbattimento di oltranza, in caso dubbio, quando non lo trovasse, si domanda se è tenuto andare a combattere in luoco solitario col suo nimico, come si fosse in selva, overo in bosco, a tale che non fossero spartiti nè prohibiti per non essere giusto, perchè alcuni dissero di sì, che si deve andare, per causa che ‘l bisogno fa molte cose licite, che sono illicite & perchè la spada è giudice & testimonio manifesto di colui che torna dalla battaglia senza ferite, mostra essere il vincitore, come per contrario colui che fosse morto o gravemente ferito seria testimonio del perditore & per questo senza giudice si può del combattere la sentenza riportare, perchè le ferite mostrano esser giudice; perciò incontrario si risponde per dimostratione della verità che ciò facendosi seria contra ogni stile di cavalleria & contra ogni antica consuetudine d’arme, che vuole la battaglia sia celebrata in presenza d’alcuni Principi & di molti cavallieri, alla determinatione delli quali il giudicio si rimette & non altramente; & facendo il contrario serà cosa vituperosissima, fuori d’ogni disciplina militare, più costumi appartinenti a vilissimi beccari, ruffiani et gente plebea, quali son da essere puniti dal iudice della publica giustitia & perchè le cose che non sono laudabili non si debbono usare per li cavalieri, nè per altri huomini degni: per questo si dice che il cavaliero armigero provocato non è tenuto andare in loco solitario per le ragioni scritte di sopra da molti Romani: quelli faceano le lor battaglie nel loco, quale era comune alli eserciti, non andavano per lochi selvaggi, dove non haveriano trovato iudicio di cavalleria & per questo si conchiude gli abbattimenti non si debano fare nelli lochi quali non sono degni de’ cavallieri per combattere. | |
Capitolo 207. Which deals with the indication of the battle & before the chosen day of combat. | Cap. 207. El qual tratta del segno della battaglia & prima della giornata deputata al combattere.
Si scrive se il provocato, overo richiesto, fusse avisato per le lettere del suo nimico che dovesse elegger l’arme e ‘l loco e ‘l giudice competente ritrovare infra questo tempo de la giornata, perchè è da notare che havendo eletto il giudice & l’armi et per fuggir la battaglia dicesse che in spacio de vinti anni combatter voria, non seria giusto aspettar tanto termine, perchè saria un honesto schifare il combattere per il longo tempo; onde per togliere tale interrottione, per consueto stile d’armi si dice che il termine statuito non sia più di sei mesi, come è, tra li quali, se ‘l richiesto non trovasse il giudice competente & l’altre circostanze necessarie nel combatter, si debbon per requisitore tra altro termine cercare; & se anchora non lo trovasse, seria giustamente lo richiesto assoluto, nè lo potrà più ricercare per tale querela, per rispetto che li abbattimenti sono odiosi, chè più presto lo antico tempo si costumava, ma nel moderno tempo si limitano: manco si debbe vietare che permettere, sì come dice la Lombarda; & per questo essendo spirata la determinatione data per seguire la battaglia, si deve intendere il combattere; et posto che ‘l requisitore dopo lungo spatio di tempo trovasse il giudice competente, quello durante il termine non potere trovare, di nuovo ricerca se ‘l provocato non saria tenuto rispondere per rispetto che la dilatione statuita è passata, riservando se ‘l richiesto cercasse la emendatione delle spese fatte nel termine nel ricercare del giudice per l’ordinatione della battaglia, seria in suo arbitrio combattere; & di nuovo è da sapere ancora che la dilatione dei sei mesi fu ridotta per vietare le frodi che si potesse commettere nel differire della giornata per lunga dilatione, perchè trovato il giudice solo lui ha a statuire luoco alla giornata, cioè in tale piazza di tale città, & per lo provocato haver giusto termine, nel quale si potria essercitare per prepararsi nel combattere: passato ciò non si potria con ragione escusarsi. | |
Cap. 208. Quando, deputata la giornata al combattere, venendo ad uno delli combattenti impedimento se doverà esser escusato o se si procederà in sua conumacia.
Appresso è da vedere, quando fosse la giornata da combattere per dui cavalieri, o altri, delli quali fosse l’uno impedito per necessità & non poter comparire, che mandasse a fare la escusatione al giudice, allegando l’impedimento, è dubbio se doveria esser odito: perchè si dice che ‘l giudice deve attendere alla cosa, se è giusta & vera la doverà admettere e se fosse ingiusta non odirla; & se impedito fosse di infirmità, di tempesta o di acqua per la quale c’havesse da passare, over dal suo Signore, che guerreggiasse con altro Principe & nel suo aiuto si ritrovasse, o che non si potesse partire, per esser mossa guerra contra la sua patria, per l’honore della quale è obligato a combattere, o per altri giusti impedimenti non potesse andare, in tale caso sarebbe tenuto di non andarvi; cessati poi gli impedimenti, non siano fatti nè per avaritia provocati, over che non s’havesse indugiato nell’estremo termine del combattere, sopravvenendo per sua colpa l’impedimento, alhora non si deve per lo iudice admettere, anzi procedere in sua contumacia, nella quale cascando il requisitore, saria lo richiesto assoluto dalla querela, con infamia del requisitore da dovere essere reprobata in altre personali battaglie; et quando fusse contumace il richiesto si deve come confesso condennare del delitto per il quale erano deliberati combattere, con sua infamia & reproccia: perciò sogliono gli cavalieri in simile caso, dove s’allega infermità, protestarsi che tale infirmità è causata per timore della battaglia, nella quale non si conosce haver giustitia, et per timore d’essere offeso s’è infermato innanzi il tempo del combattere, com’habbiamo in un altro capitolo narrato di quello che morì nella giornata della battaglia. | ||
Cap. 209. Quando nella diputata giornata la battaglia non si puote fornire, se si doverà dargli altra giornata.
Ancora vogliamo vedere se sarà diputata la giornata fra duoi disfidati, per differenza loro venire alla battaglia, nella qual non si potria finire, se si deve in altra giornata ritornare nel combattere, sì che la differenza si finisca: la legge Lombarda dice che si deve restituire l’impresa per farla in un’altra giornata; M. Baldo dice che s’uno disfida il suo nimico di volerli provare in tale giornata con la spada uno tale delitto, in caso che non lo provasse in tale giornata non lo potrà più per abbattimento provare, perchè in tale abbattimento non si dà nuova dilatione & questa contrarietà si solve, perchè quando per impedimento successo nel combattere se impedisse tale combattere, di modo che non si potesse finire, si deve in altra giornata, ma quando non succedesse altro impedimento, chè ‘l richiesto audace & virilmente si diffensasse, in modo che dal requisitore non fusse superato in tutta la giornata, allhora non si doveria dar dilatione in altra giornata, perchè lo richiesto è absoluto; similmente ancora quando il iudice spartendo non havesse permessa la battaglia, se finire non si debbe più ricercare, riservando quando fusseno per patti convenienti che dovesseno tanto combattere per finchè l’uno o l’altro fusse morto o disditto, come meglio è ditto in un altro capitolo di sopra, dove si parla del loco. | ||
Cap. 210. Quando uno delli sfidati a certa goirnata volesse provocare un altro armigero, se quello potrà dire «satisfa’ alla prima battaglia e poi te satisfarò io».
E’ da vedere ancora se dui armigeri havesseno dato fede di combattere a certa giornata, in caso che uno di quelli obligati, inanzi alla giornata, richiedesse un altro a battaglia, se questo richiesto potesse refudare il combattere, per rispetto che quel requisitore è obligato prima a altri che non a lui, dicendo che prima si dovesse absolvere dalla prima querella e poi trovandosi in sua libertà si havaria rispetto, quando lo requisitore rispondesse che bastasse per tutti dui. Si domanda se la petitione del richiesto è giusta, che lo requisitore si absolva de la prima obliganza, perchè se risponde di sì, per molte buone ragioni. La prima è che essendo questo requisitore novo, obligato al primo, et essendo superato dal secondo, venirà a vincere uno obligato, quale, trovandose prigione di dui, per ragione saria prima astretto da questo che prima havesse vinto: per questo si può dire il secondo richiesto, trovandose esso homo libero et l’altro obligato, non saria per lui il combattere, nè per vincere, nè per essere vinto da uno ad altro obligato; la terza ragione è che l’obligato è di tal conditione che liberamente non può disponere di sua persona, per essere obligata, la quale si può dire essere come che servo di quello a cui è obligato, in tanto che Aristotile disse che perciò lo debitore sempre vorria che ‘l suo credito non fusse nel mondo; & vuole Andrea d’Isernia che la obligatione personale sia specie di servitute. Onde havendo quella tale obligatione de intrare con l’altro nella battaglia, nella quale verisimilmente se può incorrere morte, captività o servitù, essendo preso da l’altro, per questo sono de dispari conditione & perchè tale battaglia recerca partita di stato libero, sì come di sopra è detto; potria succedere che ‘l provocante obligato vincesse il secondo richiesto & da poi fusse dal primo vinto & superato con infamia: venirà a essere il secondo richiesto presone di uno infame reprobato; imperò per volere evitare tanto inconveniente si debbe absolvere dalla prima battaglia, l’esito de la quale dimostra il secondo richiesto dovere combattere con lui, attento ch’essendo venuto dal primo potrà esser dal secondo recusato & questa è la iusta decisione di tale dimanda; & imperò quello che tiene la disfida della battaglia non debbe intrare in giostre, nè in torniamento, nè in niuno altro periglio, nè debbe fare esercitij nelli quali potesse incorrere caso sinistro nella sua persona, perchè essendo nella giornata impedito di non poter combattere per caso successo per sua colpa & diffetto, essendo andato dove non gli fusse stato necessario, se potria iustamente nella giornata per contumace reputare, nè li saria ammessa la escusatione de lo impedimento, anzi saria datto l’honore al suo nimico, quale audacemente comparse alla giornata parato e disposto con l’arme sue, come debitamente dovesse comparire. Adunque si debbe guardare ciascun disfidato di non pigliare altra impresa, nè fare officio, nè esercitio per il quale alcuna cosa potesse intravenire, per il quale fosse impedita alla giornata, perchè oltra che rimanesse perditore li saria imposto, perchè utilità affettatamente havesse procurato per iscusatione di non volere al combattere comparire, con grandissima infamia dell’honore suo saria da tutti giustamente riputato. | ||
Cap. 211. Come si può dare il campione secondo la risposta del richiesto.
Dicesi nel trattato de’ campioni che quando lo requisitore s’offerisce nella sua richiesta voler provare da esso al suo avversario una tale querela, perchè darà la fede del combattere per pegno, & dicendo il richiesto “io mi diffenderò per me o per altri per me con gli miei danari”, in tal caso non potrà il requisitore dare più il campione, ma deve con la propria sua persona combattere, per rispetto che la sua offerta è di provare da persona a persona: per questo si deve osservare; ma lo richiesto per sua risposta potria dare il campione & in caso che ‘l provocatore dicesse “io voglio provare dalla persona mia alla tua”, rispondendo il richiesto “io mi diffenderò”, senza dire altre parole, non potria il campione; & questo si trova determinato per la legge Lombarda Imperiale. | ||
Cap. 212. Come si vederà quando sarà causa giusta di fare battaglia.
La legge Lombarda dice, per crimine di offesa maiestà venirsi a combattere & per tradimento della patria & la legge civile lo osserva; & Federico Imperatore per homicidio nascosto concede il detto combattere & questo per homicidio fatto in tregua et che quando la donna della morte secreta del suo marito fosse occasionata & il marito cornuto & della morte del padre, per la heredità & in caso di vituperio & d’infamia dare a donna honesta contra il suo honore & in beni negati per altrui & più chi con giuramento negasse il frutto, più che tenesse possessione contra giustitia, per meno spatio di trenta anni; & se testimoni son contrari, ponno un contra l’altro combattere, non con arme militari, ma con bastoni, quando li testimoni dell’attore fossero in più effidati, non haverà luoco la battaglia, chè si staria a lor ditto; & ancora se ‘l figliuolo nega il debito paterno, si viene a combattere; per incendio si fa battaglia contra il malfattore & non contra chi consiglia. | ||
Cap. 213. Come le battaglie habbeno origine da Dio & come si permettono.
Ancora è da sapere che questa legge armigera, che permette le personali battaglie in caso di ingiurie & d’altri delitti, hebbe origine dalla prima età, nella quale Cain occise Abel suo fratello: si dividerono le battaglie universali, per comandamento del grande Iddio, per punitione delli disobbedienti alli comandamenti suoi et dell’ordinationi date da esso Iddio furono addutte ove non era copia de superiori, nè di magistrati: a tale che ogn’uno si facesse la giustitia col braccio di militia per la battaglia pigliata, come si legge per voler d’Iddio che Giudith Hebrea, con l’ancilla sua, ditta Ambra, occise Oloferne, dove non era superiore c’havesse potuto punirlo, perchè dopo furno ordinati i Re, gli officiali & magistrati; sicchè fu provisto che la giustitia fosse fatta per gli officiali & fosse punito colui che facesse la giustitia per sua autorità, perchè peccava usurpando la divina giustitia, la qual è officio d’Iddio, dato a’ Principi cattolici da lui mandati: & perciò furno fatte le leggi, perchè avanti si facea la giustitia con la mano regale, cioè con potenza dei Re, li quali comandavano si facessino l’escusationi. Et allhora il Signore Iddio comandava si dovessino li delitti punire & dopo il restò il consueto delle guerre et battaglie per punitione di quelli che turbavano la pace del mondo nelli regni et nelle provincie; & Iddio comandò che le genti dovessino armare contra delli ribelli & malfattori, & da queste guerre, licite quando non gli è i superiori che non possa resistere a’ malfattori & disobedienti, fu indutta questa consuetudine di battaglia particulare, che si dovesse combattere da persona a persona quando non appare prova dal delitto, per punitione delli disobedienti et per terrore delli offensori, tenendo di non havere a combatter per l’offesa, ne provocasse a ingiuria lo compagno, il quale è provocato: per diffensione del suo honore havesse giusta causa di combattere, perchè questa legge della diffensione è permessa alli animali brutti per istinto naturale, li quali trovandosi a provocare dalli altri animali si diffendono con loro armi fatte da la natura, nella qual trovano modo di diffensione, cioè con denti, corni, con calci; & questa diffensione è licita ancora agli huomini rationali, provocati ad ingiuria, con autorità & licenza del superiore & del Principe che ha potestà fra loro di concedere la battaglia per causa giusta, dove non fosse copia di testimoni, per li quali si potesse diffinire la causa in giudicio ordinario. | ||
Cap. 214. Trattasi per qual persone si può pigliare la battaglia.
Appresso si dimanda s’è licito pigliare la battaglia personale per diffesa delli figliuoli o per altra congionta persona o per la mogliere: & rispondesi de sì: come dice Messer Baldo, per li parenti è licito & non per li strani pigliare la battaglia, eccetto se fossino Campioni; con licenza del suo superiore, si potria fare per diffesa della patria & ancora per diffendere uno amico carissimo, che fosse debile di persona & impotente, et per stretta amicitia, o compagni d’arme o in altri esercitij nobili & virtuosi per fratello giurato, per vassalli sevi o famigliari ingiuriati, perchè questi tali sono uguali a quelli del sangue proprio & li veri amici sono in un’anima, secondo Aristotile, perciò s’intende c’habbiano giustitia. Et dice la Sacra Scrittura che si deve liberare colui che patisce ingiuria per mano del superbo; & Salamone disse “Non cessar di liberare li tuoi congiunti dalla morte”; & Tullio dice “Quel che non diffende & non resiste all’ingiurie dell’amico è simile a quelli che abbandonano li parenti”; et perciò per virtù di cavalleria si potria combattere per gli amici & parenti e per tutti li sopradetti, perchè io ho dato consiglio, essendo dato il campo a combattere tra dui a tale giornata, perchè il richiesto essendo morto non comparse, et il vivo diceva esser morto per paura, che uno parente del morto potria uscire a sostener la giustitia del morto et quello non esser morto per timore, ma per voler d’Iddio, doveriasi ammettere: ancora in caso di impedimento uno parente per l’altro potria comparire nella battaglia. | ||
Cap. 215. Dimandasi per qual cagione sono esercitate le battaglie.
Ancora in un altro capitolo si scrive esser promessa la battaglia particolare con licenza del superiore per una festività fatta in memoria del Principe o per altra publica letitia & piacere & per gli huomini che imparano a conservare lo esercitio delle armi per diffendere la Republica & la propria virtù o per altra particolare inimicitia, con licenza delli superiori; et nel tempo antico nella città di Napoli era un campo publico, nel qual si potea combattere, & in Roma & in Perosa senza licenza si esercitava l’arte militare, secondo che si trova in diverse autorità. | ||
Cap. 216. Se uno sottomesso in battaglia da un altro, se ‘l Signore del provocato lo può prohibire, chè non combatta.
Oh quanto è sottile questa dimanda! Il richiesto, armigero vassallo d’un Principe, d’un altro armigero, quale non è vassallo del Signore del richiesto, che debba venire per licita causa a battaglia di oltranza con lui et di tale sottomesso ne ha notitia il Signore, il quale chiamato il suo vassallo, convitato et citato a battaglia, per imperio gli comandò non debba tal sottomessa accettare, perchè essendo suo vassallo ha nelli suoi bisogni la sua persona operare: dicida tal caso chi sa se tale iscusa possa il richiesto iscusare: & potriasi per causa di dubitatione dire la persona del vassallo esser prima obligata al proprio Signore che ad altro; & secondo la legge civile il Principe è Signore della persona del vassallo & stando questo proposito si potria dire, non accettando il sottomesso, essere iscusato & lo impedimento del Signore essere in ciò sufficiente; per contraria opinione si potria decidere che un armigero è prima obligato all’honor proprio, ch’al Signore & niuna obliganza intender si debbe contra l’honore del vassallo. Et che ‘l sia vero, vuole la legge che ‘l vassallo non debbe preferire la vita & l’honore del Signore alla vita et honor suo, et il vassallo è tenuto alle cose honeste et possibile al Signore: & questa saria cosa inhonesta et impossibile fare, contra lo proprio honore et, a quello satisfatto, le altre obligationi dovute al Signore seguono; et se niuna obliganza impacciasse il suo honore, non lo costringe ad osservatione da sè; in ciò regola della obligatione del vassallo al Signore esser solo in sei casi obligato et niuno delli sei è distrigato; questo, ante di sopra, si dà notitia vera, non esser tenuto, per campione, combattere il vassallo per il Signore in alcuni casi, & questa è la vera dichiaratione di tale caso per conservare l’honore dell’armigero, distinguendo in ciò. Se ‘l richiesto havesse feudo dal Signore, al qual servigio di persona fosse obligato prestare, di seguirlo nella guerra sotto giuramento, dove, essendo in atto di guerra il Signore, debbe il vassallo seguire il Signore & finita la guerra debbe accettare il guanto della battaglia & rispondere al requisitore sopra la querela; obstaria lo impedimento preditto se non fosse data la giornata & del campo & in quello tempo la guerra del Signore sopravenisse: di ciò si darà notitia nel libro di quelli che sono venuti in battaglia & dapoi alla propria fede rilasciati. | ||
Cap. 217. Dove si tratta in che caso può el Signore schifare la battaglia con lo suddito.
Nel presente capitolo si descrive et dimostra esser la battaglia da persona a persona licita tra il Signore e ‘l suo vassallo, quando il suddito, appartenendosi havere havuta alcuna ingiuria dal suo Signore d’infidelità, tanto per cagion di donna quanto per infamia ingiustamente opposta all’honor suo, dove congregano giustitia richiedendolo, non potria il Signore tal duello schifare, chè non accettando il combattere restaria con infamia, et offerendo ancora il campione non saria della battaglia assoluto; per ben che ‘l Signore in alcuni altri casi col vassallo potesse combattere per campione, in caso d’infideltà è tenuto con la propria persona farlo: & questo avviene per la causa forte della infideltà, alla quale il suddito si fonda, come che la infideltà è vincolo comune da osservare, tanto per il suddito al Signore, quanto per il Signore al vassallo & in questo non gli è superiorità, come sia una fideltà con essa & non più, comprendendo ancora in questo caso la querella, quale d’infideltà dasse il Signore al vassallo, dove per salvatione dell’honore suo il vassallo potria dire non essere il vero et volere sopra di ciò combattere da persona a persona: in defetto de provocatore, il Signore non pò dare campione, anzi la battaglia è la prova e non se può schifare; & in tal sententia per prova della iustitia si trova messer Andrea de Isernia allo Libro dalli feudi et lo testo de li feudi chiaramente decide: chiamando la fidelità ritenuta dal Signore al vassallo, non si possere schifare la personal battaglia quando violata fusse la fidelità debita fra loro. | ||
Cap. 218. Se domanda se uno figliuolo accetta battaglia con uno altro, se per lo padre può essere prohibito.
Seguita di intendere se uno figliuolo di uno gentile huomo ha cagione di battaglia con un altro armigero & data la disfida, eletto il iudice & arme & venuti per intrare in el campo, il padre prohibisse la battaglia, allegando il figliuolo non posser venire a tale battaglia senza sua licentia, nè possere intrare in tal iudicio d’arme senza sua volontà per la paterna potestà, al quale lo figliuolo summesso: se domanda se tal prohibitione habbia impedire, la battaglia non se faccia: decidere de non, attento che la militia fu prima che la patria potestà & primo furno le battaglie che la legie civile, che trovare la paterna potestà, dando in ciò pena di punitione al padre che subtraherà il figliolo dalla guerra della repubblica & questo in tempo di guerra; se in tempo di pace la frustra publica e la pena; & consentendo in ciò, lo figliuolo serà deposto a più inferiore grado che non si trova condutto & ancora il padre serà punito quando debilitarà il figliuolo per fraude: acciocchè alla giornata della battaglia publica non se trova in pericolo, reputando le legie, il figliuolo exercitando le arme per padre di famiglia, e non essere scritto allo vincolo della paterna potestà, anzi possere ad oltranza combattere, quale il padre non può impedire, come lo proprio honore si è più obligatione che la paterna potestà: questa è sententia dello Imperatore, dove scrive de l’arte militare. | ||
Cap. 219. Dove si tratta in che caso uno ingiuriato può venire a gli cimenti del combattere.
