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LIBRO PRIMO

Ben che la disciplina & Arte Militare a molti strenui Cavallieri e magnanimi combattitori sia nota apertamente e chiara, pure a molti valentissimi della persona per la imperitia loro ascosa se ritrova. Onde alcune volte, nel parlare o ne l’operare de l’armi, per ignorantia e non per malitia mancano: et vedendo alcuno di questi errori molte fiate occorrere, per volere questi trasgressi evitare, più per pietà et amore, che alla virtù loro io porto, che da gloria alcuna suspinto & incitato, io me sono amorevolmente mosso l’ingegno e l’arte mia excitando per avvertire questi tali audaci combattitori acciocchè giustificatamente piglino l’arme. Perchè ho gia visto de’ gagliardi e valorosi homini, da manco potenti di loro essere superati, e questo da altro non è processo che dal torto, che dal canto loro era situato. Onde ciascuno che a singulare o plurale battaglia sia per entrare, sopra tutto exorto, anzi ammonisco, che, come l’antiquissimo Thebano Hercule, cerchi d’avere dal canto suo la iustitia, il quale ancora ch’el più feroce de l’universo fusse, mai contra la ragione combattere non volle. Et quello che il contrario operasse, benchè valente della persona fosse e nelle armi ottimamente istruito, può quasi di perdita o di vergogna essere certo, perchè il Sommo Iddio quale è chiarissima Verità, per la immensa iustitia sua, permette che violata quella non sia. Et sopra tutto notifico a ciascuno che a differentia perviene, nel parlare sia molto circonspetto, perchè anchora che la iustitia habbia dal canto suo, pure nel mal accorto ragionare può in qualche parola transcorrere, sopra la quale lo adversario suo equalmente fondare si puote & il primo, che la iustitia haveva per lui, si viene a privare di quella, & in torto la converte, et poi con le armi in mano combattendo, perchè ha per suo difetto persa la iustitia, anchora armata mano perde ignominiosamente la guerra & a lui & alli astanti (la verità non cognoscendo) pare che la iustitia dalla forza venga superata, e sono fuora di verità, per bene non intender la querela. Onde, come ho mo’ detto, si viene ad havere la iustitia sua, per non correttamente parlare, a convertire in torto. Onde ciascuno che in questo caso si ritrova, fraternamente esorto che la lingua raffreni, acciocchè in qualche transcorso di favella non trabocchi, nè venga a maculare la sua iustitia. Et perchè ognuno è compositor bono di parole, in simil caso la sua differentia, con alcuno prudente e misurato, di sua lingua non sospiri, per conseglio del quale la sua differentia fondatamente scriva & allo avversario suo gentilmente scrivendo, sempre di lui (oltra la sua differentia) magnificamente parli e gratiosamente lo esalti, e valente lo chiami, e così tutta la vergogna prostra & ogni biasimo virilmente fugge. Ma se tristo e poltrone lo nominasse, oltra il villano parlare, se stesso deprimirebbe, perchè ad uno valoro-