Appresso è da intendere un altro sottile e nobile caso, da essere per martiali strenui bene esaminato: vengano dui armigeri a parole ingiuriose & l’uno senza intervaglio, irato, dice a l’altro «tu sei uno traditore», l’altro risponde «io sostenerò con la spada in mano che non sono traditore», l’altro risponde e dice «come sostenerai tale causa, perchè uno traditore a battaglia non debbe venire con uno quale è netto et leale?»; dico adunque per definire tal dubio che non costando in pronto del fallimento del armigero, non si può negare la battaglia, perchè volendo iustificare la querella, de non esser traditore che con le arme in mano non possa iustificare lo suo honore; & se lo ingiuriante dicesse «io provarò per legittimi testimonij tu essere traditore» & non iustificare con prove, se debbe venire a battaglia, baldanzosamente poi dire «tu mi chiamasti traditore & non hai provato: te voglio con la spada mostrare el contrario». Ma se venuto da ira, chiamato dallo avversario traditore, respondessi «tu menti per la gola quante volte ardirai chiamarmi traditore», per queste parole è propasata la ingiuria & non è loco del combattere; con questa sententia M. Andrea de Isernia allo Libro delli pheudi fa differentia de dire «tu sei traditore» & non dire «tu fusti traditore», perchè potria dal suo principe essere stato restituito lo honore & tolto el mancamento del passato tradimento; & potria lo ingiuriato dire «fui restituito alla fama & fume perdonato el mancamento» & tale ingiuriante, dapoi la remissione, saria tenuto ad ingiuria per la legge Imperiale, che vuole che dopo la remissione non possi essere più traditore e pò dare el segno della battaglia quando ditto li fusse traditore, essendo dal principe restituito al prestino honore et debbe essere amesso e non dispresiato; et se l’uno l’altro offendesse, l’altro, senza disfidare, seria traditore & gli seria negata la presentia del principe e d’ogni compagno de bon cavaliero & se possedesse per feudo, el Signore per tale mancamento, come mancatore delo honore, iustamente lo potria privare, secondo che scrive Andrea d’Isernia sopraditto. | ||
Cap. 220. Dove se tratta se uno può venire con altra querella a gli cimenti del combattere.
E gli è uno altro caso: è ancora da decidere de dui armigeri cavallieri con querella a tutta oltranza combatteno da corpo a corpo & in loro battaglia l’uno se desdice, quale desditto move altra querella contra un altro armigero dapoi del suo desdire, se per tale mancamento de essere una volta desditto, può esser recusato: & secondo ch’è stato da estrenui cavalieri referito, per la macula essere fino alla morte infamato & non può venire più a battaglia con alcuno altro armigero cavalliero, come periuro e desditto; come alla militare cavalleria sia religione da non privaricare, tra li altri precetti che se recercano in essa, quando se vene da corpo a corpo al combattere se dà giuramento, non per una fama o calunnia combattere, anzi per sostenere l’honore e la verità senza calunniare: questa medesima sententia approvano le leggi Civili, quale dicano ch’el condannato de calunnia non debbe ad altra escusatione essere amesso, salvo se per propria offesa volesse accusare o fosse delitto contra del Re o de soi officiali, donde la constitutione de Federico II Imperatore determina lo vinto, o del ditto non debbe, siando provocatore, combattere ad oltranza più essere accettato, ma essendo provocato uno se potria, dapoi che fusse richiesto, reprobare; ma volendo per amore vodo o impresa combattere, in tale caso cessaria la sua desditta: anchora che mille battaglie havesse perse, sempre el tornare a combattere non li seria denegato, non essendo niuna a tutta oltranza; qual più difusa dichiaratione se intende a dui altri Capitoli in lo presente libro tocato. | ||
Cap. 221. Dov’è il modo da sapere se uno provocato può mutare querella.
Più, uno gentile huomo ha mandato el guanto de battaglia & el richiesto accetta el combattere & la querella & fermati su quella i Capitoli, il requisitore muta querella, dicendo che ha commesso altro delitto el richiesto, se tal querella se può mutare, stando lo richiesto fermo alla prima, come dire «io satisfarò la prima & de l’altra appresso»: se intenderà per nui sta adoncha fermo; el stile militaro comanda non doverse la prima mutare & però se dà el segno per fermezza de seguire el proposito del richiesto; e questo fecero li Romani vitoriosi, che stavano fermi in loro propositi, ancora che potria essere el richiesto alla prima havere iustitia & della seconda dubitare; dando intervallo de tempo, ancora alla seconda, con dire «io ho deliberato sopra l’altra: renontia, tu adoncha, la prima e datte per senza iustitia» & renunciata la prima per lo requisitore, dando allo richiesto iustitia & cercandolo de la seconda, iustamente potrà respondere el richiesto e dire «tu non sei degno de battaglia come calunniatore & havendo ingannato una volta, per innanzi de calunniare non haverai conscientia del provocatore, adoncha tu è indegno, non debbi commovere nè a combattere, essendo come sei nodaro falsario & iniquo calunniatore, secondo la prima tua disditta dimostra»; ancora che le leggi Civili dicano che non contrariando l’una richiesta a l’altra, se potesse la seconda sostenire & toglierla con la prima, massimamente se da parola in parola se venisse alle ingiurie, quale se facesse fondamento de iusta querella per una delle parte & se dicesse sopra, cioè «te voglio sostenire renuntiando la prima sottomessa, quale non fusse o molto dubia o iusta». | ||
Cap. 222. In che caso per ingiuria se viene a gli cimenti del combattere.
Che diremo ancora: uno ad un altro dirà «tu sei ruffiano, traditore da mille forche» e l’ingiuriato risponde «tu menti per la gola» o per più honestamente parlare dirà «quello che tu dici, tu dici falsamente». Se dimanda se in questo caso se dee venire al combattere; e certamente se determina che non, perchè quello che ha audita la ingiuria ha satisfatto lo suo honore, dismettendolo di quello che lui lo ingiuriava, facendolo restare per mentitore & non serà ingiuria, anzi serà di quello che prima la disse, tacendo compensatione dello mentire & dello dire ingiuria tra loro che fa rimanire el combattere, e ancora che lo ingiuriato primo respondesse con debita reverentia «tu menti, chè io non son ruffiano, o vero non ho el mancamento delle ingiurie le quale tu me dici»; e questo è sententia de Dino de Mongelo e ancora de Bartholo, principe de lege Civile, concludendo essere magiore ingiuria el mentire ch’el tacere la verità & salvo se dicesse lo ingiuriato «tu menti» chè se in verità mentirà, non è ingiuriato & seralli grande satisfatione dagando: cioè esemplo che el mentitor è umiliato a uno ladrone, secondo la legge Iustiniana, dando in ciò ancora debita satisfatione allo ingiuriato quando dicesse «tu dici el falso, o vero non dici el vero» e di questo resta satisfatto in lo conspetto de persone grande & de autorità; ma s’el primo ingiuriato è chiamato traditore & risponde allo ingiuriante «tu sei traditore, falsario, ladro, assassino, ruffiano, homicidiario», dandoli de molti e molti mancamenti allo primo ingiuriante, per havere detto più ingiurie & transgresso el modo de la defensione de la prima ingiuria, lo primo ingiuriante, se volesse venire per ciò a battaglia per quello, secondo la opinione de alcuni, non se pò negare el combattere, perchè da poi la satisfatione fatta per resposta che lui era lo traditore, accumulando & passando lo modo, lo impropriò falsario, ladro e ruffiano, come ditto è di sopra; ma la mia sententia seria non si debbe venire al combattere, perchè sempre se dà tutta la colpa al mentitore & a quello che fa li primi desordini de ingiuria & queste inexcesse ingiurie sono resposte fatte per lo provocato ad ira & dolore & è autorità dello Speculatore ch’el provocato sia escusato. | ||
Cap. 223. Se uno ingiuriato di verità può venire a gli cimenti del combattere.
Chi darà retto & sano iudicio in questo caso, degno de essere letto da chi harà honore, del certo bisogna essere de ogni parte, nè per misericordia, ira, invidia debbe sententiare; il caso è questo: uno chiama un altro «bastardo, mitriato notato contra i comandamenti della Ecclesia, falsario che committesse tale mancamento, tu sei zoppo, cieco & senza madre certa!», se queste ingiurie fusseno vere, se l’ingiuriato de tal ingiurie, conoscendole vere, potrà venire alli effetti con lui, stando la ingiuria vera; scritto è di sopra il combattere per religione della militia procedere, da difendere la verità & conservare la fama & la disciplina militare, nè per una fama a quella doverse venire. Adoncha qui è da distinguere ogni parte de tal querella, cioè s’el provocante ha processo a tale ingiurie, anchora che vere siano, con animo de ingiuriare o con animo de se guardare l’honore, non con volere però impire a tale vilania senza causa: se con animo de ingiuriare è loco del combattere, secondo la lege civile, e la ragione è questa, che stando per verità lui essere tale quale ingiurie dimostrano, non però apartene a boni armigeri a ingiuriare altro senza cagione, come che la humanità questo non ricerca, anzi coprire li defetti altrui quanto se può, non essendo interesso a chi le copre; e anchora che la dispositione de lege tale combattere a l’ingiuriato fosse concesso, non dovere intrare in el campo l’ingiuriato, perchè intrando seria la sua difesa senza iustitia, volendo defendere falsa, & se pure, baldanzoso, el provocato volesse de tale legge godere, se debbe procedere a eleggere el campo, arme e iudice & ogni altra particularità, secondo de sopra è narrato; e venuti davanti el iudice, debbe lo iudicante in ciò essere discreto & non dare el campo nè fare seguire el combattere & questo anchora che conosca havere fatto grande disonestà, el provocatore ingiuriare el provocato; nondimeno, stando le ingiurie vere, combatteria contra la verità il provocato, ma se solo l’ingiuriante sopragiungendo dicesse «io non ho voluto ingiuriare te, ma perchè de la republica li defetti de li huomini fusseno manifestati, acciò non vengano a dignità et siano fraudati li boni», in contrario, respondendo lo ingiuriato «io te provarò come non per tale cosa, anzi per me fare infame & chè altri sapesseno quello che tu solo di me sentivi, ingiuriasti», replicante lo ingiuriante, non obstante tale resposta, essere iusto lui havere ditte le ingiurie de sopra scritte, sì pare possere venire a combattere da corpo a corpo ad oltranza; el contrario se decide che, attento, la iustitia è certa in tale caso e non incerta, & solo l’ingiuriante rispondendo «io non l’ho ditto ad ingiuria» è sofficiente satisfattione tal scusa; et conoscendo el difetto suo lo ingiuriato doveria essere satisfatto, anchora che de ciò non fusse contento, per ben che la legge verrà a uno bastardo essere ditto el suo nome & così a uno mitriato o ad uno cieco o falsario per dirli ingiuria, salvo che se per suo interesse lo dicesse ad non perdere la persona o li beni per quello de la republica, chè tali defetti siano manifestati & non vengano ad acquistare beneficij, magistrati & altre dignità, chè tale manifestatione de defetti è licita, secondo Bartholo vole; e se per ingiuria se dicesse, el combattere è da denegare, come più tosto a vendetta che a manifestatione della verità seria la querella, come uno ismemorato conosce; et se lo ingiuriato cercasse desditta non seria admettere, come che contra de la verità se desdirà e non potria dire «io ho ditto el falso», chè menteria et de tale desdire in ultimi capitoli del presente libro più difusamente se tratta. | ||
Cap. 224. Che cosa è da fare se non se trova el richiesto al combattere.
Fu domandato da uno solenne et strenuo cavaliere: per uno gentile huomo fu mandato el guanto de battaglia a uno altro per offesa et iusta querela: colui al quale lo accettare era in potere se privò de la vista delli homini, donde lo Araldo o Trombetta per l’absentia del ditto non potesse appresentare la desfida: se domanda che doverà fare lo Araldo per possere seguire la sua commissione prima; ho visto de molti libri, havuta bona consultatione, così determinai che s’el guanto è mandato in un campo dove lo richiesto se governa per lo Capitano generale, overo ch’è sotto dominio de Principe, Re o altro Signore, in Città o Castello, nel campo, attendato quello che esso cerca da parte del provocante et non si trova, debbe lo Araldo al Duca dello esercito manifestare la sottomessa & domandar licentia al ditto Duca, over altro superior, de srechiedere il Cavalliere nascoso, quale presso al suo Padiglione alla guardia del Capitano tale sottomessa sarà nota; et ancora a la Piazza del Campo et dove tutti li buoni armigeri convengano fare tale ambasciata manifesta, et se in Città essendo Cortesano, alla Corte del Signore o al Castello o in ogni parte, dove ragionevolmente possesse tale richiesto intendere, divulgare, pigliando in ciò notari e iudicij et sufficiente cautella della diligentia et richiesta per lui operata & facialo intimare per editte et altre solennità: non rispondendo, questa sententia saria la decisione del caso, quale intenderete nel sequente capitolo. | ||
Cap. 225. Questa si tratta della medesima cautella.
Pote ragionevolmente quello Cavaliero che tale disfida di battaglia ha mandato a quello gentile huomo, con iusta querella & causa ragionevole disfidato, che occultando non responde & fuge il combattere non accettando & stando ascoso, merita, secondo il ditto di bono guerriero, procedere, secondo il stile da armigeri, fuora di ogni passione, chè operando tal nascondimento senza ragione o causa per la quale ragionevolmente se possesse defensare o, excusato per provocatore, chè il iudice admettesse la sua petitione, potrà il requisitore procedere al dipingere il richiesto, rivoltando ancora le sue arme in vilipendio suo & più oltregiandolo; essendo lo arbitrio del richiesto elegere il iudice, arme & campo, potrà lo requisitore, in contumacia sua, elegere iudice, arme et campo, bandendolo per codardo & huomo senza honore & convinto & confesso del delitto, quale era stato causa del combattere, per darli fastidio & rincrescimento, acciò comparendo accetti battaglia; quale cautella usata per lo requisitore, serà causa tra Cavalieri di fama farlo reputare codardo et huomo fuora de honore et de esso sarà fatto iudicio che non bastando defendere el suo honore non serà sufficiente defendere, al bisogno, il suo Signore, nè ancora sua patria o republica, essendo necessario. Questa sententia di legge Civile Vegetio conferma essere da Cavalieri inviolabilmente per lo honore, la morte non stimare ancora per salvare et defendere la sua republica et chi non stima il suo honore debbe essere tenuto huomo de repulsa et senza honore. Hieronomo, savio dottore, conferma questo, dicendo che uno armigero debbe cercare la cagione de mostrare la sua virtù militare, per venire ad acquistare fama & habiando ferite in le battaglie sono loro ornamenti, sia quale si voglia fingendo infermità & esilio e nascondimento nel bisogno, la legge Civile li dà punitione quando lo facesse per non esercitare la disciplina militare dove la necessità lo ricercasse, referendo Grimaldo, Cavaliere Romano, el quale ne l’hora delle bataglie fingeva infirmità & fu però come transfuga condennato; & son li codardi armigeri reputati morti in seculo & la faza de loro Signore non sono degni reguardare come vili codardi & senza animo, fama, honore, facendo comparatione come i morti; per la repubblica o per loro Signore & loro honore e fama e virtù morendo, sono vivi, per gloria reputati magnanimi & immortali; così questi tali mancatori de loro honore, vivendo, morti & non nati sono estimati, adducendo al mio proposito, Livio, sommo storiografo, al libro settimo Ab urbe condita, recitante Tito Mallio, cavaliere nobilissimo Romano, figliuolo de uno Consule, del quale sopra habbiamo parlato, che essendo di uno Tusculano, inimico de’ Romani provocato ad combattere, lui essendo gagliardo, animoso & sufficiente per satisfare al suo honore e non indusiare, accettò il campo senza licentia del Consule, non recordando dello Imperio paterno per la presta risposta a satisfare a lo honore del populo Romano, dove, habbiando vedutto la vittoria del nimico provocatore, le sucese la inhumana e severa morte: fu decapitato dal padre per havere prevaricato il precetto Consulare & paterno, quale non haveva accettare battaglia senza sua licentia: fu Tito Mallio più geloso de l’honore che della vita & più veloce rispose et presto con pericolo della persona che tacendo et vivendo havesse al suo honore mancato. O felice morte, che a Tito Mallio sei eterna vita, se dirà i spiriti gentili essere stata animosità al defendere del honore et la morte non curare! Questo è ditto per coloro che celandose non hanno causa de occultarse, ma s’el richiesto sentisse il requisitore non essere degno de honore et che fusse indegno & da se reprobare, ancora che non volesse comparire potria respondere «teco non voglio venire al combattere, se hai ragione nessuna: viene dinanzi al mio giudice & io te responderò con dovere»; & potralo dire con iustitia, reducendo al proposito uno detto de Frontino istoriografo, referente uno Cavaliero Todesco, provocante Mario Romano ad combattere da corpo a corpo, al quale Mario respose dirette al Germano Cavaliere se lui è disposto de morire, con uno passo de corda apicandose, se può satisfare, schifando con ragione la battaglia; e questo conferma Plutarco de Ottaviano, quale de Marco Antonio provocato al duello respose «Antonio, ad te son mille vie de morte, non cercare questa»; redutti adunque tali esempli alla dicisione vera, per fare fine dico essere arbitrio del provocato accettare il combattere o quella con colorare & bone rasone schifare, defendendose con i preditti. Augusto e Mario, però non tacendo & facendose fora de la compagnia de bon Cavalier, permettendo de farse bandire, ingiuriare dal provocante, anzi con astutia & colorate ragioni o con la spada iustificare la querella de la ragione vera. | ||
Cap. 226. Si tratta in che modo uno che ha iniusta querella può venire alli effetti del combattere con lo requisitore.
A vera dicisione di tale caso resta di dovere dechiarare la qualità delle parole sopra la quale s’è fondato, li armigeri requisitori & richiesti fondare loro querele per la iustitia & honore delli commilitoni; & per questo volendo dare dottrina utile & vera, dechiararemo con certe, con il quale accadendo il caso se potrà procedere alla disfida del combattere; dico adunque il primo esempio, che se uno armigero chiamerà uno altro traditore, quale haverà commesso tradimento contra lo suo Signore & dapoi lo Principe per sua clementia li haverà perdonato et restituito l’honore et la fama, et sopra ciò un altro armigero lo volesse incargare, chiamandolo traditore del suo signore, senza altra iusta causa, solo per ingiuriare, dico che tale querella e ingiuria seria indebitamente oposto, atento che stante la remisione del signore tal difetto di tradimento s’è purgato; ma se lo ingiuriato vorrà bene dire che la battaglia proceda, debbe dire «tu fusti traditore del tuo signore et se a questo tu vorrai negare io te lo voglio provare con la spada et sostenere come bono armigero»; et più se uno insultarà uno altro con una spada et lo insultato con bastone, donarà del bastone per quella spada et quello che receve le bastonate volesse dire «malamente me hai dato bastonate et contra ogni iustitia», tal ragione non seria bene fondata, però che con iustitia tal bastonate li donò, atento che chi va per dare cortellate e leva bastonate non se ha da lamentare, facendose ad defensione; et più, uno che dirà che sono ruffiano de mia mogliere, quale stando in casa mia se ha lassata maculare da altri, donde io responderò che non è il vero, come che mai hebbe notitia di tale defetto, nè di tale adulterio e se tu vorrai meco combattere, non havendo notitia del mio consentimento dello adulterio, combatterai senza iustitia. Più, se me dirai che io ho fatto le monete false, replicarò non essere la verità, attento che mai le feci, nè le cognosco, et se tu vorrai sostenere che io sia falsatore de moneta non sapendo la veritade, che io habbia fatta, per tanto io dico che haverai iniusta querella; & se me chiamarai traditore, dicendo che io habbia accettato lo ribello del Re & io replicarò non essere veritade, come che io non sapea tale essere in tal mancamento de la lege maiestà, nè seppi mai lui essere traditore, donde se vorrai sostenere che io non habbia notitia non constando della verità, & tu combatterai senza iusta querella & potria se difensare con iustitia; & più se me provocarai ad ingiuria, dicendome bastardo et replicarò non essere così, chè io son legitimato da lo Principe, volendo sostenere tal querella, iniustamente combatterai, salvo se dirai che io sia nato bastardo o de concubina; più, me dirai che io publicamente ho confessato questa notte havere scalato lo castello del Re et intrato dentro et questo non è il vero, & tu che habbi audita tal confessione da me dirai «io te lo voglio provare che sei traditore» come che l’habbi confessato, sostendo questa querella contra de iustitia, salvo se dicesse che hai confessato che di notte sei intrato in Castello, negando in tale intrata, la querella seria iusta: e però se debbeno le parole fondare sopra la iustitia & virtù & dove fusseno ditte alcune parole vere & false, debbeno fondare la mia querella sopra le false & se in nello processo & replicatione delle lettere se mostra non potere fondare la iustitia mia per le colorate resposte de la parte, se potria fondare in ne le replicationi che si faranno: cioè se io te richiedo de combattere, dicendote come me sei venuto meno de la fede che mi promettesti venire in tal giornata, et io te replico dicendo «io fui impedito de iusto impedimento et però non potei venire, essendo stata tempesta o altro iusto impedimento», replicasse non essere el vero, et lo replicante «tu menti come traditore», se potria dire «io lasso la prima querella abbracciando questa: dico che non son traditore et voglio la spada ne sia iudice»; altro caso se combattendo uno dirà ad un altro «defendeti, traditore», potrà lo ingiuriato dire «io me defendo et voglio combattere, chè mai fui, nè son traditore». Et altro caso uno dirà el mio patre essere stato traditore e io dirò che mente, replicarà essere stato con lettere alli nimici, et non serà vero, et sopra di questo pigliarò la querella, e serà iusta: sono questi exempli da defendere le querelle iuste & aiutare le false. | ||
Cap. 227. Se uno nobile può refutare de non combattere con uno armigero veterano, el quale non sia de natura nobile.
Uno nobile homo per natura che richiesto de combattere da uno armigero exercitato longo tempo in le arme, non de natura nobile, existendo tutti dui in lo esercitio, questo nobile lo rifiuta, come dire che lui non è nobile paro modo con lui contendere, lo armigero replica «io non intendo contradire parentela con ti, ma intendo per causa conveniente lo mio honore teco combattere et provare la tua forteza, la quale me hai offeso et fallita la tua fede» - lo nobile replica «tuo padre fu rustico et vile: trovate uno altro equale a te» - «chè? Io son nobile, perchè longo tempo ho esercitato la militia et l’arte militare per la republica & io fui fatto nobile & ho havuto honore in arme & imperò non me poi refudare, perchè in l’armi se ricerca la virilità & la esperimentatione & strenuità & non nobilità, nè delitie & quello è nobile ch’ha la exercitatione & la militare virtù in l’arme & non se lauda homo de virtude in soi progenitori, ma la laude debbe essere propria», e ‘l nobile, per sì stando in suo proposito dice «se Dio ha fatto te ignobile & me nobile, non intendo guastare quello che Dio ha fatto et le operationi della natura»; lo ignobile replica «la vostra escusatione non è bona, overo decala male ad me: è più quello ch’io per mia virtude ho requistato che quanto havere da vostri antecessori, da li quali degenerando tu vai alongando de quella virtù che ha fatti li toi antecessori generosi & nobili: imperò procederò contra te ad ogni infamia, el quale refidi lo militare officio, prodigo de tua fama & honore; tu sei armigero & io armigero: in questo exercitio sono a te equale e non poi refidare»; & essendo queste lettere, se debbe iudicare per iudicio di cavalleria se questo nobile per natura potrà refudare de non combattere con questo armigero nato de padre ignobile, essendo lui virtuoso & longamente usato e adoperato in esercitio de arme con bona honestà; & dico non potersi refudare, perchè la militare disciplina non se attende più la natura che la virtù, secondo che habbiamo soprascritto al primo capitolo, dove è per autorità mostrato che la esercitatione & longo esercitio de militia & battaglia fano uno essere bon Cavaliero & non l’ocio & le delicie, nè la natura paterna, la quale giovaria al mistiero de l’armi, perchè li nobili son più animosi & da la natura son generalmente prudenti nati & vocati a l’armi; ma questa sola natura non giova, perchè debbe essere esercitato & operare quello esercitio & non vacare in ocio in lo quale delette l’arme; vocando questa nobilità senza strenuità non serà laudata & imperò quello è nobile ch’ha la nobilità dalli progenitori, secondo che vedremo appresso; & dice la legge Civile che la militia armata & la disciplina militare fu prima che la legge de la nobilità induttiva allo esercitio de l’arme, lo quale pricipalmente se esercita per nobili: se attende più la strenuità che essere nobile senza quella virtù & non se riguarda alla nobilità naturale, ma alla nobilità della strenuità & virtù militare & a quella virtude la quale è più conveniente alla militia armata: questo se prova per la legge imperiale, che vole che uno servo, in arme valoroso, debbe essere aggregato per lo principe in lo numero delli Cavallieri militanti per la sua arditanza, licet sia nato oscuro & ignobile; et uno elegeremo a la militia lo quale serà provato & esercitato longo tempo in quello atto, serà estimato bon armigero et in lo numero delli altri, perchè la militia armata lo fa; & produce l’arte et la scientia et prudentia militare, la sola nobilità de natura, et per questo se reputa habile et degno & approbato ad esercitare l’arme, le quale danno nobilità, faranno nobile quello che sarà esercitato in esse; et dice Tullio che quello che Scipione molti anni meritò per la virtude, hora possano la militia armata et lo Papa nomina nobile uno che ha esercitato la militia armata et dona honore a quelli che sono in defensione de republica & continuo in le arme hanno dignità, come più sia la defensione de la patria che cosa che se possa in questo seculo operare; & de questo ne apareno assai esempli & precetti de li Romani, quali alla morte andorno per la loro patria; & questo dice lo Decreto et Vegetio De re militare e sono adhonorati de honore & son più alti et degni de coloro che vacano in ocio & non hanno questa virtù o simile; questi armigeri son privilegiati de molti privilegi in tutti i libri de la legge, li quali privilegi non hanno che gli homini di natura nobili che esercitano l’armi; & è in tanta eccellentia la virtù militare che non può essere constretto ad essere in militia armato se non li nobili de natura & sono reprovati li rustici per denotare la sua eccellentia, la quale nobilità se acquista per l’arme per li rustici & non nobili per longo esercitio, habiando acquistata quela virtute della strenuità de l’arme, venendo de grado in grado, di tempo in tempo, se esaltando, chè prima son ragaci, dapoi sono famigli armati, dapoi, essendo provato la loro virtude & esperimentata, son tratti huomini de arme, date le arme & cavalli & habbiano condutta et altri sotto lori & portano li cimieri in l’elmo loro in segno di honore & con quello son coronati & signati per demostratione de le loro virtude et son fatti nobili, essendo posti in lo numero grande et loco delli Cavalieri armati; et per tal virtù serà deletta la viltà paterna et acquistarà nobilità, perchè sono in officio de defensione de la republica & compagni deli principi, li quali appellano loro comilitoni & compagni; & è tanto lo honore delle arme che lo Imperatore se fa nominare huomo de arme o cavallier in arme; & è tanto lo honore de l’arme che uno Imperatore, Re o Principe, el quale tiene somo grado, degni d’honore et da lui procede tutte le degnità mondane, come l’acque fiumare del mare: essendo valoroso in arme & armigero sopra tutto, tutte le sue dignità acquistaran questo honore, et sarà tanto più degno Imperatore, Re o Principe, quanto più adunque la virtù dell’armi, che dà honore sopra honore et dignità aggionge al mare d’ogni dignità, et in tutte le gran dignità s’intende la virtù et non la natura sola. Et questo si prova nel Re David et Re Saul, i quali furono pastori et dopo Re, per virtù regnante in loro; et se in loro non fosse stata la virtù militare, Iddio non li haveria eletti al regno; et questi armigeri si trattano per le leggi civili come nobili et per delitti militari son puniti come li nobili et non come li plebei et vocando in armi son tenuti a servitù personali, li quali s’imponessero alle loro città et non sono tenuti a fare officij vili et dopo che son vecchi son trattati et honorati per la legge come nobili; et dice Bartolo che uno ignobile per natura sarà conversato in l’arme per la Republica et per anni dieci farà lo esercitio della militia armata: vivendo virtuosamente sarà nobile; & perciò dico che potrà combattere con un nobile per natura senza potersi rifiutare, perchè sarà di eguale nobiltà, specialmente quanto all’arme, fin che sarà ne gli esercitij d’arme & farà l’arte militare; & di questa nobilità diremo appresso, oltra le cose ditte di sopra. | ||
Cap. 228. Dove si tratta se uno nobile di natura potrà provare uno Conte o Barone.
Uno nobile di natura & di quattro gradi discendente di nobiltà, offeso o ingiuriato da un Conte o Barone, lo sfida a combattere: quello rifiuta com’a dire «io son Conte con titolo di contado & tu non sei se non un simplice gentilhuomo: non intendo contendere con teco, per niente farti pare et uguale a me»; se dubita se ‘l conte lo può rifiutare, overo se gli potrà dare il campione: li nobili di natura dicono che non ponno esser rifiutati da niuno Signore o Conte, o li Signori dicono che lo posson rifiutare, per rispetto della dignità, gli Araldi et officiali di mare dicono che uno nobile di natura non può esser rifiutato da nissuno Conte o Duca o Signore; & questo dicono ancora gli armigeri, gli giuristi, che la nobiltà per natura & per virtù è più ferma che la degnità, perciocchè questa dignità si dà et toglie come una veste, et la nobiltà sta ferma perpetuamente, secondo che dice Messer Baldo; et la dignità è accidentalmente et la nobiltà è nata da gli antecessori et dalla generatione et la nobiltà non nasce in uno momento et sta in molti antecessori nobili, et però si dice la nobiltà più esser ferma che la dignità, la quale non ha radice et facilmente si perde et toglie & la nobilità non si può facilmente togliere, chè la natura è costante & perpetua, eccetto per gran delitto, & la dignità è accidentale. Et dice il savio che la gloria dell’homo è della nobiltà paterna & la dignità non è da più che la nobiltà et la virtù, et la nobilità è da esser proposta alla dignità; però dice il Decreto et il libro dello Ecclesiastico che la sapienza conforta il sapiente, sopraddice Principi di città et nella sapienza si dinota la nobiltà; et secondo Boetio lo nobile per virtù si debbe anteponere al nobile per dignità et questo si dimostra, perchè la nobiltà è honore supremo, il quale è conveniente alli Re et a coloro i quali vogliono pervenire alle gran dignità et scrive lo Ecclesiastico “beata la terra c’ha il Re nobile”, cioè nato di stirpe regia et dice che non si trova officio nè dignità nè honore nè altra eccellenza che sia più che la nobiltà con virtù mista et non è cosa sopra alla nobiltà; perchè l’Imperatore non è più che nobile o nobilissimo, nè il Re è più che nobile, secondo il Papa, solo scrive a’ Re nobili viro; et dice la legge civile che i nobili s’eleggon alle dignità. Et queste nobiltà temporale son da Dio instituite, come disse Bartolo, et allega lo Libro del Re, et questa nobiltà è la porta ad ogni dignità; et alcuni dicono che li Conti et Baroni hanno nobiltà perchè dominano li vassalli in copia nobile et non nobile, et questa ragione non tiene, perchè se li Conti hanno questa nobiltà data dal Principe, lo nobile etiam ha nobiltà data dalla natura et dalla virtù sua; e questi allegano in lo Libro delli feudi, che dice uno che non è cavalliero non poter combattere con uno cavalliero, nè uno rustico potere combattere con uno nobile, et dicono che li Conti signoreggiano li nobili del suo contado et fanno huomini nobili dando feudi nobili, et la dignità del Conte è Reale, data dal Re, secondo è socio de Re: donde non pare che in pregiudicio del stato e de la Republica et della dignità comitale, che dabbia esponere la propria persona, obligata alla dignità, a pericolo di morte, essendo lui persona publica e ministro della sua Republica, come di sopra ditto habbiamo; parlando delli Imperatori diremo appresso che tal dignità è incarico di tutta la universalità del contado et per causa privata non si debbe far preiudicio a le cose publiche et imperò doveria poter dare campione, il quale al nobile che sia persona privata; & molti sono li privilegi de le persone poste in dignità & specialmente che in le cause criminali litigano per procuratori, dove le altre persone private debbono venir personalmente & non possino esser posti a tortura che se fa per se stessa per manifestare la virtù & ancora non può uno essere incarcerato, nè esser giudicato senza giudici pari & uguali a loro; & habbiamo detto di sopra che li Conti, secondo la legge Civile & Lombarda possono dare il campione, eccetto quando combatter si dovesse per infideltà commessa al vassallo; ma credo ch’in ogni pregiudicio d’arme non se osservarà tal legge, che un Conte, per offesa o incarico fatto per esso, dovesse recusare uno nobile di quattro gradi di nobiltà, per le prime ragioni che habbiamo scritte; & dirà questo nobile «io non curo della tua dignità, ma dello mio honore & non ti disfido come Conte, ma come tale ne provoco la degnità tua, la quale se sta al pare, chè sei più obligato a la Cavalleria et a lo honore militare che alla dignità comitale»; la quale dignità si perde per infamia, come ditto habbiamo; essendo questo atto di militia, uno Conte non lo debbe potere schivare, perchè è suo officio esercitare gli atti militari et diffendere lo honore proprio, essendo compagno de Re et obligato accompagnarlo in le battaglie, tenuto operare la militia in mostrare ardimento di satisfare alla sua fama et honore, altrimenti sarà tenuto et reputato vilissimo, et secondo la legge quello che non stima la sua fama è traditore a se medesimo; et dice Messer Angelo da Perosa che uno Cavalliero, il quale schiva et vieta di non combattere dove bisogna, incorre in infamia grande. Et fra li altri Cavallieri et Baroni dice la legge che se a uno Cavalliero sarà ditto «se non mi farai tale promessa io non te farò combattere» et quello che per timore di non essere privato del combattere farà questa promessa, se potrà rompere come fatta per iusto metu; et ancora quando fusse constretto di promettere di non combattere che potria rivocare quella promissione, come fusse fatta per forza et contra allo suo honore, perch’è obligato alli casi mercenarij a fare lo suo officio militare, altrimenti commette falsità alla militare disciplina; et imperò uno Conte non può rifiutare di combattere con uno nobile per natura, chè è obligato per officio di militia farlo, ma per ragione di legge potria dare Campione uno altro nobile, eccetto in caso di tradimento di Re o della patria o di homicidio et di infideltà al vassallo a combattere con la propria persona, se non fusse vecchio o indesposto alla battaglia. | ||
Cap. 229. Della eccellenza & dignità dell’armata militia.
Dice la legge, in ogni atto di virtù s’attende la dignità de gli huomini, la infamia si dispregia & massime nella militia armata, la qual prima da Iddio venne per conservare la giustitia & per l’ubidientia de’ sudditi & per ampliare l’Imperio del mondo da Iddio dato & per punire li superbi & ribelli & per haver la pace e tranquilità in questo mondo, la qual si turba per la guerra & superbia de’ tiranni & prohibire le violentie, alle quali gli huomini son inclinati; & questo si governa per la forza & sudore delli cavallieri & genti d’arme per voler di Dio, dal quale alla prima età processino li belli et battaglie, quando permesse Re David combattesse con Golia & l’occidessi & ordinò & permisse l’arte militare, per le cause c’ho ditto di sopra; & per incitare le genti alla militia donò infiniti privilegij a quelli ch’esercitassino le armi, dando punitione a quelli che vendessino loro arme o che di quelle facessino stromenti rurali, aratri o zappe, & più che huomini infami non potessino militare in l’armi, nè rustici, o negotiatori, nè artefici, o di mala vita, ma che dovessino esser virtuosi, nobili & di buona fama, che giurassino diffendere la Republica & non evitare la morte: però nella militia è gran religione, per li precetti di virtù & per li giuramenti; & perciò quando si viene a gli effetti di combattere si fanno ripulse, per non haver da combattere con quelli che indegni & reprobati fossino & doveriano esser scacciati dalli eserciti & arte militare; & perciò la legge civile, che parla de’ feudi, volse ch’uno cavalliero non disditto da natura militare, lui et suoi antecessori, non potesse richiedere a personali battaglie un cavalliero di natura non eguale a sè provocatore, ma più degno; & questo non è in osservanza nell’arte militare, ch’uno rustico non potesse appellare a combattere un nobile, ma un cavalliero in arme potrà combatter con un cavalliero di dignità, creato ad un Principe per honore; & così un buono armigero lungo tempo conservato in armi, che fosse di buone virtù & costumato, non potrà esser rifiutato da un cavalliero, o nobile di natura, volendo combattere con lui per causa d’honore, over che fosse provocato dal nobile non lo potria dopo rifiutare; & ancora uno nobile per natura di nobiltà d’arme, che fosse virtuoso & degno, per causa del suo honore & fama offeso da un gran Signore, potria dire «voi m’havete offeso l’honor mio & fama: io voglio con la spada provare haverme offeso ingiustamente» & questo saria tenuto per ragion d’arme rispondere con la propria sua persona, over dare uno campione simile, che combattesse sopra quella querella, altrimenti restaria con poco honore & saria stimato vile & da niente; Imperatore, Re o altri Principi & in ogni ordine di Cavallieri saria giudicato, dover rispondere per sè o per campione, perch’è la nobiltà di tanta eccellentia, che fa habile l’huomo a pervenire ad ogni gran dignità Imperiale, Regia & Ducale; & uno Re, Prencipe o Duca, in sè & non per la dignità è più nobile che un altro nobile per natura, o per nobiltà d’armi o di virtù & potria dire ad ogni Signore «se nobile sei & io nobile sono et uguale a te a venire alla dignità come tu, se Iddio over la fortuna lo volesse»; & per non venire ognuno ad egualità con li nobili, dice Baldo che uno vile non potrà combattere con uno nobile, per non montare a tal dignità, però huomini infami saranno riprobati di non combatter da persona con nobili & la mala vita non fa montare gli huomini a quelle cose che a loro non s’acconviene, nè farli uguali alli virtuosi con loro ardimenti; dice Sallustio “chi contende con huomo misero et vile, simile a lui si fa” & vuole la Lombarda di tutti quelli che son prohibiti per loro infamia, delitti & mala vita di non essere oditi in avocare il giudicio civile, son prohibiti in giudicio d’arme, per la turpitudine di loro vita, perchè gli avocati contrastano con lor scientia e con la voce al iudicio civile et li armigeri con la corazza e con la spada al iudicio della battaglia, over militare, et in ciò son tali giudicij, in battaglie giudiciali di arme, et questi huomini vili et infami come son cacciati da testimoni et da non potere accusare et da ogni degno officio, così si discacciano da l’arte militare, dalla presentia & dal comitato di ogni Principe; & questi son quelli che essi, o loro antecessori, havesseno commessa proditione contra lo Principe o contra la patria et non fusseno restituiti, perchè in tal caso loro et li discendenti, non nati fino al terzo grado, haranno tale repulsa; ancora un nobile o armigero che fusse stato transfuga a l’hoste o alli inimici del suo Signore, o che allhora havesse alcuno segno o avisamento in detrimento del stato, o che per delitto militare fusse stato con infamia da l’esercito cavato o rimesso di fuori, questo tale non potria combatter con un altro virtuoso armigero, nè potria stare alla città Imperiale o regale, in la quale l’Imperatore, Re o Principe tenesse la sua sedia; & similmente quello armigero o Cavalliero che in lo dì della battaglia si partisse dallo esercito dalle bandiere o dalla sua squadra per non se trovare battaglia, saria infame & di capitale pena degno; & quelli Cavallieri o armigeri che comettesseno delitti, dishonesti a loro militia, che fosseno ruffiani, tenendo meretrici in guadagno, questi la legge li tiene in grande infamia; & ancora che fusse hospitatore o tavernaro publico & che non oservasse lo iuramento che prestano li cavallieri & fusse pergiuro o prevaricatore o che in lo esercito movesse seditioni o romori in detrimento del stato del suo Signore Duca o Capitano & che fusse preso da l’hoste & potesse ritornare & non ritornasse, perchè saria riputato per infame; et ancora che mandato fusse ad esplorare li progressi delli inimici & restasse con loro, qual più sarà transfuga, overo uno rustico et obligato ad altri, il quale in fraude venisse ad arte militare o chi manifestasse li secreti alli nimici, overo chi, per timore di battaglia, in la giornata infirmità dissimulasse, chè sarà desertore della militia; quello ancora che lascia il Signore alla battaglia & fugirà, perchè commette infideltà & incorrerà in grande infamia, come quello che cercasse amicitia con li nimici del suo Signore; commetteria grande infamia quello ancora che con fraude lasciasse il vigilare et custodire dello esercito di notte o di giorno, o la guardia della persona del suo Principe: sarà in pena capitale con infamia; et uno cavalliero, quale in tempo di guerra alienasse tutte l’arme, ch’è deserto della militia armata, et tale che con opera sua procurasse che gli nimici pigliasse li fideli et parte se l’opera procurasse coloro: et questo secondo la legge Imperiale sarà in pena d’esser posto in fuoco vivo; et quel tale ch’è publicamente escomunicato, et fosse usuraro, qual è infame, o uno mancatore di fede heretico, et ogni nobile ch’esercitasse mestiero non conveniente alla sua nobilitade, è a l’arte militare non condegno, et generalmente ogni huomo che fosse in grande infamia per alcun suo delitto, perchè per la infamia si perde la nobiltà; et similmente un bastardo figliuolo d’huomo nobile, che non havesse una gran virtù, si rifiuta, perchè li bastardi son stimati vili et ignobili et non della casata, riservando s’el fosse moderato et in arme lungo tempo praticato et virtuoso, il quale in caso di proprio honore non si riputaria per giustamente, perchè la natura humana è commune a tutti, et essendo tal bastardo legittimato dal Papa o da Principe, per matrimonio seguente, se fosse virtuoso non si potria ripellare, perchè tutte le leggi et decreti dicono che sono simili alli legittimi; et se fosse dato un bastardo a seguire la corte del Principe lungo tempo, acquisterà privilegio di legittimatione et non si potria rifiutare per questa via, riservando per gran vicij et difetti per li quali incorresse infamia intollerabile: et questo per la religione, ch’è in l’arte militare, la quale recerca grande observatione di virtù & la militare disciplina ha molti precetti descritti in la legie, li quali chi li possa ha gran principio & tale disciplina caccia tutte le infamie da sè & dalla militia: imperò al combattere molto se attende la fama & l’honore & la virtù. | ||
Cap. 230. Si tratta se uno armigero rusticano, lassate l’arme, se dipoi potrà venire alli cimenti del combattere.
Habbiamo di sopra esaminato pienamente che uno rustico, overo ignobile, lungo tempo esercitato in arme, potrà provocare per causa del suo honore uno nobile per natura a combattere da persona a persona, ma dubitasi s’uno armigero rustico per natura, esercitato per lungo tempo in arme et dopo lasciato l’esercitio dell’arme non per delitto, nè per mancamento, volontariamente habita in casa sua antica & vorrà richiedere uno nobile per natura a dover combattere con lui per causa d’honore, se lo potrà fare senza ripulsa. La legge civile dispone ch’uno rustico non può provocare uno nobile a battaglia personale; questo provocatore allega che lui è fatto lungo tempo, esercitando l’arte militare et per questo è nobilitato; dall’altra parte si allega all’incontro che gli armigeri godono il privilegio militario infinchè sono in arme & fanno lo esercitio militare, cioè l’arte dell’arme, overo finchè sono in lizza & stanno preparati all’arte militare & questo ha lasciato l’esercitio militare & è ritornato alla pristina rusticità: & hor si dimanda che vorrà la ragione; dico prima, che uno rustico, che harà fatto il mestiero de l’arme longo tempo e che sia accettato in lo esercito per armigero, finchè serà in campo potrà combattere con ogni nobile per natura, in campo e fora de campo. Ma tutte le leggi voleno che dapoi che lassa in tutto mo mestiero de l’arme et andasse in casa sua, non ha quelli privilegij che godeno li armigeri, eccetto s’el va per pace fatta o con licentia o con proposito di ritornare, e quando sta in lista, o preparato a l’arme; e questo harà loco quando serà redutto in casa sua senza mancamento e quando doppo longo tempo esercitate l’arme, per infirmità o vecchiezza o per havere passati vinti anni in lo mestiere, allhora ha privilegio di cavalliero veterano, che non serà tenuto a servicij da persona vile e serà trattato alle pene come nobile & haverà molti altri privilegi per la legge Imperiale; et imperò questo, havendo fatto lo mestiero de l’arme longo tempo, fidelmente, virtuosamente & dapoi andarà senza ignominia et infamia licentiato da’ superiori a reposare a casa, non perderà la nobiltà acquistata per la virtù militare e quella goderà vivendo nobilmente in casa; e vuol M. Andrea de Isernia che uno nobile, habitando continuo in loco rustico si reputa nobile come habbiamo ditto, onde questo potrà combattere con uno nobile, non obstando che habitasse in loco rustico, perchè l’honore e nobiltade per virtù e per arme acquistata non si perde senza delitto, eccetto quando fusse licentiato da l’esercito per grande delitto commesso o che fusse di là fuggito non finiti li stipendij o quando vivesse vilmente commettendo latrocini o esercitasse mestieri vili appartinenti a lui, o stesse a servigi di persona ignobile, over commettesse viltà & negoci ad huomini nobili, non condegni, chè allhora saria macolata lor nobiltà per arme acquistata, riservando, secondo l’Imperatore, volesse che dessino opera alla cultura, qual è permesso a’ Cavallieri che fossino rimessi a tale esercitio con buona licentia o ad altri negoci honesti; & fa differentia l’Imperatore dalli privilegi dati a quelli ch’esercitano l’arme et quelli che godono gli armigeri che per vinti anni esercitate l’armi, e finito il stipendio o licentiati dallo esercito per causa honesta, andaranno ad ociare et riposare, perchè questi godono privilegi di decurioni & di veterani nobili & sono appellati veterani, ma quelli che sono nel fervore delle armi godono più grandi & diversi privilegi, dati per la legge Imperiale, delli quali privilegi militari parlano più & diverse legge Imperiale. | ||
Cap. 231. Se uno artefice, seguendo l’arme & non lasciando il suo mestiero, può combattere con un altro armigero.
Dimandasi una questione necessaria al nostro proposito, se in campo saranno huomini negociatori o artefici et vili et faranno esercitio d’arme, essendo a soldo stipendiati, a piede overo a cavallo, come huomini d’armi et faranno l’arte loro, in campo per causa di loro honore provocare a combattere coloro un altro stipendiario nobile, overo huomo d’arme da honore, se potranno essere ricusati: dico sì con tal ragione, perchè quello deve essere ammesso a combattere con un huomo nobile, il quale sia huomo da potere esercitare l’arte militare secondo la legge d’Imperatore; quelli che esercitano arti mechaniche non debbano essere ammessi alla militia armata, nè ad esercitio d’arme, eccetto li nobili, et tutti negotiatori sono prohibiti dalla militia armata et similmente quelli che son proposti ad alcun mercimonio o a tenere statione, commercio o prattica o che faranno mercantie. Et questo dice Avicenna in una constitutione fatta sopra a simili, et fu indotto per ragione che in loro non regna animosità, nè utilità, nè constantia et debili, non disposti et non habili a l’arme et per ogni piccolo disagio vengono ad infermità et sono instabili alla battaglia et codardi et stanno con l’animo più disposto a loro che alla virilità et più alla pecunia et al guadagno che alla militia, et son sottili et non si deve ponere speranza in loro che possino dare la vittoria, ma più presto sono atti a fare consiglio et cogitano di fuggire, secondo che dice Vegetio, De re militare, che da gli eserciti si deveno cacciare da’ porci salvatici, che si possono accompagnare alla militia, che sono forti et robusti; dice Marco Catone havere audito, nel Bello Macedonio, non esser licito dover combattere con quello il qual non fosse armigero; vuole la legge che quello si deve pigliare all’esercitio d’arme che fosse nato di generatione armigera et huomini non nobili non possino esser della militia accettato senza licentia del Principe, perchè lo figlio suole esser simile al padre vile, et li plebei non si ammettano all’arte militare, secondo la legge Imperiale, nè servi o altri obligati di persona senza licenza del superiore et senza se vedere esperimentation grande di loro; et come habbiamo detto in un altro capitolo, huomini nobili ponno esser costretti all’arte militare per il Principe et non quelli che sono vili et ignobili et però potranno esser rifiutati dalli nobili et altri armigeri d’honore et tutti et li sopraditti, perchè sono prohibiti di esercitare la militia armata et saria carico di combatter con loro et la vittoria di questi tali non daria honore, nè fama, nè palma di vittoria. | ||
Cap. 232. Si tratta di uno che alla battaglia commette delitto, se per quello può esser ricusato.
Disfidati dui armigeri a combattere di tutta oltranza, a tempo d’uno si mostra secondo è solito, et prima che la giornata stabilita, uno di loro commetterà gravissimo delitto, per il quale riporta gran nota d’infamia et tale che se dal principio fosse stato con quella infamia sarebbe stato giustamente ricusato; et venendo la giornata l’altro manda la imbasciata, dicendoli che non delibera combattere con lui per causa che lui è armigero riprovato per tal malvagità et cattività dell’honestà c’ha commessa; quello replica «lo recusare si fa dal principio et non è fatta et ante approvata la mia persona, non la potresti più ripellare, et li patti sono fatti et il giudice ch’è diputato et ha differita la giornata diputata, et alla giornata non s’aspetta se non di combattere»; questo replica «il tempo della nostra disfidatione voi eri bello et netto armigero; dopo, primo che la giornata, voi siete caduto in tale infamia et mancamento»; dimandasi al giudice se tale armigero potrà rifiutare di non combattere con quell’infamiato: dice che sì, perchè non è differentia che uno sia dal principio armigero riprovato e che, di poi fatta la disfida et date le lettere del combattere, sia da recusare et rifiutare per causa di nuovo sopravenuta, la quale non era in tempo del segno accettato; & questo ditermina la legge, che ogni dignità, honore, preeminenza, officio et habilità data si perde per infamia, delitto o crimine, che dopo data la dignità si provasse, et specialmente un Cavalliero venuto alla militia armata, se dopo che sarà scritto al nimero et lista delli Cavallieri commetterà mancamento o delitto militare, sarà con infamia rimesso et deietto dallo esercito et soluto da ogni sacramento che prestato havesse et toltogli li militari segni et stimati, sì come ancora una donna si potrà rinonciare dal marito per adulterio che commettesse dopo fatto il matrimonio, ma non per quello c’havesse fatto innanzi; et così ancora, havendo giurato un Cavalliero ubbidire uno Signore, non sarà tenuto, se quello doppo commettesse delitto, per il quale non fosse da essere ubbidito dalli suoi o scommunicato; et ogni promessa & giuramento, s’intende stando la cosa in quel stato che sarà quando si fa o riservando la causa nuova che sopravvenisse; et il Decretale dice: “se io prometto sposare una donna et dopo gli fosse cavato un occhio, non sarò tenuto farlo”; et Seneca alli libri de’ beneficij dice: “acciocchè l’huomo sia tenuto fare ciò che promesso haverà, è necessario che non sia innovata cosa, per la quale il promissitore non sarà tenuto di farlo”; et imperò per nuovo mancamento sopraveniente potrà esser ricusato et rifiutato. | ||
Cap. 233. Come dui armigeri combattendo, l’uno disse all’altro «io mi rendo!» & strinse la spada & uccise il nemico.
Duoi armigeri combattendo in lizza a tutto transito & dicendo l’uno all’altro «renditi a me!», a cui l’altro rispose «io mi rendo!» &, dicendo tali parole, subito stingendo la spada, senz’altra risposta in tal modo percosse il nemico, che incontinente morto lo abbattè. Onde dubitandosi se quello c’haveva lo nimico ucciso, in tal caso meritassi esser lo vincitore; & essendo molte ragioni in contrario che non solo vincitore, anzi perditore rimanessi colui che per confessione di sua propria bocca, per prigione al suo nimico si vendette, chè di ragione non puote, nè deve il suo superatore più offendere, attento che per le parole l’huomo si liga; & dice M. Angelo da Perosa che tanto vale a dire «io mi rendo a te», quanto se dicessi «io ti dono la fede»; però si potria rispondere all’incontro che quando gli fatti non corrispondenti alle parole adoperati, ancora che dicessi «io mi rendo», mostrando che l’animo nella mente si consentiva, non si giudica esser renduto; attento che in tempo che le parole pronontiò, per gli fatti mostrò l’animo di quello esser molto alieno & perchè nel combatter, più che le parole si dinota, per causa che la mente è quella che fa gli fatti adoperare & quello che è nella mente, nelli fatti si dimostra & li signali son quelli che la intentione dell’animo manifesta & nell’huomo più la volontà che le parole si dinota. Onde havendo il renduto percussore, dicendo di parole, il suo nimico ammazzato, come vuole la legge, da più si stima ciò ch’è fatto & non parole dimostra; & Tullio dice: “dove sono li testimoni delli fatti, non son necessari quelli delle parole”; & più presto per li fatti le parole che non le parole per li fatti si comprende la volontà dell’animo, perchè li fatti più volte con le parole non si accordano & per quello solo li fatti notando s’hanno da seguire; & havendo li fatti l’homicidio è seguito, dimostrano le parole esser state derisorie & ditte per inganno, sì come per effetto gli atti hanno dimostrato, chè molte volte per parole la volontà dell’animo si recita, sì come nell’esempio del nostro Redentore Giesù Christo: si dinota che li perfidi Giudei diceano con false saluti: “Dio ti salvi, Re delli Giudei!”, dicendo con perverso animo tale vilissime parole a tanto Signore, condicente il suo santissimo & venerando volto con fortissime guanciate percoteano, dimostrando le parole dalli fatti esserne molto da lontano; onde dalle parole lo effetto si considera, perciocchè si presume ogni huomo essere dal principio come fu alla fine & perciò dicendo l’effetto per lo effetto non esser vero si dimostrano, sì come avviene che uno spesso farà il contrario di ciò che per esso è stato ragionato. Onde concludendo, dico quello esser vincitore che per gli fatti & non per parole la generosità dell’animo ha dimostrato; però si ha da vedere se colui che si rende, da lì a un certo spatio di tempo & non in quell’istante havesse percosso il suo nimico, dopo havendo accettato la sua disditta, & per traditore & per perditore si condanna, che per li segni si può chiaramente conoscere, colui il quale accetta la redentione del nimico, li quali sono questi: non offendendo più, ditte le parole, il suo renduto, over recessandosi indrieto, riponendo la spada, togliendo l’offesa; questi sariano segni havere accettato il nimico per perditore; & quello il quale offendesse da lì a un certo spacio di tempo il suo vincitore commetteria tradimento et premio di vittoria non meritaria; ma volendo dicidere il presente caso, al giudicio de’ preposti et de’ spettanti si rimette, quale haveranno potuto vedere & intendere gli atti & parole con qual modo & dispositione furno adoprate et prononciate, se’l ferire fu per alcun spatio dopo accettata la submissione, o di continente ad uno tempo li fatti con le parole ditte. | ||
Cap. 234. Se ‘l vincitore accetterà il superato per suo prigione & dopo rilasciato con promissione di ritornare, & non volendo, se potrà per il Signore esser costretto di ritornare.
Seguita una antica questione, d’uno che fosse preso in campale, overo in particolare battaglia & fosse dal suo superatore a fede relasciato, se per giustitia potrà esser dal suo Signore costretto del ritornare & se tenuto sarà ad osservare la promessa. Baldo dice che all’huomo nimico della Republica non si debbe nè fede, nè promissione osservare, sì come vuole ancora il Decretale: resta però in suo arbitrio il ritornare, sì come dice d’uno che fosse per la vita incarcerato, contra giustitia ritenuto & alla fede relasciato, non è tenuto alle carcere ritornare; ma quando fosse giustamente detenuto, saria tenuto ritornare, essendo sotto la fede rilasciato & peccaria fuggendo tale carcere de’ nimici quando fosse preso in licita battaglia, sì come colui che fosse per giustitia a morte condannato, rompendo le carcere della Republica peccaria; ma quando fusse preso d’altrui di strata et di genti d’arme che andassino incorrette contra l’usanza di guerra giusta o publica, color che fossino da tali presi non sariano tenuti a loro richiesta ritornar per pagare la taglia, quando fosse guerra nelle città, ma essendo licita sariano giustamente presi et tenuti di ritornare, come vuole Bartolo et Innocentio; et in caso che fosse dubbio se la guerra fosse licita o illicita, è tenuto per fede ritornare, ma quando chiaramente conoscesse che ingiustamente fosse preso, benchè facesse giuramento di ritornare, non saria tenuto ad observarlo. Et Baldo dice che se uno Cavalliero promettessi d’andare ad un certo luoco in termine d’un mese et fosse per il cammino da uno Barone per comandamento sotto pena impedito, che non si dovesse da lui partire, restando per tale impedimento, non è giusta la causa, attento che deve fuggire per non esser giustamente ritenuto, salvo s’havesse giurato di non ritornare; onde conchiudendo dico per giustitia civile si deve osservar ciò che di sopra è ditto; però li armigeri cavallieri vogliono che senza distintione in guerra giusta o ingiusta si deve totalmente osservare, così ancora coloro che fossero presi in duello celebrato dinanzi al giudice competente, essendo alla fede liberati, la deveno osservare, salvo se dall’Imperatore fossero impediti, com’è ditto; et habbiamo ancora ditto di M. Regulo Romano, che, certo della felice morte, ritornar volse per la promessa fede non mancare, riputandosi per gloria vivere, essendo perciò estinto & cruciato. | ||
Cap. 235. Se uno superato, per prigione accettato & alla fede relasciato, se potrà riscoter la fede per danari o premio.
Uno che combattendo fosse a tutto transito preso & per benignità del vincitore fosse liberato sotto fede di ritornare ad ogni sua richiesta, volendosi liberare per danari della obligatione della fede, si dimanda il giudice se giustamente può ricercare il suo vincitore: secondo la legge Civile si termina che sì, per togliere la molestia & per il periglio & per la spesa fatta per il vincitore & prepararsi al combattere, conducendosi da parte lontana per cagione del ditto combattere, nel quale havendo vittoria & prosontione c’hebbe giustitia. Dice Innocentio che colui ch’ingiustamente muove la guerra è tenuto alla emendatione delli danni & spese contra di cui è stata la guerra & perciò il perditore, qual si presume contra giustitia haver combattuto, si potria riscuoter così come in guerra giusta fosse stato preso; et colui che ‘l riscuotesse per danari dal suo vincitore, giustamente lo potria eleggere & incarcerare & tenerlo per nome di pegno, infino a tanto che da lui havesse il suo denaro, secondo la legge Civile; dice più che in caso che non havesse da pagare il suo riscatto, servendo per spacio di cinque anni saria libero & non saria tenuto a pagare gli alimenti ricevuti, & quando ch’uno fosse prigione per danari è tenuto quello che lo tiene in suo potere a qual si voglia prigione & chi volesse per buon servo riscattare, dargli libertà per quella taglia che per lui fosse fatta, la quale poi ch’una volta fosse stabilita non potria sorgere nello augmentare lo pretio, havendolo pagato non se li potria niente più dimandare; & in caso che non havesse da pagare si può dimandare il suo servitio d’un certo tempo per ristauratione della pagata taglia; però volendo esercitare in sevigi vili, disconvenienti alla conditione del prigioniero, non saria tenuto servirlo & giustamente potria fuggire; ma quando per pietà lo liberasse o, per qualche altra cagione, di non chiederlo, non saria tenuto pagarlo et in caso che havesse in dono uno prigione dal vincitore ricevuto, lo potrabbe riscuotere, come quivi appresso distintamente vederemo. | ||
Cap. 236. Modo di sapere se uno richiesto, deve ritornare alla data fede, allegando impedimento, se sarà da essere udito.
Un prigione è liberato in battaglia particolare sotto fede di ritornare ad ogni richiesta del vincitore, del quale essendo richiesto, allegando impedimento, non ubbidì: si dubita se giustamente deve essere escusato. L’Imperatore dicide che s’un soldato sarà richiesto dal suo Capitano che debbi a tal giornata comparire, nella quale s’havesse esercitato la battaglia campale, over per causa d’altro fatto d’arme, non comparendo debbe esser punito, eccetto se mostrasse giusto impedimento, il qual non fosse per lui fraudolentemente procurato, overo che havesse indugiato il partire fin al punto estremo, sopravenendo l’impedimento saria giusto; et se tale prigione fosse impedito per faccende della patria o della sua Republica, o ritrovandosi incarcerato over occupato in guerra del suo Signore, quale giustamente non potria lasciare, o fosse in man delli nimici ritenuto, dalli quali essendo carcerato, saria escusato; o se fosse fermato a tempo per salario in altra guerra, nella quale non havesse fornita la ferma et ancora quando il suo vincitore fosse ribello del Signore commune, o che fosse escomunicato, over sopravenendoci di nuovo capital inimicitia tra ‘l prigione e ‘l vincitore, per la qual cosa dubitasi d’andar per tema della persona, o quando il vincitore fosse con le genti o con il nimico capitale del prigione, o fossero per nuova guerra nimici, non saria tenuto di commettersi in mano del nimico suo vincitore; o quando il cammino non fosse sicuro, over per tempesta non potesse cavalcare, et in simili casi dove apparesse legitima scusa, non finta, giustamente la legge Civile provede, ma cessando quel giusto impedimento ritornare doveria. | ||
Cap. 237. Se duoi combattendo a tutta oltranza & uno resta per prigione dell’altro, dapoi lo vincitore lo vorria concedere ad un altro per prigione, dimandasi se fare lo potrà.
Si dimanda un’altra nuova questione, d’uno c’havesse un altro in battaglia di tutta oltranza superato, se lo potrà ad un altro armigero suo amico per prigione concedere: la legge Civile dice ch’uno vassallo, over huomo obligato non si può senza sua volontà ad altro concedere, che fosse minore o uguale di conditione del Signore a chi fosse soggetto obligato, ma essendo maggiore potrà obligare il suo prigione: ad esso è obligato per contemplatione della sua vittoria, ma non però per fare mercantia di huomini, come dice M. Baldo di sopra allegato, & per stilo d’arme non si potria darsi ad un altro per prigione, perchè nel suo rendere si submette al suo vincitore & alla sua persona & potenza, qual submissione non si intende potersi ad altro estranio concedere, ancora che fosse suo compagno giurato, perchè non possa a terza persona tal submissione, quantunque con fede data fosse fatto per il perditore. | ||
Cap. 238. Come quel che morto sarà in duello non muore servo, & se potrà fare testamento & ricever gli sacramenti.
Movesi un’altra dubitatione d’uno che sarà morto & superato combattendo particolare, se resta servo di pena, vuole la legge ch’uno servo non può far testamento, nè atti civili; dicono li Dottori che non è servo, & primo fu M. Baldo, che colui ch’è vinto in duello non resta servo del suo vincitore, considerando che può fare testamento della lizza innanzi ch’el trapassi, overamente poi che fosse cavato di fuori; ma morendo dentro il campo non si potrà dentro la Chiesa seppellire, per esser morto in dannatione, in peccato mortale, secondo santo Tommaso d’Aquino, perciò fatto lo abbattimento non se gli può dinegare la penitenza per la confessione, essendo indebilitato per le ferite, pentito, si può assolvere. Ma nello intrare nel campo non può ricevere assolutione, intrando a combattere con intentione di peccato mortale, con volontà di commettere homicidio, nè si può communicare, eccetto quello che, pentito, fosse costretto per sua diffensione & della verità, se piglia con necessità mal contento la battaglia, over dal suo Signore a ciò constretto o per la patria necessità per diffendere & non per volontaria offesa. Ma essendo ferito a morte con contritione lo potrebbono pigliare & non altramente, benchè fusseno pentiti: nel principio del combattere non se potria communicare come è ditto di sopra; et essendo uno di loro in terra con il coltello alla gola et non si volesse disdire contra la verità a colui che l’ammazzasse, per causa che non volesse il falso confessare, non serà però morto in peccato mortale, per esser morto per voler la verità conservare. | ||
Cap. 239. Se le persone, che se piglia per lo saccomanno, deve esser del suo patrone o d’altrui.
Havendosi accampati dui eserciti nimici in un piano poco l’uno da l’altro distante, dui conduttieri d’un Principe, cacciandosi fuori di loro eserciti in singular battaglia de tutta oltranza, se è sfidato ciascun con licentia del suo Capitano de lo esercito & essendo uno superato si rende per prigione al Condutiere patron del vincitore, il quale volendo ritenere per suo prigione il suo soldato vincitore, lo ricusava con dire che havendolo lui acquistato con il suo proprio sangue, anchora che fusse renduto al suo patrone, non ha potuto la sua ragione preiudicare, che non sia a lui per pregione obligato: dimandasi de quali sia iustamente il pregione, del patrone o del soldato; M. Baldo dice ch’el prigione che piglia il soldato havendosi con lui condotto in campo per combattere, ancora che se renda al suo patrone, debbe essere del vincitore, attento che per virtù de quello si trova esser preso, e non dal suo patrone, perchè non si debbe attendere alle parole di colui che si rende, quando è per potentia di quello con chi si condusse nel campo superato; ma in caso ch’esso fusse liberato dopo che fusse renduto spontaneamente, per riverentia di quello a chi si rende di parole, sarà prigione di quello a chi è per parole renduto, sì come lo segno lo dimostra, chè ‘l vincitore lassando il suo prigione, quando si rende al suo patrone, mostra che sua intentione sia ch’el prigione sia del suo patrone; ma ritenendolo & menandolo con esso preso, non accettando le parole del rendere al suo patrone, resta in potere del soldato & non del suo patrone. Ma essendo in battaglia universale e non da persona a persona preso, resta prigione del Signore de l’esercito, se a lui se arrendesse. Però lo rimette alla consuetudine militare, dove si può considerare se ‘l vincitore è famiglio, overamente huomo d’arme di quello sotto il qual militava, ma M. Baldo da Perosa fece la distintione che rendendosi al patrone, lo vincitore lo relassarà al patrone iusto pregione. Ma non relassandolo & che lui il menasse preso, saria prigione del famiglio o soldato ch’esso l’ha vinto & superato, et questa è vera dicisione. | ||
Cap. 240. Se è licito nel steccato mutare querella.
Combattendo dui armigeri per causa di honore ad oltranza, delli quali l’uno conoscendo non haver giustitia, allontanandosi sempre s’andava reparando, come quello che conosceva dovere essere perditore, per non haver giustitia & seguitato dal suo nimico per molti luoghi della lizza, vedendo il seguitatore che quello di continuo fuggiva, li disse queste parole: «voltati, traditore, e difenditi!»; per la qual ingiuria voltosse il fuggitivo ingiuriato, disse «io ti rinontio la prima querela, ma di questo nome traditore che hora falsamente m’hai imposto, sopra di questo teco combatterò», e seguendo la battaglia fu di quella al fin vincitore; e ‘l novo ingiuriante può dire che ‘l suo vincitore non poteva mutar querela in suo preiudicio e combatter sopra la seconda. Il che replicava il vincitore con dire la prima querela fornita per sua espressa rinonciatione &, havendo egli vinto, o per la prima o per la seconda li bastava havendolo vinto, attento che Iddio l’havea permesso per favorire la sua giustitia & perciò doveva esser dichiarato dal giudice lui esser vincitore; l’altro ancora replicava che non dovea essere perditore, per havere combattuto a tutta oltranza per causa di honore: essendo renontiata la prima querela iniusta del suo nimico, confessando per tal renontia essere pugnatore spergiuro & ingiusto, si potea ne la seconda nova querela giustamente recusare, come desditto, nè doveva essere accettato più la nova querela nel combattere, mostrandosi per sua propria bocca essere spergiuro & ingiusto, essendo intrato dentro la lizza per combattere con lo nimico a tutta oltranza per causa di honore contra di giustitia: non dovea essere lui perditore, nè ‘l suo nimico se dovea per vincitore declarare, il quale per essere disdetto, si dovea lui declarare per vincitore, il quale lo fece disdire, confessare & renontiare la sua iniusta querela; si domanda che si debbe per giustitia dal giudice dichiarare sopra di ciò. Dico che per vera giustitia, havendo combattuto per causa d’honore, si debbon dichiarare tutti dui esser vincitori, l’uno alla prima e l’altro alla seconda querela, havendo renontiato alla prima quello debba esser perditore & vincendo nella seconda resta in questo vincitore, attento che nella prima per sua confessione si condanna & a la seconda il primo vincitore, per dui rispetti, debbe essere perditore: perchè fu licito allo ingiuriato per la ingiuria ditta nel combattere et perchè lo tradimento non aspetta tempo di vendicarse, per fare presto la vendetta del discarico; secondo, per causa per rispetto che quello che la ingiuria disse accettò per la seconda querela combattere, che non era tenuto accettare, ne la quale trovandosi superato iustamente resta perditore, però lo potea renontiare, perchè di ragione non potea essere astretto in quella giornata più combattere, havendosi per la prima il suo nimico disdetto, potea ben dire, perchè per la seconda essendo ricercato dal suo inimico in un’altra giornata, se ragionevolmente si dovea combattere, che non l’havesse potuto di iustitia per la disdetta recusare, haveria fatto col suo inimico nova battaglia; et per questo son li fideli deputati nella lizza che ascoltano le parole et vedeno li momenti delli combattenti, a tale che lo giudice, informato, discerna iusta sententia & ciò dico riservando del Cavaliero il migliore giudicio; però mi pare vera, giusta et netta iustitia iudicando così come sopra è ditto, sì come per esempio diremo che ricercando mille Ducati ad uno mio debitore, il quale pendente la causa mi dimanda mille pecore, provando io, per confessione del principale debito, iustamente debbo havere mille Ducati, et essendomi provato essere vero debitore delle mille pecore, a me mandate, si debbe dare sententia in favore di tutti dui, perchè l’uno per propria bocca ha confessato il debito & l’altro per testimoni validi gli è stato provato, debbano l’uno all’altro di giustitia satisfare. | ||
Cap. 241. Di uno che si rende senza disdetta se, finito il combattere, è tenuto disdire.
Pugnando lungo tempo dui Cavallieri dentro la lizza per causa di honore & essendo l’uno da l’altro abbattuto per terra, trovandose col nemico sopra, cortello in su la gola, disse che si rendeva per ragione e quello dal quale fu accettato & tolta la offesa tutti dui revengono in piedi, intravenne che de la lizza uscirno e ‘l vincitore disse al suo prigione, perchè se era renduto non bastava, havendo per causa di honore combattuto, ma volea che espressamente se disdicesse in suo honore, sì come havendo per lo honore combattuto, lo combattere ricercava morte e disdetta, quale non era fra loro seguita, al quale il prigione rispondea a lui che lo havea accettato per prigione & erano spartiti, non era tenuto a fare altra disditta; l’altro replicando dicea che essendo suo pregione lo poteva constringere a farlo desdire, perchè la battaglia ad oltranza è di tal natura che per fin che se trovano con l’arme in mano li combattenti non è finita, & ditte queste parole lo minacciava con l’armi che si disdicesse; l’altro dinegava, chè la battagli era con tale patto tra loro finita, di lui esser suo prigione, non altramente. Et il vincitore pertinace diceva che dovesse tornare nel pristino luoco, chè intendeva farlo disdire, l’altro replicava dicendo che volea combattere con lui che cercava cosa ingiusta, attento che non era tenuto ritornare nel luoco dove si rendette, perchè essendo preso, havendosi liberato & submisso di esser suo prigione, l’altro diceva, che sopra quello voleva combattere, non era tenuto andarci; & il vincitor diceva, perchè l’havea gittato una volta in terra & acquistatolo per prigione, non intendeva più riacquistare l’acquistata vittoria & sempre ricercava nel luoco ritornare, con dire che ‘l prigione è tenuto fare quanto lo suo vincitore lo ricerca nelle cose della vittoria & quello gli mostrava la ponta della spada, dicendo a quello: «ecco quella con la quale mi voglio diffendere, se sarai pertinace in volermi costringere a quello che non son tenuto: piglia la tua, s’el vuoi vederemo!»; si dimanda se ‘l prigione è tenuto disdirsi, overo al primo luoco ritornare: per vera sententia si ditermina di no, perchè essendo una volta accettato per prigione, non può il vincitore mutare ciò che una volta li piacque accettare, tanto che togliendoseli di sopra, ponendolo in libertà è seguito lo effetto. Et questo disse M. Angelo da Perosa, quando dui cavallieri Franzesi assicurati per il Signor di Padova insieme combatterono, intravenendoli simil caso, disse che quando un Cavalliero si rende et è accettato dal vincitore è fornita la battaglia et le parti non si posson più pentire, come habbiamo ditto di sopra di quella battaglia. Et più dico havendosi per causa di honore combattuto, dandosi per prigione tacitamente è disditto, come appresso meglio diremo, parlando della disditta più diffusamente. | ||
Cap. 242. Se uno Cavalliero superato in battaglia & lasciato alla fede, se poi dinega, se per il provocatore si può riducersi a combattere.
Essendo un armigero da un altro in battaglia preso & liberato in fede, il quale di lì a un certo tempo dinega esser mai superato, si dimanda se ‘l suo vincitore lo potrà altra volta a battaglia provocare per provarli il vero, come da lui è stato vinto: si risponde di sì, perchè dinegando viene a spogliare il vincitore della sua ragione con gran falsità & rompendo la fede data commette delitto d’infideltà; come di sopra è ditto nel secondo libro, dove si tratta de simili casi, si può combattere et per questo si debbono fare gli instromenti publici della vittoria per il notaro e il giudice il quale è tenuto tenerlo et debbe essere rogato delli fatti che succedono nel combattere, acciocchè la parte vittoriosa vadi per tutto con la chiarità del fatto, over con patente del giudice. | ||
Cap. 243. Del fin della battaglia d’oltranza.
Quivi faccio fine ad ogni singular battaglia d’oltranza, fatta per causa d’honore, & morte o disditta o confessione espressa dell’opposto di quello che a combattere sarà condutto per forza d’arme; & sarà simile al tormento che ne’ malefici si suole per il giudice dare, per trovar nel dubbioso delitto la verità, come è ditto di sopra, & tal disditta si ricerca farsi o per il provocato o per il provocatore che fosse vinto & superato per forza d’arme; e la disditta o confessione deve esser chiara & netta, in modo che non resti dubitatione alcuna nella mente del vincitore, del giudice & del circostante, come che per esempio diremo ch’uno habbi morto il suo compagno, overo c’habbi tradito il suo Signore, il che sarà dinegato essere il vero & volendo l’infamiato per tal cagione combattere, intravenendo la disditta per il provocante o per il provocato, è di necessario disdicendosi il provocato che dica che lui l’ha morto in tal dì, in tal luoco et per tal cagione iniqua; et falsamente disdicendose il provocatore è di bisogno che dica «io t’ho accusato d’homicidio falsamente, perchè non è vero che tu l’habbi morto»; et quando la disditta si facesse per altro fatto, bastaria dire «io l’ho fatto e ditto iniquamente et contra ogni ragione, overo come a perverso huomo, traditamente fuori d’ogni humanità, ho commessa la accusatione perversamente», o che dicesse «io confesso ciò che tu dici diffendendo essere il vero & quello, ch’è diffensato ingiustamente combattendo, è stato falso, perchè mi pento & conosco che non lo dovea fare, nè dire», sì che confessasse con parole che comportassino simile effetto, chè non rimanesse alcuna dubitatione nella mente del vincitore, come è ditto di sopra; & se questo si farà si chiamerà disditta espressa, perchè alle volte si suol fare tacita, quando dicesse «io son vinto & superato», come disse colui nella battaglia di Padoa, della quale di sopra habbiamo fatto mentione, o se dicesse «non più, perchè io son tuo prigione» o «chè io ti prego che non mi debbi ammazzare, perchè voi haveti la ragione», che dicesse «donatimi la vita» o dirà «io mi rendo & non voglio più combattere, fati di me quello che vi pare, io dimando la vita in gratia per misericordia, perch’è in potestà vostra: fallito alle vostre mani mi rimetto per morto»; queste submissioni satisfacendo al vincitore potrà usare humanità di non ammazzarlo, o per clemenza: odendo lo giudice le parole & conoscendo l’honore & la ragione dell’altro, spartendosi saria disditta tacitamente fatta con honore del vincitore; & M. Baldo dice che se dicesse «io mi rimetto nelle mani vostre o al vostro giudicio» o che dicesse «io ho mancamento contra di voi, il che rinontio la battaglia», si debbe usare clemenza per il vincitore, perchè s’intende che come ad huomo humano si rimette. Ma se dicesse «io mi rimetto nelle tue mani com’huomo morto», lo potria occidere, come ho già ditto. Ancora se dicesse non più che «son morto!», saria disditta tacita, over se con riverentia cercasse mercede o perdonanza saria disditta manifesta, quando bastasse al vincitore. Ma cercandola chiara & espressa, si debba far satisfatione del vincitore, perchè alcuna volta si fa per via di escusatione, qual non è disditta vera, nè legittima, ma è una compositione concordia o transatione; & questo si farà quando offesa, incarico o parola ingiuriosa che fosse ditta o fatta si ponessi per il giudice ad honestare, volendo poner pace & concordia, come ne daremo esempio: quando uno appellasse traditore un altro et, odendo le ditte parole, un altro da parte sospirando, perchè per lui fossino dette, et dicesse «tu non dici il vero, perchè non son traditore», se l’altro replicasse dicendo «io non l’ho ditto per voi, ma per colui a chi disse le parole», questa saria iscusatione & non disditta, attento che quando havessi prima affermato ch’era vero ch’esso era traditore et dicendo dopo l’opposto, saria disditta publica; o che uno officiale andasse per il torniamento con un bastone in mano o con la spada ordinando la gente & desse ad un cavalliro, che per questo volessi con lui combattere, & colui dicesse «io non lo feci per darvi a voi, ma casualmente senza mio proposto vi toccai» non saria disdire, ma iscusare il fatto, ancora se dicesse «io vi detti senza mia intenzione, over ch’io non vi conosceva, perchè non ho fatto bene» e dicesse «ingiustamente l’ho fatto & havendolo fatto nol feci a male oggetto», questo non saria disditta, ma iscusatione, quando prima non havesse fatto contesa all’incontro, perchè quello ch’una volta havesse fatta contesa et dopo si iscusasse, saria chiaramente disditta; et se uno havesse promesso ad un suo amico, sotto la fede sua, adoperare che non fosse offeso dal suo nimico, havendo quello constretto & havuta promissione per fede di non l’offendere, mancando della sua promessa, perchè l’offeso richiedendo il promissore della rotta fede di combattere con lui, dal quale fosse replicato dicendo che è vero, che promesse d’operare sì & talmente che non fosse offeso da colui, ch’ebbe la fede di non l’offendere, onde havendolo offeso dopo che da lui la fede ricevette, gli parea havere operato ciò che promise, considerando che non potea più fare se non haver la promessa fede da lui di non offenderlo, & se poi è contravenuto non si debbe a lui per fallimento imputare: questa si chiamerà la iscusatione & non disditta, dandosi per fallito; però la causa saria per l’offeso et per il promettitore da seguire contra il mancator della fede nel combattere. Sì che concludendo dico in quale si voglia modo quello c’ha fallito colpabile o perditore maldicente o malfattore si darà, si chiamerà disditta, havendo prima il contrario abbattuto, eccetto se per via di iscusatione, la quale esclude ogni malvagia cogitatione et proposito, et quello che fuggisse dal campo sarebbe più vile disditta di quella che per forza d’arme fosse fatta & per confesso vinto d’infamia et ricusato si debbe riputare; havendo uno Cavalliero notitia d’una donna, che falsamente in adulterio era accusata, deliberò con arme lei diffendere et conducendosi nella città dove era pigliata et in carcere ristretta, la quale di quella contra gli accusatori, quale erano duoi, menò con lui un altro valoroso Cavalliero, il quale promise esser con esso nel diffendere la donna; et data la fede nella battaglia et la giornata fra tutte due le parti, il cavalliero con il compagno comparsero con l’arme diputate & intrarono gli accusatori dentro la lizza; uno di quelli, non volendo seguire alla battaglia la rinontiò fuggendo: perchè il Cavalliero diffensore della donna volse solamente con il restante accusatore combattere, del quale fu vincitore, per la qual vittoria il fuggitore compagno del superato per traditore & disditto & mancatore di fede fu condannato. In un altro simil caso, duoi Cavallieri disfidati pure per donna & duoi altri alla giornata comparsero armati a cavallo, & essendo nel principio della battaglia, fuggendo il suo compagno, solo rimase contra li duoi, con li quali tanto valorosamente combattè che al primo corso l’uno per il petto d’una hasta di lanza lo trappassò, dopo vincendo l’altro venne ad havere di tutti duoi la vittoria, per il che il suo compagno fuggitore fu dato per traditore, per vinto & per infame; onde, ritornando al mio proposito, dico che la disditta è il maggior mancamento che possi havere uno Cavalliero, sì che è più honore la morte con qualche riputatione che non la disditta vilmente, la quale è infamia perpetua, perchè colui ch’è superato & morto dal nimico può dire esser morto diffendendo il suo honore, in quanto le bastò la vita. Ma lo disditto, lui medesimo s’ha occiso, lui & l’honore suo perpetualmente. Dicono gli animosi Cavallieri che più presto vorrebbono esser morti che disditti: questa è la virile ammonitione che si suole dare a coloro ch’entrano nella lizza per causa d’honore; la infamia di tal natura fa il vivo morire ogni dì & quelli che muoreno con gloria per vivi nel mondo dalli Cavallieri gloriosi & degni sono riputati. | ||
Cap. 244. Della prova quale si fa per la battaglia da persona a persona.
L’ordine delle battaglie particolare da persona a persona, dovete sapere & intendere che furno trovate & indutte dal giudicio militare, che con arme si dovesse provare la dubbiosa differenza, quando per altra prova non si potesse nelli civili giudici trovare, nè per altra manifesta congettura si potesse il delitto presumere. Onde essendo uno accusato de homicidio & volendo allegare haverlo per sua defensione commesso, allhora si potria pigliare la querella del combattere personale di provare, lo accusatore & lo accusato, contra, difensarse in giudicio di cavallaria: in tal caso volendo lo colpato fare prova havere fatto per sua difensione lo homicidio, debbe provocare lo accusatore nella battaglia. Ma posto che ‘l Principe comandasse si dovesse procedere alla punitione del homicidio, non può più allegare lo accusato volerlo provare in battaglia haverlo morto in sua defensione, reservando quando li apparesse accusatore; la ragione è questa, che non debbe combattere con lo Principe per la disconvenientia della conditione, nè con lo iudice inquirente per la dignità dello officio; et la prova che in battaglia si vuol mostrare, si vuol causare di causatione incerta e quando lo accusato per forza di armi confessasse il delitto, si deve punire più leggermente che quando per testimonij li fusse provato, chè la prova del combattere fa il perditore essere vinto, ma però è incerta presontione che veramente habbi peccato; & remanendo lo accusato della battaglia vincitore, si debbe per sententia absolvere dalla castigatione della pena et li dovesse donare l’honore de la vittoria con grandissimo favore, perchè presume esser innocente del peccato; et quantunque la prova che si fa, cioè il combattere, sia reprovata per divina prohibitione per esser cosa diabolica, investigatione ritrovata, nientedimeno li armigeri dicono che in battaglia, di continuo, Dio per divino miracolo sempre la verità corona di vittoria, affermando chi con iustitia combatte mai potria esser perditore; però cosa incerta è, conciossiacosacchè spesse volte vedemo che molti contra di giustitia combatteno et, per ritrovarsi più gagliardi di quello che con ragione ha pigliato l’impresa, restano vincitori; & questo interviene per la disparità che è nelle forze delli armigeri & tal ragione fu del Papa & di Federico Imperatore, parlando delle battaglie che si fanno per esperimentare la verità & della falsa oppositione conoscere il vero. | ||
Cap. 245. Quando lo provocatore insultasse lo richiesto innanzi che venisse al deputato luoco.
Si dimanda al giudice deputato, trovandosi dui disfidati per differentia a combattere in cammino per andare al loco determinato del combattere e l’uno contra de l’altro insultasse, inanzi che allo assecurato campo pervenesseno, vincendo lo insultatore, se lo assalito fusse iustamente superato e se lo insultatore debbe essere traditore reputato, per haver insultato lo inimico contra la conventione. Si responde che quantunque siano i nimici disfidati di volere in tal campo, con tal giudice & in tale giornata combattere, non fu però licito offenderlo prima che al deputato loco pervenissero, attento ch’essendo lo insultato adoperato fuori del campo senza l’ordine che alla battaglia si ricercasse, iudica esser specie di tradimento; e per ragione di Civile legge di cavalleria non si può insultare senza disfida, quale havesse ad avisare il nimico che non se dovesse trovare sprovisto nel combattere, tanto più quanto che haveano trovato loco, iudice e l’ordine di combattere con la sicurtà di campo; benchè habbia superato, contra la conventione non è però vincitore, anzi ha commesso il tradimento e vuole la legge Civile e la Imperiale comanda che l’offensore sia tenuto de li danni de lo offeso emendare per haverlo traditamente superato, che per lo traditore lo potria ritornare a combattere, & merita dal suo superiore essere aspramente & atrocemente punito, come a mancatore de la sua promessa fede & da perfido traditore, secondo lo stilo d’arme & consuetudine & di cavallaria se reputa; et questa è la sententia verissima, per volere una tal questione decidere. | ||
Cap. 246. Se ‘l richiesto non trovasse Principe, quale volesse dare luoco sicuro al combattere, se tenuto sarà d’andare a gli Principi d’infideli.
Quando fosse un cavalliero o qualsivoglia altro armigero a combatter personale, provocato con requisitione, che dovesse luoco sicuro & giudice competente trovare, sì come per stile & consuetudine tal combattere si ricerca, cercando per tutta la Christiana religione e non trovando il Principe da cui potesse il campo ottenere, essendo richiesto dal suo provocante che dovesse tra la Barbara et infidele natione ricercare, non saria tenuto tra la Barbara & infidele natione per tal causa ricercare, ancor che ‘l provocante lo richiedesse. La ragione è questa, che niun Christiano si deve submettere in giudicio d’infidele, benchè molti Cavallieri Christiani siano andati ne’ paesi d’infideli per combattere; nondimeno, per ragione di legge scritta, non è concessa, attento che comanda a tutti i sudditi Christiani che non vadino in terra d’infideli senza licentia del superiore, nè condurvi cose da nostra fede prohibite, perchè gli Re infideli sono nimici della Christianità & per tanto gli infami di nostra fede riprovare non possono, arbitrare, nè giudicare criminali differentie causate tra li Christiani; attento che niun Christiano può dare facultà a niuno infidele de Christiani fare giudicio & colui ch’andasse per tali cose da’ Barbari infideli, essendo per Christiano perduto, prima ch’egli arrivasse, per schiavo perpetuo in poter di colui ch’el pigliasse per ragione restaria, qual potria vendere per captivo; & più che la nostra fede prohibisce che per niun tempo lo debba in niun modo liberare, benchè a’ servi si costuma dare libertà a volontà de’ patroni; & per questo è da sapere che ‘l richiesto può la ingiusta dimanda dal suo requisitore ricusare, in caso che ‘l provocatore in cospetto di Re infidele il suo provocato per contumace bandeggiasse, non però la sententia: anzi per quella potria il requisitore, nella sua tornata, dello ecclesiastico giudice & secolare, aspramente esser punito et oltra di ciò si deve cancellare ogni atto scritto in contumace del Christiano Cavalliero che contra l’honore suo per giudice infidele fosse adoperato, ricusando il giudicio di gente Barbara, che con la falsa opinione di Macometto si governano, benchè sia licito, in caso di necessità al Christiano, ausilio di infideli, invocare la Batbara natione, per non essere in la legge prohibito; non s’intende perciocchè dui Cavallieri debbano cercare giudicio da infideli per ragione soprascritta. | ||
Cap. 247. Se per il prelato si potrà prohibire il combattere particolare, essendo per il Principe secolare permessa.
Si dubita ancora, havendo un Principe mondano concesso a dui Cavallieri o armigeri licenza di combattere in particolar battaglia, se ‘l prelato della città potrà quella prohibire, chè non seguisca: si dimanda perchè si risponde di sì: per ragione che il Decretale ha provisto per vietare il peccato havere provata la consuetudine del combattere per differenza, et per questo la Chiesa giudica li casi dove può seguire homicidio et perditione delle anime, dispone che ‘l prelato possi vedare le battaglie volontarie, ancora che ‘l Principe secolare havesse dato il campo sicuro, permettendo il combattere; in tal caso doveria esser più ubbidito il prelato che ‘l Principe, considerando ch’è caso di conscienza et dal Papa espressamente riprovato, in modo che ‘l Principe mortalmente peccaria, volendo lui disponere in ciò che è per lui submesso alla Chiesa, che non è al stato secolare. | ||
Cap. 248. Come si debbe per ragione eleggere & denegare lo iudice competente nel combattere particolare.
Soleno molti Cavallieri di continuo domandare qual fusse iudice competente fra dui armigeri che havesseno differentia di combattere cercandolo, a li quali se responde secondo la legge scritta: quando fusseno subditi di uno medesimo principe, quello saria iudice competente, essendo il caso per iuste cagione dovesseno combattere, sì come di sopra habiamo referito, perchè se presume che con eguale affetione, senza passione d’animo nel iudicare de qual iusta sententia & perchè la battaglia si fa per esperimento & prova de la verità, de la quale essendo il iudice fra dui sudditi niuna partialità commettaria nel iudicare; ma in caso ch’el Principe loro iudice recusasse o che il Principe intercedesse in lo combattere per qualche iusta cagione, overo che fusseno sudditi di dui altri signori, allhora si doveria per le parte cercare per iudice principe che a nessuno fusse sospetto, però la sospitione vole essere iusta; & quando fusseno li Cavallieri disfidati a la battaglia, che in l’esercito di arme si ritrovasseno militando sotto uno Capitano o conduttiero de esercito, allhora quello saria giudice competente, cioè lo loro Capitano; et quando seguisseno dui eserciti saria giudice competente uno delli capitani, overo altro Principe libero, il quale loro iudicio accettasse et che fusse perito per longa esperientia delli fatti della militia in tali casi et che la sua corte fusse guarnita de copia de Cavallieri armigeri et nobili huomini esperimentati nelle arme, per rispetto che quando fusse Principe che non havesse esperimentata la militia et in le arme mal pratico, non serà idoneo giudice, essendo più in esercitio di altre faccende adoperatosi, quale non convenesseno a Principi militari, come son mercantie, musiche, caccie, balli et altre lascive delitie cortesane, di modo che mai havesse le arme esercitato: saria giudice insufficiente, volendo nelli casi de l’arme giudicare, quando in quelle non fusse conversato, nè ben perito, ancora che fusse in altre cose prudentissimo, per non havere la esperientia, nè peritia nelli casi dubij che accadesseno nel combattere, non potria iustamente iudicare; et posto che dui Re o dui Imperatori volesseno combattere de cosa che alla Ecclesia pertenesse, alhora lo Imperatore, overo lo Papa, seria iudice competente, sì come di sopra è detto de Re Carlo & de Re Pieri & ancora de uno altro Re, li quali volendo pugnare andorno a Bordella, che era de Re de Anglia, el quale, sì come la cronica de Gio. Villano fiorentino referisse, mandorno da quelli el suo frondico per iudice competente & che dovesse tutti li accidenti de la loro battaglia iustamente iudicare. | ||
Cap. 249. Qual principe per ragione ha autorità concedere el combattere da persona a persona.
Si debbe ancora sapere & intendere qual Principe haverà potestate concedere la licentia alli armigeri che per differentie loro havesseno deliberato combattere; perchè si debbe notare che solo Imperatore, Re, Duca libero, communità non submessa o altro Principe senza superiore, c’havesse potestà assoluta in suo dominio, potrà il campo sicuro concedere, il quale li Baroni sudditi, quantunque havessino titolo di Principato, over di Ducato non potranno giustamente concedere tal licentia, nè ancora un Commissario Regale, benchè fosse generale dal Principe libero delegato, non potrà giustamente permettere la battaglia, salvo fosse gran Contestabile capitano di guerra o conduttieri d’esercito d’Imperatore, Re o altro Principe libero, potria della battaglia particolare tra quelli ch’esercitano la militia sotto il suo stendardo, ancora che fossino forestieri & armigeri & strani; ritrovandosi nel campo suo, non perciò lontano allo tenitorio dove il suo esercito dimorasse, posto che fosse in provincia non suddita al suo Imperatore, over Principe, potrà per l’absentia del suo Signore a dui armigeri o Cavallieri cercando il campo, liberamente concedere; nè ‘l Capitano o Duca di arme, in presentia del suo Principe, haveria tal potestà, di onde non apparesse espresso consentimento del suo Signore da poter concedere il campo; & posto che lo concedesse, sarebbe uno modo di riferire la volontà del suo Signore & per sua potestà, la quale non haveria quando ancora non gli comparesse il primogenito figliuolo del suo Signore, o altro figliuolo che fosse Vicario generale: haveria potestà più che il conduttiero, over Capitano dell’esercito, nel concedere la licenza del combattere; però si deve intendere che ‘l Capitano, overo il Conduttiero, dello esercito tiene il secondo loco della potestà de’ loro Principi, perchè posson con sicurtà concedere la potestà del combattere a gli eserciti per loro volontà & oltre a questo eleggere giudici & altri officiali sopra la administratione dello esercito, quale guidano; & per questo nel luoco dove si trovano essere accampati possono concedere licentia, così il conduttiero, come uno Signore, che fusse considerato in compagnia & in lega col suo Signore nel tenitorio che fosse del Signore considerato, potrà la licentia, & ancora altra sicurtà concedere l’uno in tenitorio dell’altro, attento che la giurisditione del dominio tra li Principi confederati è commune, che l’uno nella signoria dell’atro può per sua volontà disponere, sì come vuole la legge, quale de ciò fa espressa mentione. | ||
Cap. 250. Del giuramento di quelli che vorranno intrare a combattere in battaglia particolare di oltranza.
Non si debbe lasciare in dimentico, anzi è necessario facendo espressa mentione, del giuramento che debbano fare quelli che ad oltranza hanno deliberato combattere: perchè è da sapere che secondo la legge Longobarda, fatta per gli Imperatori che in Italia quella indussero, vuole ch’el provocatore, over requisitore, doverà giurare & non il provocato; & quando uno accusasse per sospettione dove per necessità fosse costretto nel giuramento, non lo potrà giustamente fare, eccetto se dicesse per sospetto havesse deliberato combattere; & in caso che per giuramento affermasse che per verità & non sospettione combattesse, debbe di verità giurare, come per la constitutione fatta per Federico Imperatore; si dinota che debbano per giustitia tutte le parti del caso suo giurare, cioè diffender ciascuna querella di verità, senza alcuna malitia, credendo esser vero ciò, per il quale dicendo, a combattere si conducano; et così ancora debbano li campioni giurare di diffender la parte per la loro, quale senza calunnia credono combattere & che li lor principali diffendono iusta querella; & oltra questo debbano li campioni giurare di combattere con tutte le lor forze, sì come appresso vederemo nel libro dove si tratta de’ campioni; & benchè alcuni havessino ditto che ‘l perditore, fatto il giuramento, fosse in pena di tradimento, ritrovandosi perditore nella battaglia, questo non potria per giustitia, nè per ragione procedere, attento che tutte le scritture dicono il giudicio della battaglia non esser vero, ma falso & è dicisione di Federico Imperatore che quantunque armigero per forza si disdicesse, non resteria però traditore, riservando se fosse accusato de crimine lege maiestatis, perdendo in battaglia saria traditore, o se combattessino per altro tradimento, saria lo superato & vinto per traditore riputato, non però in altro caso, eccetto se per capitoli fosse espresso che ‘l perditore dovesse per traditore rimanere, sì come fecero quelli che in Padoa con tali Capitoli combatterno, che ‘l perditore restasse traditore. | ||
Cap. 251. Quando fusse fatto per lo giudice bandimento che quello de’ combattenti che trapassasse il segno fusse perditore.
Essendo ordinata una battaglia nella quale il giudice facesse prohibimento per Decreto che niuno delli combattenti dovesse il segno del campo trapassare, essendo il termine per aratro designato, overo che di ligname fusse composto, non solamente con tutta la persona, ma ancora di niuno membro & quello il quale presumesse uscire con tutto il corpo integro, overo di alcun membro, fusse di quello privato & oltra questo dovesse essere perditore de la battaglia; il che successe nel combattere che li pugnatori nel segno si accostorno e fu per forza dell’impeto del combattere & cascarono insieme a terra, uno con il capo di fuora del segno & l’altro con tutta la persona di fuora che la testa: si dubita qual sia il perditore, perchè pare a molti dovesse essere quello il quale cascò con il capo di fuora, perchè è il principale membro che sia de l’huomo, però oltra disse che quello il quale fu fuori con tutti li membri dovea esser perditore, per haver fuori la maggior parte del corpo; alcuni volseno dire che doveria esser patta per rispetto che ‘l capo importa quanto tutto il busto; perchè l’ultima sententia a molti parve la più vera, però per autorità di legge pare che quello che fu di fuori con più membri dovea essere il perditore, per ragione che la testa saria niente senza lo ornamento de gli altri universal membri; nientedimeno fu donata la sententia data nel presente caso, che stando la ditta ordinatione i duoi combattenti, l’uno prese e ferì l’altro gravissimamente et oltra a questo, pigliandolo per il collo per batterlo per forza di fuora dal segno, nel quale approssimandosi cascò in terra, in modo che ‘l percussore, per il suo cascare, fuora dal segno se ritrovò et trovandose il perso dentro fu per vincitore reputato, per rispetto che per tempestatione fe’ il suo superatore fuora del segno cascare, perilchè ne venne a perdere il campo: qual sententia per ingiusta & iniqua se condanna, perchè osta per caso fortuito fuora dal segno l’acquistata vittoria, non per incontro, nè per virtù del nimico, nè per disobedienza deve essere perditore condannato, per rispetto che non si deve nelle estremitati attendere, quantunque si dovesse nelli estremi ponti considerare quanto per botta o per forza del suo nimico fusse fuora dal campo cacciato, chè si mostraria per violenza di quello haver perso il campo o che per paura o per non voler ubbidire andasse di fuora, stando l’altro fermo dentro del campo, saria lui fuori uscito perditore: però in tal caso non debbe essere perditore per la ragione sopradetta, che fu per infortunio & non per gagliardia del nimico, considerando che l’haveva preso & ferito & postoselo su le spalle con la sua propria fortezza & strenuità in battaglia: di virtù & honore o di oltranza giustamente dovea vincitore rimanere. | ||
Cap. 252. Se dui armigeri o Cavallieri in dui campi se disfidasseno fuori dall’esercito, se si debbono punire.
Sono dui campi di capitani armigeri accampati & uno Cavalliero o altro armigero & che uno sottomette un altro e l’altro viene a le mani, partendosi dalli campi dalli suoi capitani, e combatteno, si dimanda se costoro ponno esser puniti: si dice di sì et la ragione è questa, che loro mancano all’honore loro, essendo obbligati al servitio dello esercito con loro persona et durante quello senza licentia non possono combattere, nè arme muovere contra li nimici & facendo & commettendo delitto contra la republica, overo offesa maiestas; & questo per volere, senza licentia de lo Duca, pigliare, come non possano per ragione, chè per tal disordine o simili inobedientie potriano seguire di molti inconvenienti, chè saria danno di loro, della republica & del signore, chè per disordine de’ Cavallieri o che altro fusse pareria che senza licenza a ciò procedesse. Et questo da giurisconsulti è confermato alle leggi Civili, dove gravemente disponessero tali scomititori & pugnatori senza licentia delli capitani, ancora che a loro seguitasse vittoria; più forte dico che non solo andasse a battaglia senza licentia, ma che ardisce passare il segno, quale le fusse dato per confine o che scrivesse alli eserciti inimici o che loro facesseno segnale, ancora è da dare gran punitione; riducesse Livio, nel secondo De Bello Punico, lo primo detto del consolo Romano, che per causa tale suo figliuolo, vincitore del nemico del popolo Romano, fece decapitare. | ||
Cap. 253. Che essendo una volta abbattuto uno Campione non potrà più per altro combattere, eccetto che per lui.
Descrive ancora l’Imperatore Federico che uno Campione, essendo una volta superato in battaglia, non potrà più per altro essere Campione, eccetto se per lui deliberasse combattere, perchè Seneca dice “poichè la virtù di un huomo è abbattuta per una volta, non è più securtà in quello”; et vuole Federico Imperatore che uno Campione che si portasse fraudolentemente nella battaglia per non combattere con tutte le sue fortezze, debbe essere punito di quella pena che meritasse quello per il quale havesse combattuto, overo li doveria essere tagliata la mano per sua punitione. | ||
Cap. 254. Sì come è il rustico requisitore, se può dare simile Campione.
Vuole ancora la legge fatta per Federico Imperatore che l’armigero Cavalliero, ricercato a combattere per differentia da uno come rustico, il possa rifiutare et quello, il quale vorrà richiedere alla battaglia personale un nobile Cavalliero debbe esser simile del richiesto in conditione; & però in questo caso si debbi dare il Campione simile del rustico requisitore & quando il nobile richiedesse il rustico, debbe con la sua persona combattere, però in caso che fusse il requisitore nobile impedito, può dare il Campione simile al richiesto; per la consuetudine di tale battaglia, ricerca che le persone siano uguale di conditione, eccetto in delitto di infideltà, nel quale il rustico può richiedere il suo Signore a combattere da persona a persona, sì come meglio appresso vederemo; & Andrea d’Isernia & M. Baldo dicono che habitando un nobile di continuo in villa non sarà per questo rustico, per rispetto che il luogo rusticano non può togliere la nobiltà a chi naturalmente la possiede, sì come vederemo. | ||
Cap. 255. Quando dui armigeri si fusseno disfidati a una certa giornata, se uno di loro innanzi la deputata giornata combattesse a tutta oltranza con uno altro & fusse da quello vinto & disdetto, se potrà essere refudato nel dì de la battaglia deputata.
Si domanda ancora da uno, de dui che hanno per differentia loro equalmente da combattere a tal giornata con patto e conventione fra loro fermati & prima che in quella siano pervenuti è ‘l requisitore da un altro armigero in simile battaglia superato & vinto & disdetto, perchè haveria da esser giustamente d’ogni armigero e cavalliere rifiutato come infame, periuro, calunnioso, overo che commettesse alcuno delitto o tradimento per il qual levasse fama de mal armigero, de non essere admesso nel combattere con un altro honesto & virtuoso Cavaliero o armigero; se responde che havendo mutata la sua conditione de bona in mala fama, può esser dal suo nimico recusato nel combattere con lui, per esser stato di mala conditione, chè se al presente volesse un altro richiedere ad equalità de battaglia non potria, per la indispositione trista & falsa, nel quale è cascato per mancamento de delitto, commesso dopo la conventione fatta del combattere in tal giornata: se intende, se lo requisitore durante il termine del tempo non cada in infamia di tristitia, ma che se conservi nel stato nel qual si ritrovava quando accettò la disfida e fece la conventione. Onde finalmente se determina che giustamente se potrà ricusare un armigero nella giornata della battaglia, quando dapoi la disfida, accettato per segno de combattere, serà peggiorato de sua conditione & fama & potrà esser dal richiesto rifiutato, sì come di sopra è ditto; & simile diffinitione si fa dal requisitore quando el richiesto fusse di suo buon stato, dapoi la scomessa mutato in malo, chè non saria tenuto con lui combattere per la nuova vergogna acquistata. | ||
Cap. 256. De sette casi, nelli quali è licito dare campione nello combattere.
Il combattere che se fa per oltranza per differentia si deve far per li principali disfidati, riservando in sette casi, nelli quali è permesso dare Campione: el primo caso è quando lo requisitore o richiesto non fusse pervenuto in età de dieciotto anni; secondo la Lombarda e la constitutione debbe esser de etate meno che di venticinque anni, & così ancora el Campione debbe esser maggiore de quella etade. El secondo caso quando uno di loro fusse de età decrepita, overo inferma. El terzo quando el servo prendesse libertade contra el suo patrone, dicendo esser libero & volere di ciò combattere: el suo Signore li potia dare egual Campione. El quarto è quando fusse persona ecclesiastica, overo donna vedova, o quando fusse uno Conte provocato o provocante con uno da meno che de sua conditione; l’altro è quando una donna fusse accusata de adulterio & volesse difendere per arme esser falsamente accusata, nel qual caso debbe dare il suo marito, overo el mundualdo per Campione; & secondo la Constitutione ogni impedito da impedimento personale potrà dare el Campione, ancora che havesse degnità o nobilità: essendo da un rustico provocato potrà dare el Campione, sì come è ditto di sopra, secondo la Constitutione e legge Longobarda, per la quale è indutto che un servo accusato di furto potrà dare il patrone per Campione, però si debbe observare secondo la consuetudine de la provincia, over Città ne la quale accaderanno li casi di darsi o non darsi li Campioni, secondo l’arbitrio del iudice; ma secondo la decretale, li clerici non ponno nè personalmente nè per Campione combattere, benchè fusse loro permesso per antiqua consuetudine, quale è stata tolta per lo Decreto. | ||
Cap. 257. Come li Campioni debbeno essere simili.
E’ da sapere ancora che quando la battaglia personale si fa per Campioni, si debbeno elegger per lo iudice eguali di fortezza, perchè se solo trovasse uno fortissimo armigero per suo Campione, tale che nella sua provincia non si trovasse simile a quello di forza, alhora si doveriano distribuire li Campioni di una egualità, secondo la Constitutione predetta & la legge Longobarda; però questo non si osserva di consuetudine, ma si debbe notare che li Campioni debbono esser di età maggiore di venticinque anni. | ||
Cap. 258. Come persone infami non si posson dare per Campioni.
Ancora è da notare che li Campioni non debbano esser persone infami, perchè son simili alli dottori giuristi che sono advocati nelle cause Civili che diffendeno: in caso che uno fosse ladro manifesto non potria esser Campione, nè huomini di mala conditione, i quali verisimilmente sempre in battaglia sariano perditori, più per cagione de’ lor delitti che per difetto di mala querela del Signore, ad istanza del quale combattessero. Ancora, quello c’havesse commesso delitto, per il quale non potesse nella presenza del suo Principe comparere, non potria esser Campione; ancora huomini che per danari havessero commesso homicidio, come sono assassini, ruffiani publici & altra simile generatione di vilissimi beccarini, nè uno apostata, cioè religioso fuggito dal suo monasterio; & questo si trova secondo la Lombarda & Civile & secondo Andrea di Isernia, eccetto se pugnassero con persone infame simile di loro, perchè allhora da nessuno si potria il combatter rifiutare. | ||
Cap. 259. Quando nel combattere di oltranza o in altra si faranno ferite corporali nelle membra humane, chi haverà maggior honore & laude.
Occorre dubitatione nelli casi che succedeno nelli membri humani nel combattere, se uno perderà pugnando un occhio e l’altro li denti, chi di tali serà più vituperato: si dice che colui che perderà l’occhio, per esser membro più propinquo all’anima, serà più incaricato di quello che perde li denti, sì ancora che l’occhio comprende tutti li sensi del corpo et è membro & li denti sono stromenti della bocca; se uno serà ferito in faccia haverà più disonore che se nel petto fosse ferito, sul capo o nelle braccie, overo nelle spalle, perchè dice la legge che la faccia de l’huomo è a similitudine di Dio & per questo non si può bollare per giustitia un huomo in faccia, per non maculare la figura, simile alla divina. Et quando l’occhio destro si perdesse nella battaglia seria più incarico di quello che perdesse il sinistro, attento che ‘l dritto è in opinione de gli huomini, così diremo della mano: quello il quale ne fosse privato nella battaglia, seria più incarico perdere la destra che la sinistra, perchè la mano destra opera più in battaglia; similmente, essendo uno percosso al braccio et l’altro alla gamba, qual è manco dignità del braccio; & resta più incarico accadendo che uno Cavalliero havesse dui occhi et l’altro contra lui combattesse ne havesse uno, seria più incarico a quello che n’havesse uno perdendolo, che a quello delli due ne perdesse uno; et se uno perdesse la mano tutta intiera seria più incarico che a quello che perdesse un occhio; & posto che l’uno perdesse il piede e l’altro la mano, seria più incarico di quello che ‘l piede perdesse, che quello della mano in battaglia. | ||
Cap. 260. Delli Campioni quali si danno nella battaglia per Cavalieri, che di ragione posson dare Campioni.
Discrivesi generalmente quando si vuol combattere differentia alcuna, o per altra giusta cagione da persona a persona, a ciascheduno è necessario diffendere la vita sua con il ferro, seguitando la dottrina del poeta Sallustio, quale in Catilinario, persona di Catilina Romano, giovane gagliardo, parlando alli suoi commilitoni, diceva: «fratelli miei carissimi, la spada è solo la vita nostra et per quella bisogna esser aperta la strada, perciò siate gagliardi»; et per questo ogni requisitore, over richiesto debbe combattere con la propria persona, riservando quando la dignità del suo honore non lo ricercasse; essendo la richiesta di huomo di minor conditione del provocato più degno, allhora si potrà dare un campione simile et eguale al stato del requisitore, qual per lui combattesse: et questo si trova secondo la legge Lombarda & la ragione Civile & per la constitutione di Federico Imperatore, che ricerca egualità nella battaglia; però vuole lo inferiore di conditione non debbe nel combattere provocare il suo superiore, riservando quando combattere volesse il vassallo con il suo Signore haver commessa contra del suo honore: in tal caso non potria il suo Signore dare il Campione, ma debbe personalmente con il vassallo combattere, ma con la propria persona & nelli sette casi è permesso dare il Campione, sì come appresso vederemo. | ||
Cap. 261. Delli Campioni che perdessero in battaglia o che combattessero con fraude.
Quando uno Conte, Duca, Principe o quale si voglia altro Signore che desse uno Campione, in caso che fosse in battaglia superato, si può dire lui esser superato dal vincitore del suo Campione, riservandosi fraudolentemente il Campione se havesse fatto superare & vincere per fraudare l’honore del suo Signore: non havendo fatto il debito nel combattere sarà punito il Campione; ma se ‘l Campione senza fraude si ricredesse, overo confessasse il delitto, in questo l’Imperatore fe’ Constitutione che saria vinto & confesso il suo Signore che lo desse; & secondo la Lombarda non si può dar Campione, eccetto in caso di impedimento et quando sarà promessa la battaglia, el dare del Campione, et per privilegio della dignità, & quando il provocatore fosse inferiore del richiesto; et perchè dice che ‘l Campione debbe essere eguale dell’armigero o Cavalliero & da chi è dato per combattere, chè altramente si potrà per giustitia ricusare, & vederemo appresso. | ||
Cap. 262. Come li Campioni debbon giurare nell’intrare della lizza, secondo la lor credenza, combatter con giustitia & di fare il dovere.
Ciascheduno armigero Cavalliero debbe sapere come debbono li Campioni, nell’intrare della lizza, giurare che, secondo la loro credenza, li patroni della querella, per li quali deliberassero combattere ad una giusta occasione et di non accusare l’un l’altro per fraude, nè per malitia, et che con ogni virtù, possanza, diffenderanno ciascaduno l’honore del suo Signore; giurano ancora li Campioni non habbino intelligenza fra lor dell’uno non offendere l’altro & di far tutto il dovere con tutta la lor virilità, si sforzeranno menar le mani per esser l’uno dell’altro vincitore, senza fraude di fingimento alcuno; & questo descrive l’Imperatore Federico, il qual ancora M. Baldo da Perugia riferisce. | ||
Cap. 263. Come non è licito corrompere il Campione.
Nella constitutione di Federico si descrive che se ‘l Campione fosse dal nimico corrotto per farsi vincere, benchè sia licito nella battaglia di tutta oltranza con ogni fraude superare l’avversario, non seria però in tal caso vincitore, perchè non merita vittoria secondo la legge civile chi vince con corrottione di premio alcuno, perchè tal battaglia fu inventa & trovata per giudicar la verità in forza d’arme, chè il contrario suo è il corrompere per dinari, sì come colui che vince la sentenza corrompendo il giudice & li testimoni, non è legittimo vincitore; quantunque in battaglia di tutta oltranza sia lecito usare ogni astuzia & fraude per vincere, non però è permesso di usare falsità di corompere il campione, chè non faccia il dovere in giudicio di battaglia, perciocchè la vittoria che se ottenesse saria turpissima, perchè gli antichi Imperatori li virtuosi pugnatori coronavano et dinegavano a quelli che procurano la vittoria, coronando gli avversarij, per conseguire l’honore del trionfo, benchè sia licito più, come più volte è ditto di sopra, in battaglia di tutta oltranza per togliere la potenza del nimico usare ogni fraude, per salvatione della vita: se intende con propria astutia di virtù di battaglia, con la estremità della sua persona, che quelli che con fraude et inganni senza gagliardia et valorsità restano vincitori, benchè superasseno potenti cavallieri; sicchè quello che corrompe il campione non merita l’honore della battaglia & non può dire esser stato vincitore con arme, nè con spada, ma solo per corrottione, la quale è molto da’ valorosi Cavallieri condannata, perchè è specie di gravissimi tradimenti; & da doversi la vittoria dinegare, dove si debbe per virtù d’arme acquistare e superare il nemico per trovare la verità, onde uno filosofo dice che dove intraviene corrottione di danari o altro non può esser cosa laudabile, nè virtuosa; in questo giudicio d’arme, dove non è permesso corrottione alcuna si debbe vincere con la spada & con la propria virtù dell’animo, et per questo non si darà lo honore a quello che vince corrompendo il campione, perciocchè la corrottione è simile del delitto, che merita gravissima pena & per questo non si dà premio nè honore a colui che con mente giusta merita esser punito. | ||
Cap. 264. Se uno è infamiato di tradimento & vinto alla battaglia & non si vuol disdire, s’è tenuto per traditore.
Seguita una dubbiosa questione disditta, di uno che venisse a differenza del combattere con un altro per causa che lo havesse tradito et ingiuriato, il quale gli offerse farlo in battaglia disdire o confessare non essere il vero, che fosse traditore, et pervenendo alle mani dello requisitore, havendolo in terra abbattuto, tutte le sue forze adoperò per farlo disdire, perchè lo richiesto abbattuto diceva che non si voleva mai disdire, in modo che prima fu ammazzato, che volesse disdire. Onde il vivo dimandò al giudice che dovesse dar la sentenza in suo favore, perchè havea occiso il suo richiesto avversario, che havea promesso farlo disdire; il perchè si dubitava per certe ragioni in favore del morto si producevano, che ‘l vivo non solamente non era vincitore, ma senza arme esser vinciuto, per cagione che promesse et s’offerse farlo disdire, la qual cosa non havendo fatto non havea satisfatto alla promessa, nè quella attese, anzi il morto, per non disdirsi, virilmente ha promesso prima farsi occidere, che l’honore suo maculare per disdetta; per il che doveria lui havere l’honore, per havere la sua promessa riservata & farsi uccidere & perchè il nimico ha mancato di ciò che promise è stato vinto & l’altro ha resistito alle sue forze, nè s’è disdetto infin che vivo si ritrovò & si può dire che la morte pose fine nel suo disdire et dassi monitione più presto morto che disditto. All’opposto si allega per parte del vivo, il quale havendo ammazzato il nimico può dire havere fatto più che non offerse, perchè morto combattendo è una disdetta & sono simile effetto, per questo il detto morto si può dire esser disdetto, perchè dimostra per la morte haver ingiustamente combattuto & perduta la vita insieme con la battaglia & questo venne ad esser più che disdetto; et così il giudice intendendo la causa decise essere il vero tacitamente: ogni morte in sustanza è disdetta, per conseguente è morto del vivo, perchè offusca & deturpa la fama del disdetto et così ancora quando si combatte ad oltranza la fine è morte o disdetta, et son però assimiglianti; ma tornando al caso, quello che offerse espressamente con la sua bocca farlo disdire, colui ch’è constretto non si volse disdire, perchè non incorse la morte, non si può dire essere atteso ciò che disdisse espressamente, per questo si doveria dare sententia che ‘l requisitore non ha adempiuto la promessa & il morto morì con honore, non volendosi disdire, ma non si potria giustamente giudicare il vivo esser perditore, havendo ucciso lo nimico, per che la morte in battaglia darli grande honore; nè anco si potria giudicare il morto esser vincitore, quantunque habbia ricevuto il martirio della morte per non disdire, benchè gli sia più honore quanto alla gloria militare, come faceano li Romani antichi & molti altri cavalieri moderni volsero più tosto morire con honore che con vergogna vivere; però sono pochi de’ cavalieri che tal prova fatta hanno; & disse M. Baldo gran dolcezza è nel vivere, tal che molti scusano con la forza et terrore dell’armi haversi disdetto, ma la lor scusa a buoni cavallieri d’arme non è honorata; li cavalieri antichi giuravano non vietare la morte per la Republica, nè credere, si potria, dare altra sententia, come è predetto, che ‘l giudice dichiarasse che ‘l procuratore non abbia adimpita sua promessa, et dare laude al morto, che con honore morir volesse per non disdire; nè però si doveria il morto pronunciare vincitore, perchè dove è la morte non si può far giudicio di vittoria, nè il vivo esser perditore, havendo data la morte al suo nimico; ma in caso che ‘l requisitore havesse detto voler provare il contrario et mostrarli c’havea detto falsamente, ammazzandolo, meritamente doveria la vittoria riportarne, over quando havesse detto «ti farò disdire» & combattendo l’havesse ucciso, non havendoli richiesto nella battaglia che si dovesse disdire & il morto non havesse detto «io non mi voglio disdire»: allhora s’havesse ucciso senza resistenza seria come disdetto; et ciò scrivo riservando sempre il giudicio de i Principi d’armi & d’altri cavalieri, che con miglior ragione si movessero in dar più retta sentenza. | ||
Cap. 265. Qual è maggior dishonore, o fuggire o disdire con la propria bocca.
Circa la disdetta mi occorre un’altra dubitatione, qual seria più dishonore disdire uno armigero con la propria bocca, over dal campo codardamente fuggire: benchè sia di sopra narrato che ogni fuga è disdetta, quantunque parte siano simile, pure si differisce, perchè la fuga procede da maggior viltà che non è la disdetta, considerando che lui stesso per propria miseria si condanna & promette senza arme farsi superare, perchè debbe ogni sua forza prepararsi, quando gli fosse possibile mostrare la sua virtù per non fuggire, come interviene a quello ch’è in potenza dell’avversario & per forza d’arme si disdice col tormento delle ferite ricevute animosamente, quando che egli fa il possibile di resistenza, per volere la fama dell’honor suo diffendere; onde se le sue ultime forze non basteranno a vincere, facendo disdetta per non morire è meno dishonore, perchè la forza dà alcun colore di giusta escusatione & pare che sia cosa che proceda contra la propria volontà, che per forza fa disdetta; et pertanto il fuggire è maggiore incarico che per forza d’arme disdire, perchè lo perdere con honore non vitupera tanto il perditore, quanto che a perdere con viltà & con incarico di fuga & sempre si debbe tentare la fortuna per la vittoria, non si debbe senza resistenza dare l’honore all’avversario, perchè non è maggiore ingiuria del fuggire dinnanzi ad uno, dove non si conosce avantaggio, nè maggior riputatione s’acquista che seguire il tuo nimico che per paura ti fuggisse. | ||
Cap. 266. De dui combattenti, uno cavò un occhio al nimico & l’altro gli tagliò il naso, si dimanda quale haverà più honore de li dui.
Facendose una battaglia fra dui armigeri, quali havendo fermati i Capitoli chi meglio facesse fosse vincitore & havesse honor della vittoria e quello che peggio facesse restasse perditore & pregione del vittorioso, accade nel combattere che uno a l’altro un occhio li cavò & quello che lo perdette all’altro il naso li tagliò, & finendosi la battaglia, dubitandosi, se domanda quale di lor fusse più honorato vincitore, onde quello che haveva cavato l’occhio al compagno mostrava havere maggior parte nella vittoria honorata, attento che in questo mondo non è altra miseria ch’esser privo della vista, per rispetto che fa restare l’huomo inutile a tutte le cose e per esser l’occhio membro nobilissimo, e per esser collocato in eminente loco, è dignissimo membro per esser posto in testa, quale è il principale & governatore di tutti gli altri membri humani, attento che li guida & conduce, con lo instrumento dello lume, dove a lui pare & piace; & per quello si cognosce & discerne tutte le cose della natura, la imagine del quale allo cervello & al core rapresentano e conservano la memoria delle cose visive e fanno l’huomo combattere & legger come instrumenti necessarij a gli esercitij; ministrano, allegrano il core che in mezo del corpo humano è realato, con la quale per la virtù visiva, allegrandosi con allegrezza; se notifica, il perchè ragione è di vivere lungo tempo, che per essere il naso membro inutile nel capo e vile, per cagione ch’è conduttore delle feccie del cervello et per quello se conducono li puzolenti vapori della testa & per essere lo senso de lo odorato inutile al corpo humano: altra utilità di quello non si sente, se non che per ornamento della bellezza della faccia in quello loco da natura è stato produtto. Adunque concludiamo che l’occhio è membro di maggior eccellentia, attento che son due porte della vista, qual è lo aprire & lo serrare per lor volontà ponno disponere & in lor difensione la natura, maestra di tutte le cose, due perpetuale ha per create; & lo philosopho dice, come noi in un altro Capitolo havemo referito, che l’occhio è instrumento de l’anima sensitiva e la mente vede mediante l’occhio; & imperò quanto più è eccellente il membro, tanto è più quanto che per la sua percussione causa maggior dolore: per questo ha maggiore honore quello che privò, che non a quello a chi fu l’occhio privato; ma se potria incontrare che quello il quale perdette il naso, per unico membro nella faccia, è più necessario al corpo humano & più dannosa la perdita di quello, attento che per esser solo ornamento, essendone la faccia sguarnita, in niun modo si può rimediare; & havendo perduto un occhio, restasse l’altro, totalmente non è privato della luce, anzi se fortifica la virtù visiva & quello che era in dui in uno naturalmente se riduce, di modo che viene a veder così con uno restando come con li dui; & questo è per ragione che la virtù visiva è divisibile, quantunque si possa diminuire, non se può partire; & questo dice Baldo, che l’huomo che ha un occhio da niuno esercitio per desutile si può movere; & leggesi di Annibale Cartaginese, il quale per violenza del freddo perdendo un occhio all’alpe di Bologna, facendo pur grandissimi fatti contra Romani, s’adoperò sì che da molte vittoria nel mondo è rimaso famosissimo; e l’Evangelio dice: “meglio è andar con un occhio in paradiso che con dui ne l’inferno esser dannato”; nè s’acquista però estrema miseria per haver un occhio, perchè vuole la legge che non si possa amovere di alcuna aministratione de officio quello che havesse un occhio, come huomo imperfetto; & per questo se dinota che a perdere il naso è maggior vituperio, perchè essendo la faccia humana assimigliata al volto divino, totalmente per la perdita del naso resta molto disturbata, perdendo la ornata bellezza, a la quale non è alcuno rimedio, nè potria per coprimento celare tale deformità del naso tagliato, onde mostrando in presentia di tutti tanto disornamento; come è maggior pena a colui che ha una mano e la perde, come dice Baldo, così è maggior pena & incarico per essempio uno che perde il naso, come quello che gli muore uno suo figliuolo ha maggior dolore di quello c’havendone dui gliene muore solo uno, però non è si grande pena; & secondo la opinione de gli huomini non si può far maggior improperio & ingiuria all’huomo che privarlo del naso, per il quale è maggiore offesa che se d’una mano o d’un piè o d’un occhio lo privasse, perchè è più manifesta cosa, cioè vergogna; & per questo per una gran pena se suole uno delinquente alla privatione del naso condannare, acciocchè porta per eternale pena su la faccia di continuo la sua vergognosa punitione, la quale in nessun modo si può coprire; & dice Federico nella sua Costitutione che la pena della privatione del naso è punitione atroce & severissima, attento che è derisione della gente; & questa tal punitione se costuma dare alle donne che adulterano il matrimonio coniugale, manifestata in gravissimo delitto; & per questo crederia che ha maggior honore quello a cui è restato il naso, perdendo l’occhio, che quello in quale con dui occhi & senza naso si ritroverà; però quando simile caso accadesse potrà il giudice secondo il suo vedere giudicare, ma la mia sentenza mi pare esser giusta per le altre circonstantie, chè possono mille ferite intervenire. | ||
Cap. 267. Di uno che fosse stato dipinto, se con ragione si può refutare di combattere.
Uno che sia stato dipinto risponde e dice, se bene è stato dipinto & che lui sia mancato a quel che paresse essere tenuto, questo è stato sol per non combattere il torto e non per viltà; ma questo è stato sol per ricognoscere Iddio summa verità favoreggiante de la giustitia, come chiaramente è noto, ma al presente conosce haver ragione, la quale gli ha data il suo adversario & intende restaurare l’honor suo et far fama; et quando fusse stato per chiaro giudicio di refutarlo, non sta bene sotto tal colore di darli causa di combattere; responderemo per lo adversario e diremo che la causa procede da la forma et che una causa causa l’altra, però non accetta esser stato lo principio, ma è stato meggio et ch’el fine se relassa; perchè non si conviene lo Agnello col Lupo, nè il Lepro con l’Orso, nè il Coniglio col Leone et non il magnanimo con il codardo, nè manco possi fare d’una cosa morta una viva et darli vita, nè manco possi fare che una donna meretrice sia vergine, sì ch’el buon trionfo canta, esclamma genti di ferro e di valore armata e che l’ha poco l’uno e manco l’altro. Concludendo dico non può provare e non convien che de militia splende mal consueto; e questo vivere è bene attendere et in quello riposarsi. | ||
Cap. 268. Del contrasto delli armigeri contra li letterati.
Quivi responderemo contra li letterati: dico che li armigeri sono espurgatori de’ peccati, destrugitori de lor superbie, reveditori de lor persuasioni & lor idolare; & tal vitij di crudeltà non regnano da’ virili magnanimi, solum contra inimici, la qual legge Imperiale non vieta ch’el nimico se dannifica in qualsivoglia modo; in quanto al vero, la necessità non ha legge in alcun tempo & quando non si esercita il mestiero se vive honoratamente con i suoi quartieri o paghe e denari de’ grandi, standosi a piacere li veneno & fanno buona ciera, viveno nobili, perchè sono denari de nobili & non son tenuti se non da servire nobili; ma i letterati viveno di denari de mendichi & poveri & quelli sono obligati servire a forza, che quando le litigatione non vi fussero morirebbero di fame: oh quante cose sarebbe da dire più oltra, ma l’honestà stringeme a tacere! | ||
Cap. 269. Di quanti modi si può mentire.
Diremo che uno honesto mentire si può dire «tu ti parti dalla verità» o vuoi dire «tu non dici il vero»; ancora ne l’altro mentire, dicendo «tu ti menti per la gola», ma questo è più vituperoso che altro; e gli è ancora uno altro mentire che dice «tu ti menti per la gola come un tristo»; un altro mentire si può dire «tu ti menti per la gola come un tristo che tu sei»: uno è ifferente dall’altro; poniamo caso ch’uno dicesse «tu menti per la gola come un tristo», non s’intende però ch’el sia tristo, ma che l’habbi mentito come si fa ad un tristo & lui non debbe combattere sopra la querela ch’el sia tristo; ma se egli dicesse «tu menti per la gola come un tristo che sei», combattasi sopra la querela “che tu sei” et questo è caso honesto, non vi essendo tristo. | ||
Cap. 270. De dui combattenti ridutti in campo per combattere & il disfidato appresenta arme da diffesa senza prima haversi dato notitia, vederemo s’el può fare, sì o no.
Movesi il dubio che essendo codotto per combattere sul campo et lo disfidato appresenta l’arme d’offendere come conviensi et ancora le arme da diffendere, come sono corsaletti, corazze, corazzine, over celatoni, elmetti, mezzatesta, bracciali o guanti, arnesi, schinieri, con dire che lo desfidato può dare le arme che a lui piace, sì da diffendere come da offendere, come si costuma, si osserva, si risponde al disfidatore che gli è consueto a fare intendere che avanti la giornata di molti giorni si debba provedere d’arme necessarie da diffesa, attento che l’arme non sono eguali, nè anco li corpi, nè mani, nè gambe, capi e braccia, & ciò sarebbe da dubitare ch’al disfidato se li haverebbe potuto far fare per la persona sua tra ambedue; & questo postponemo che l’un sia di poca statura e l’altro grosso e grande di membri: non conviene che con tanto superchio d’avantaggio gli levi la vita et l’honore, ma quando lo disfidatore vede li detti pezzi d’arme da diffendere le può con giusta ragione refiutare. | ||
Cap. 271. De dui combattenti, & quello il quale ha da eleggere l’armi & per lettere fa noto a l’avversario “di tali e tal arme tu ti preparerai” et non gli essendo altra reserva di mancare & aggiungere, se si può mutare d’altre arme di quelle, overo no.
Questo dubbio è da vedere, che lo disfidato haverà dato aviso al disfidatore che lui si habbia a preparare per il dì de la giornata di tale & tali arme & non sarà altra riserva di crescere & sminuire; & quando seranno sul campo gli appresenterà altre sorti di arme, dicendo che a lui sta a far la elettione dell’arme et sono in luoco da eleggere & d’adoperarle & darli quelle le quali a lui piacerà; se risponde per lo richieditore che non se conviene ad una cosa ch’è ditta o fatta, & massime a magnanimi Cavallieri, et ancora non sta bene esser lecito di dare & torre & dire una cosa & poi farne un’altra & non è ancora il dovere che uno possa ligare, disciogliere et fare quello ch’a lui piace in pregiudicio della parte, tanto più che in questo mestiero della militia appigliasi et attaccasi ad ogni picciol ramo; & quando l’huomo reggesi male spesse volte accade & sforzatamente conviensi tollerare, sì che è licito lassar li primi termini, combattere nove cause. Così ancora si può con ragione attaccarsi & quelle cose che son dette di prima, senza riservare di giongere & mancare gran privilegio; & gratia haverà l’huomo che ciascuna cosa malfatta che la non fesse, over resolverà senza pregiudicio; ma per non potere bisogna che lui stesso si doglia. | ||
Cap. 272. De dui che vennero a parole & uno dice cornuto a l’altro & l’altro dice a lui traditore, gli è da vedere quale è maggiore ingiuria.
Sono alcuni che dicono che a dire cornuto a un altro è maggior incarico, attento che gli è una cosa ch’el se ne fa gran stima più che tesoro e vita & perchè la stima è cosa riservata sol per lui & è cosa che non conviene, nè a padre, nè a figliolo, nè amico, nè a parente, nè a persona che al mondo sia; & quello che tal precio non ha in stima si può dire cosa non accostabile alla natura & non è degno de vita, perchè non è sol la sua vergogna, ma di parenti de l’una parte e de l’altra & sono offesi; & quelli tali huomini che lassano annichilire tanto honore & tacciono e che tale ingiuria in petto portino sono d’arme non degni; a questo proposito, pigliando esempio da gli animali senza ragione, che per tal caso a morte se condicono; se risponde per l’altra parte che uno traditore non solo offende a sè & a parenti, ma destruge & annichila honore de patria & massime dandola in preda alli nimici, perchè si va l’honor commune di donne & perditione d’anime, considerando il caso de’ tradimenti è iudicato e sigillato vitio et horribile errore; a tal che questa de’ tradimenti detta, ogni altra infamia avanzia. | ||
Cap. 273. Dove si può iustamente dipingere uno che mancassi al combattere, & con suo honore.
Essendo adunque uno recercato al combattere di alcune querele & fra tanto tempo s’habbia da dare risposta, e mancando al detto tempo non per la prima lettera & ne anco per la seconda non preiudica, attento che lo potria fare malitiosamente per far variare dei termini lo disfidatore; ma s’alla terza littera non risponde al termine iusto di qualche mese, acciò habbi tempo di consigliarsi, non gli è scusa alcuna, vero è che da la tertia & ultima lettera debbe determinare il tempo di sei mesi; & venuto li ditti sei mesi se non risponde, resolutamente se può depingere mancatore del suo honore e non iusto, che per torto c’habbi lui che la parte non habbi el modo revedere la ingiuria fatta: per questo la legge Imperatoria statuisce li detti sei mesi & per consuetudine convien c’habbia luoco, chè altramente l’offenditore potria dilatare mille anni a l’offeso; e questo è fatto per chi non havesse animo combattere al torto e che habbi a pensare in che modo si offende le persone & antivedere al caso succedente. | ||
Documento sopra molte prese di stillo, over daghetta o pugnale, che facilmente tutte si possano fare, accadendo come si costuma a questi moderni tempi che di molti huomini si ritrovano essere offesi per non havere arme in mano, nè manco scienza. Et io, vedendo di questi casi occorrere, mi son mosso amorevolmente con l’arte mia a scrivere queste cose, come trovarete davanti in questo libro, acciocchè quelli che si diletteranno de la militia sieno advertiti ad imparare tali prese, per conservatione della vita loro. Et nota che ditte prese, che qui seranno composte in tutte l’armi, alla lotta seranno molto utili, per quelli che si eserciteranno in tal virtù, overo arte. | ||
Presa 1
Now see that here we will give the principles of the 1st presa, having noted that which is useful and knowing defense from your enemy. I am strong in giving the principles of the first presa against stilletto or dagger. And see, that your enemy having a weapon in an overhand grip, it is necessary to watch always the hand with the eyes. That is to say, that he will not be able to dupe you. Going on, I say that if your enemy attacks you overhand with the dagger, you will defend with your left hand, engaging his arm in a reverse grip. That is his right arm, and in this engagement you will hurl your right leg behind the left of the enemy, drawing your right arm to the opponent’s collar (neck), twisting in this throw the left hand towards his right side and throwing said arm towards the ground. Doing this the head will be pushed back. |
Presa Prima.
Hora nota che qui daremo principio alla prima presa: havendo dinotato di quanta utilità è a sapere diffendersi dal suo nimico, mi son sforzato dare principio a questa prima presa di stillo, over daghetta. Et nota che havendo il tuo nimico una dell’arme sopradette in mano, è necessario a guardargli sempre con l’occhio alle mani, acciocchè lui non ti possa gabbare. Avvenga, dico, che ‘l tuo nimico ti tirasse sopra mano d’una daghetta, tu ti riparerai con la tua man manca, pigliando il braccio suo alla roversa, cioè il braccio dritto, et in questo medesimo pigliare tu gitterai la tua gamba dritta di dietro alla destra del tuo nimico, trahendo in questo medesimo gittare il braccio tuo dritto al collo all’incontro, storcendo in tal gittare la mano sinistra verso le parti dritte del sopradetto, tirando le ditte braccie giuso a terra: facendo a questo modo, farà lui un capofitto indrieto. | |
Presa 2
If your enemy has the weapon underhand as in the figure, keep the eyes steady on his fist, so that if he throws a rising thrust to kill you, you will throw your left arm to his right arm, turning your fist with the fingers down and you will grasp him tight, stepping in the grab with your right foot to the outside of your enemy. In the throw you will grasp the right thigh with your right hand while thrusting your head under his right arm and you will turn your shoulders and in this manner you will take him away and throw him to the ground. |
Presa Seconda.
Essendo il tuo nimico con l’armi in sotto mano, come apertamente dimostra la figura, fermerai l’occhio tuo al pugno predetto, cioè che tirandoti lui al di sotto in suso per ammazzarti d’una ponta, ti gitterai col braccio tuo manco al suo braccio dritto, voltando il pugno tuo con le dita in giuso & lo piglierai stretto, passando, nel pigliarlo, della tua gamba destra, mettendola di fuori dalla dritta del sopradetto tuo nimico & in questo medesimo gittare tu piglierai la coscia destra con la tua mano dritta al predetto, cacciandoli in questo pigliare la testa tua sotto al suo braccio destro & volterai le spalle alla roversa; & a questo modo lo porterai via & lo gitterai a terra & serai vincitore galantemente & polito. | |
Presa 3
Wishing to declare the manner of defending oneself from one who attacks overhand with a dagger to kill you, as you see in this third part, you will defend throwing your right arm to his right arm grabbing in this throwing said arm on the outside in a reverse grip and stepping in said time with the left leg to the right of the aforementioned. Grab in this step his right leg with your left arm and in this manner you will hurl him back onto the ground and remain resolute giving him this when he attacks you. |
Presa Terza.
Volendo io dichiarare la maniera da diffendersi da uno che te tirasse d’una daghetta per amazzarti sopra mano, come in questa Terza parte si vede, tu ti riparerai tirando la mano tua dritta al braccio destro del tuo nimico, pigliandolo in questo tal gettare nel detto braccio per di fuori alla roversa, passando in detto tempo con la tua gamba manca alla destra del sopradetto, pigliando in tal passare con il tuo braccio manco la sua gamba dritta e a questo modo tu lo butterai per terra indrieto & sarai risoluto & gli darai a lui delle ferite. | |
Presa 4
Now note, that in this 4th presa, that when your enemy throws an underhand thrust, I want you to defend by grabbing the top of his right arm with your right hand, holding it tight, and stepping in that grab with the left leg behind his right and in the time of the step throw your left arm to the front of his throat. Immediately push said arm (left) back towards the ground and with your left leg give him yours behind his and in this manner he will fall to the ground and you will be secure, gallant, and polito. In case you do not understand the writing, pay attention to what is shown in the picture. |
Presa Quarta.
Hora nota che in questa quarta presa voglio che quando il tuo nimico ti tirasse d’una ponta sotto mano, ti riparerai pigliando con la tua mano destra di sopra il suo braccio dritto, tenendolo forte stretto, passando in tal pigliare con la tua gamba manca di drieto dalla sua destra & in tempo di tal passare gitterai il tuo braccio manco nella gola dinanzi al nimico, spingendolo subito col ditto braccio indrieto verso terra & con la gamba manca darli nella sua dritta di dietro & a questo modo caderà per terra & tu serai sicuro, galante & polito; & se per causa alcuna non intendesti la scrittura, guarderai quello che ti mostra la pittura. | |
Presa 5
In this 5th presa one should consider that wanting to be patient surpassing the people, it is necessary to bravely watch said agent as he takes weapon in hand, under or over hand, but presupposing that in this 5th part he has it above hand and that he throws a falling thrust or cut to the chest or face, you will defend by throwing your left hand to his right and grab it in a reverse grip. Stepping with the right leg hurl him back with the aforementioned, grabbing in said step the arm of the enemy with the right hand from underneath as you may see, pressing together both and throwing him strongly to the ground. Note that in this throw you will break his right arm in the fall of his weapon to the earth. You will then be victorious and you will come out of peril gallantly and very polito. |
Presa Quinta.
In questa quinta presa è da considerare che volendo il patiente superare l’agente, necessaria cosa è arditamente guardare al detto agente, com’egli tiene l’arme in mano, o sotto mano, o sopra mano; ma preponeremo che in questa quinta parte la tenga sopra mano & che lui di su in giuso trahesse una pontata o taglio, per il petto o per la faccia: tu t’arreparerai gittando & pigliando con la tua mano manca la destra del nimico alla roversa e con la gamba dritta passando, buttandola di drieto a quella del sopradetto, pigliando in detto passare con la tua man dritta il braccio del tuo nimico per di sotto, come tu vedi, stringendo ambedue & tirando giù a terra fortemente; & nota che per questo tal tirare tu gli romperai il braccio suo dritto, cascandogli di subito le sue arme in terra & sarai vincitore & uscito del pericolo galantemente & ben polito. | |
Presa 6
You see in this sixth part that you need to have your weapon in hand, making use of your skill and value of overcoming your opponent. That is to say if he throws at you the aforementioned thrust or overhand cut, you will defend with your weapon engaging with both hands together as you can see. In this parry you will wrench upwards with the intension of pushing with your left arm to your right and pushing strongly to the inside of your opponent. Watch that your left leg is to his outside while cutting his hand and his weapon will fall to the earth while he turns as you may see. |
Presa Sesta.
Tu vedi in questa sesta parte che ciascun di voi ha l’arme in mano: bisogna adunque adoperare l’ingegno & considerare di superar il tuo nimico, acciocchè trahendoti il sopradetto di detta ponta o taglio sopra mano, tu te riparerai con l’arma tua pigliandola con ambedue le mani insieme, come tu vedi, dandoli in detto parare con la tua man manca una storta in suso, intendendosi del tuo braccio manco spinga dal tuo lato destro, il dritto tu ‘l spingerai forte dentro verso il nimico e guarda che la tua gamba manca sia di fuori dalla destra del sopradetto: facendo questo se taglierà la mano & l’arma sua li cascarà per terra, voltandole le spalle come tu vedi. | |
Presa 7
If a man desires to kill another that does not have a weapon in hand, if he has the weapon overhand as you may see, and grabbing the shirt with his left hand, you will not wait but will grab his [hand] with your left hand and holding it to your chest step with the right leg to the outside of his left [leg] and at the same time put your right arm to his throat. Push against his left leg with your right and push with your right arm and in this manner he will fall and you may attack him. |
Presa Settima.
Hora volendo noi parlare in questa settima parte se un huomo volesse ammazzare un altro huomo che non havesse arme in mano & quello che volesse ferire havesse l’arme sopra mano, come si vede che ‘l pigliasse l’altro anchora nel capuzzo, di quivi non bisogna più aspettare, che tu pigli con la man tua manca quello che t’ha pigliato nel petto, passando in ditto pigliare della tua gamba dritta di fuori dalla manca del tuo nimico, mettendo in ditto tempo il braccio tuo destro ne la gola al sopradetto, dandogli con la tua gamba destra nella sua sinistra, spingendo con il tuo braccio verso le tue parti dritte, di modo che lui per questo convien cadere in terra & darai a lui delle ferite. | |
Presa 8
...finding oneself being attacked overhand, it is necessary to grab his right hand with your left while stepping to the right of the enemy and while turning the shoulders and surprising him in this turn, take the weapon that is in his right hand, turning it immediately away to his right side, taking the weapon. |
Presa Ottava.
A voler chiaramente discrivere queste prese come vanno, sappi tu lettore che son di gran fatica, ma pur per dare conforto a quelli che si diletteranno, gli mostrerò che vale scientia antica in questo & in altro che potrà accadere, sicchè lettore leggi volentieri. Hora, havendo ditto qui di sopra come questo scrivere è molto difficile a specificare ogni cosa, come vanno, mi sforzerò con la mia poca memoria a dare d’intendere a quelle persone che qui leggeranno, che trovando uno che sopra mano volesse dare ad un altro una ferita, bisogna che con la sua man manca gli pigli la sua mano dritta, passando in tal pigliare dal lato dritto del nimico, voltandogli le spalle al sopraditto, pigliandoli in questo voltare l’armi che haverà con la sua dritta mano, voltandola di subito alla roversa, verso le parti dritte del sopraditto: & per questo voltare di mano c’haverai fatto alla roversa gli torai l’arme di mano al tuo nimico & così sarà perditore. | |
Presa 9
...there is always a need to keep the eyes always on the enemy's hand. If he throws an overhand thrust with a dagger you will catch his right arm with your right hand in a reverse grip and with the left push his elbow up, pushing and twisting it to the earth as you may see. Place your left leg forward of the right to his right side twisting and pushing his arm. |
Presa Nona.
Io t’ho mostrato in più lochi de molte prese differentiate l’una da l’altra in scrittura & ancora in pittura, facendoti intendere se gli è uno pratico, farà queste cose facilmente havendo cuore; & sappi come ho detto più indrieto, gli è di bisogno fermare l’occhio tuo sempre alla mano del tuo nimico & vedere in questa nona parte quello che lui vuol fare, perchè trahendoti lui di una ponta di daghetta o pugnalata sopramano, tu ti riparerai pigliando il suo braccio dritto con la tua man destra alla roversa e con la manca piglierai il gombito al sopradetto, stringendole & storcendole verso terra, come tu vedi, gettando la tua gamba manca innanci de drieto alla destra dell’inimico tuo, storgendo e spingendo il suo braccio dritto sotto dal mezzo in giuso verso le tue bande sinistre e la tua man manca tu la spingerai verso le tue parti destre, in modo che lui per forza te volterà le spalle & non voltando tu gli romperai il braccio al sopradetto nimico & serai sicuro di tal pericolo. | |
Presa 10
Being attacked by one who has the dagger overhand and you also having one, you will put your leg forward and wait, keeping your eyes to his right arm and not moving at all, because in his attack you will engage his right arm with your left hand in a reverse grip as you may see, giving in that grip a twist to the outside with your left hand and then you will be able to attack. |
Presa Decima.
Essendo tu assaltato da uno che havesse una daghetta sopra mano & tu ne havesse una come lui, tu ti metterai con la gamba manca innanzi assettato polito, mettendo l’occhio tuo fisso al suo braccio, non ti movendo di niente, perchè tirandoti il tuo nimico per darti delle ferite, tu ti riparerai pigliando con la tua man manca il suo braccio dritto alla roversa, come tu vedi, dandogli in tal pigliare una storta indrieto con la tua mano sinistra & gli potrai dare a lui delle ferite. | |
Presa 11
Consider the following in this 11th presa. If one comes at your with the left leg forward to wound you, you should think in this manner: Since you cannot engage the right arm, you will engage the left near the fist and with the right arm you will engage his elbow and you will step forward in this engagement with the right foot and immediately in this step you will give him a twist to his arm with both of your hands, turning strongly and with this presa you will have turned his shoulders or broken his arm. |
Presa Undecima.
Habbiamo da cosiderare in questa undecima presa che accadendo che uno venisse innanzi col braccio suo manco & piede, come tu vedi, per darte delle ferite, tu hai da pensare che ‘l viene in questo modo, acciocchè non gli possi pigliare el suo braccio dritto; et tu vedendo questo gli piglierai con la tua man manca il braccio suo appresso el pugno al sopradetto e con la destra mano tu pigliarai el suo gombito, trahendo tu, over gettando in tal pigliare la tua gamba manca avanti alla tua dritta & subito in tal passare darai una storta al braccio del tuo nimico con ambedue le tue mani, voltando forte & a questo modo haverai fuggito la morte e per questa presa che tu haverai fatto te voltarà le spalle o gli romperai il braccio suo. | |
Presa 12
Now note that if you find yourself without a weapon in hand and your enemy with one underhand in order to attack you, you will put your left leg forward outside his right side and grasp in this step his right arm with your left hand then throw the right as well [to the arm]. With both your hands push his arm and at the same time twirl your feet around putting his arm on your shoulder and in this turn you will take his weapon or break his arm. |
Presa Duodecima.
Hora nota che se tu te trovasse a non havere arme in mane e ‘l tuo nimico n’havesse una sopra mane, per volerti percuotere di una ferita, tu gittarai la tua gamba manca innanzi, di fora dalla dritta del tuo inimico e piglierai in tal passare con la tua man manca il suo braccio dritto, gettandole di fatto ancora la tua dritta, con ambedue stringendo il braccio al sopradetto, pirlando in detto tempo in su i tuoi piedi, e nota che in tal pirlare tu metterai el suo braccio dritto in su la tua spalla manca voltandogli le spalle e sappi che per tal voltare che tu haverai fatto lassarà l’armi, o gli romperai il braccio. | |
Presa 13
In this 13th part the enemy has the dagger underhand as you can see. You should not flee but remain steady with your feet looking to the hands, meeting the movement of the aforementioned. As he gives you a thrust to the chest you will defend by grabbing his right arm with your left hand and with your right hand you will twist the weapon out of his hand, giving him a reverse twist, and in that time putting your left leg towards his right, strongly extended to the right, as may be seen in the figure and you will have the weapon. |
Presa Terzadecima.
Havendo in questa terzadecima parte il tuo nimico l’armi sotto mane come tu vedi, tu non volendo fugire, tu ti fermerai saldo su li tuoi piedi guardandogli alle mani: vederai il movimento che farà el sopradetto, perchè trahendoti lui una ponta per il petto, tu t’areparerai pigliando con la tua man manca el suo braccio dritto e con la tua dritta mano tu gli torai l’arme di mane al suo dispetto, dandogli una storta a la roversa, mettendo in questi tempi la tua gamba manca scontro alla dritta del sopradetto, forte distesa per lo dritto: guardando alla figura imprenderai, tu gli torai l’arme di mane e salvo serai. | |
Presa 14
Not having a weapon in hand as your enemy you will settle yourself with the right leg back and with the left opposite his right. Keep the eyes strongly on his right arm because as he attacks you, you will defend with your right hand, engaging in that time his right arm from above and with the left hand engage the weapon in a reverse grip at the half and give it a twist. Know that in this twist or turn of the fist that you turn it up to his right side and doing it in this manner you will take away the weapon. |
Presa Decimaquarta.
Essendo alle mani senza armi incontro al tuo nimico, tu ti assetterai del tuo piè dritto indrieto & con lo manco sera’ all’incontro del destro del sopraditto, tenendo forte l’occhio al suo braccio dritto, perchè tirandoti per darti delle ferite, tu ti riparerai con la tua dritta mano, pigliando in questo tempo il suo braccio destro per di sopra et con la man manca piglierai l’arme sue alla roversa in mezo al tuo nimico, dandoli una storta in questo tempo; et sappi che detta storta o volta di pugno che tu farai, bisogna che tu la volti all’insuso, verso la parte dritta del nimico et facendo a questo modo tu gli levarai l’armi di mano al suo dispetto. | |
Presa 15
In this 15th presa there can be many things to write. But because this presa is difficult I must be brief. If one with a dagger, stilletto, or knife comes to wound you overhand, you will defend by engaging his arm with your right hand, to the right, and at the same time the right foot will go with the hand, not stopping, you will twist the right foot and turn under the enemy and in the turn take your left foot behind the right. In this throw you will grasp the right leg of the enemy with your left hand and throw him to the ground or carry him away as you may see. |
Presa Decimaquinta.
In questa quintadecima presa gli seria di molte cose da scrivere, ma perchè queste prese sono tanto difficili da scrivere, al più che potrò brevemente ne scriverò. Sicchè, s’el fusse uno che ti venisse all’incontro con un pugnale o stillo o daghetta per ammacciarti sopra mano, tu t’areparerai pigliando el suo braccio destro con la tua man dritta, per el dritto, accompagnando in questo tempo il tuo piede destro con la tua man dritta, non ti fermando di niente che tu pirli in sul piè dritto e volterai le spalle al sopradetto inimico, gettando in tal voltare la tua gamba manca alla dritta per de drieto, verso le parti dritte del nimico sopradetto, et in questo tal gettare tu piglierai la gamba dritta, con il tuo braccio manco, del tuo nimico & facendo questo lo gettarai per terra, o cascarà indrieto o portarlo via, come tu vedi. | |
Presa 16
In this 16th presa watch well, for if your enemy grabs your chest to give you an overhand thrust, you will disperse, bringing your two arms together above his left arm. Be resolute, confident, and defensive. Note ficando to each person that looks at the figures, that is better, and more clearly teaches offense and defense. |
Presa Decimasesta.
Havemo da notare la sesta decima presa: hora guarda bene, che s’el fosse un tuo inimico, che con la sua man manca ti pigliasse in el petto per darte d’un pugnale sopra mano delle ferite, tu te dissolverai dandogli di fatto con le tue braccie insieme in sul braccio manco al sopradetto: ma nota per questo dare serai risolto e serai sicuro e diffensato serai, notificando a ogni persona che debbia guardare come stanno sempre le figure, acciocchè meglio e più chiaramente possano imparare de offendere e diffensare. | |
Presa 17
If your enemy has a weapon in hand as you can see here, there is a need for you to defend by putting your left hand to his right arm, grabbing it alla roversa and you will grab the stiletto with your right hand and having given it a great twist back towards his side with both hands you will have his weapon and you will attack him and in this manner will kill him. |
Presa Decimasettima.
Diremo adunque che vedendo tu il tuo nimico con un’arma in mano, come vedi quivi, è di bisogno per tuo riparare che tu getti la tua mano manca al suo braccio dritto, pigliandoli alla roversa il braccio al preditto tuo nimico & con la man dritta tu gli pigliarai il stiletto, dandogli incontinente una grande storta indrieto verso delle sue parti: con ambedue le mani gli torrai l’armi di mano al suo dispetto & gli darai delle ferite al sopraditto & a questo modo tu lo ammazzerai. | |
Presa 18
In this 18th presa you should look well at the figure with the weapon underhand, and this because the is a need here that when one arrives in front of the enemy, they must watch the hands, as one then is more apt to be able to defend. For not having practiced with a other person, as I have given you instruction to do, but doing this you will be very shrewd, watching always the right hand. If he gives you a thrust to your chest you will defend by grabbing his arm with your right hand and immediately step with the left leg behind both those of the enemy and in that step grab his beard or hair with your left hand from behind as you may see. Immediately upon doing this you will throw him back so he strikes the earth and taking away his weapon you will be safe and it will be possible to kill him.... |
Presa Decimottava.
In questa presa decimottava, se ben hai guardato, questa figura ha l’armi sotto mane e però per questo bisogna che quando uno arriva avanti al suo inimico, l’è bona cosa a guardarli alle mani, acciocchè meglio si possi diffensare; ma pochi sono che habbiano tal vedere, perchè non hanno praticato con le persone che gli habbian dato tal amaestramento; sicchè per questo starai molto accorto, guardando sempre alla man dritta del sopradetto, perchè trahendo egli una ponta sotto mane, el tuo nimico, per darti nel petto, tu te reparerai pigliando con la tua man dritta la mano destra al sopradetto, passando subito la tua gamba manca di drieto ambedue quelle dell’inimico, pigliando in tal passare la barba o i capelli con la tua man manca per di drieto come tu vedi e subito fatto questo, tu lo tirerai all’indrieto e batterallo in terra: togliendoli l’arme di mane, sera’ sicuro e lo potrai ammazzare, sicchè non ti far beffe di queste prese, perchè chi le saprà fare non sarà offeso. | |
Presa 19
...there is a need that when he comes against you with the weapon held underhand to kill or wound you that you defend by grasping his right arm with your left hand and grasp his left arm with your right hand strongly to constrain him and immediately in the grip you will fall back to the earth while putting your feet to his body or chest, pulling with the arms and with the feet you will hurl him back upon his head. With this throw you will break his head... |
Presa Decimanona.
Disponeremo in questa parte un dubbio molto sottile, perchè volendo in questo tempo fare presa che serà molto utile e laudabile da ogni persona, e uscirai senza pericolo di mane del tuo inimico, gli è di bisogno che quando il sopradetto ti venisse contra con l’arme sotto mane per amaciarte o darte delle ferite, tu te reparerai pigliando con la man manca il braccio destro di sopra al sopradetto e con la man dritta piglierai il braccio suo sinistro, tenendolo forte e stretto, e subito in tal pigliare tu te lascierai cadere in terra in drieto, mettendogli in tal cadere ambeduoi gli piedi in el corpo o petto: tirando a te le braccie e con gli piedi tu il getterai de drieto di sopra dalla testa e per questo tal gittare tu gli romperai la testa e faralli un grandissimo male: levandoti suso presto e torandogli le sue armi, parendo a te, tu lo potrai ammaciare. | |
Presa 20
...if the enemy is attentive and covers with the left arm and leg forward and comes at you with the left hand to kill or wound you, then with quickness in defense you will grasp the left arm with both your hands, pirouetting immediately and turning at the same time your feet so that your face is away from the enemy and your back is to his. In this grasp and turn you will put his arm on your right shoulder and in this immediately break his arm... |
Presa Vigesima.
Serà un bel dubbio et cosa gentile advertire in questa vigesima presa come far si debbe un armigero Cavaliero a difendersi da un suo nimico che incontro a lui venisse per ammazzarlo: ciò quanto habbiamo da considerare, che volendo senza pericolo andare a trovare un huomo suo nimico per ucciderlo sicuramente, molto prima pansare si debbe, fondatamente, con gran vantaggio & ingegno con arte usare, non temendo e non pensando già al pericolo, sibbene a stimarlo, non per paura, ma per meglio suo poter superarlo; attento che venendo il ditto nimico, per sua coperta col braccio manco innanzi, venendo et la sinistra gamba, gettando lui in tal venire la sua manca mano nel suo capeccio, davante, tenendoti stretto per ucciderti o darti delle ferite, allhora con prestezza ti difenderai, pigliando del ditto il manco braccio con ambedue le mani, pirlando subito e voltandoti ad un tempo su li tuoi piedi, intendendosi che la faccia tua sia volta al contrario di quella del nimico, et facendo questo la schiena sua serà voltata verso la schiena tua, et per questo pigliare et voltare che tu haverai fatto, il braccio suo sinistro serà in su la spalla destra in questo subito atto, non temendo tu niente a farequesta generosa presa, perchè superarai il tuo nimico et li romperai il braccio & gli farai una grande offesa. | |
Presa 21
...If the enemy deliberately comes at you to kill or wound you with a daghetta (dagger) as is depicted here, you will defend by grasping his arm that holds your chest with the left hand and with the right you will strike his arm keeping the fist constrained as you may see and you will be at liberty from the enemy. |
Presa Vigesimaprima.
Descriveremo quivi sì come si debbe diffendere uno in questa vigesima prima presa: habbiamo da pensare sottilissimamente che venendo uno tuo nimico deliberatamente per ammazzarti, overo darti delle ferite, con una daghetta, come quivi sono dipinti, vedendo tu questa tal cosa venirai a ripararti, pigliando il braccio, che colui t’ha messo nel petto, con la man tua manca & con il braccio dritto gli darai una percossa, tenendo il pugno stretto, cometu vedi, & dalli forte nel suo braccio sinistro & sarai disciolto dal predetto tuo nimico, galante & polito. | |
Presa 22
...when you are without weapon in hand and one comes at you with a pugnale (poniard/dagger) or a daghetta (dagger) to kill you there is a need to defend by grasping his right arm with your left hand close to the fist and with the right hand you will grasp his arm at the elbow in a reverse grip and twist strongly with both hands to the outside and step forward with the left foot breaking the enemy’s arm. Take away his weapon and then wound him... |
Presa Vigesimaseconda.
Diremo in questa ultima presa poche parole: in verità sono fastidiose da componere & voler narrare di ponto in ponto ogni cosa seria troppo lungo il scrivere; ma per non dare troppo tedio alle persone che quivi leggeranno, diremo a voi M. Giovanbattista, come figliuolo sopra a nominato, da i Letti di Bologna, ch’essendo voi senz’armi in mano & che uno venisse a voi, un pugnale o daghetta sopra mano, per ammazzarvi, gli è di bisogno che voi vi diffendiate pigliando con la vostra man manca il braccio destro dello nimico vostro, appresso il pugno & con la man dritta pigliarete il ditto braccio & il gombito al predetto alla roversa, come voi vedete, con ambedue le mani, torcendo una in fuori & l’altra in dentro: quando voi farete questo, fatevi innanzi col piè sinistro & torcendo forte romperete il braccio dritto al nimico, togliendoli l’arme incontinente, & potrete dare a lui delle ferite; & quivi poneremo fine a queste prese soprascritte, tutte quante a laude et gloria del Padre, del Figliuolo & del Spirito Santo. Amen. |