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Difference between revisions of "Paride del Pozzo"
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== Treatise == | == Treatise == | ||
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− | | '''Capitulo [151] Se uno sarra soperato in duello & darese per presone | + | | '''Capitulo [151] Se uno sarra soperato in duello & darese per presone al vincitore con fede & ad sua requesta retornasse sel suo segnore elo vincitore lo requerera ad qual de loro devera andare. |
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− | | '''Capitulo [152] Sel vincitore acceptera lo soperato per suo presone | + | | '''Capitulo [152] Sel vincitore acceptera lo soperato per suo presone & dopo relassato con promissione de retornare & non volendo. se porra per lo suo signiore essere constricto de retornare.''' |
| '''Cap. 234. Se ‘l vincitore accetterà il superato per suo prigione & dopo rilasciato con promissione di ritornare, & non volendo, se potrà per il Signore esser costretto di ritornare.''' | | '''Cap. 234. Se ‘l vincitore accetterà il superato per suo prigione & dopo rilasciato con promissione di ritornare, & non volendo, se potrà per il Signore esser costretto di ritornare.''' | ||
Seguita una antica questione, d’uno che fosse preso in campale, overo in particolare battaglia & fosse dal suo superatore a fede relasciato, se per giustitia potrà esser dal suo Signore costretto del ritornare & se tenuto sarà ad osservare la promessa. Baldo dice che all’huomo nimico della Republica non si debbe nè fede, nè promissione osservare, sì come vuole ancora il Decretale: resta però in suo arbitrio il ritornare, sì come dice d’uno che fosse per la vita incarcerato, contra giustitia ritenuto & alla fede relasciato, non è tenuto alle carcere ritornare; ma quando fosse giustamente detenuto, saria tenuto ritornare, essendo sotto la fede rilasciato & peccaria fuggendo tale carcere de’ nimici quando fosse preso in licita battaglia, sì come colui che fosse per giustitia a morte condannato, rompendo le carcere della Republica peccaria; ma quando fusse preso d’altrui di strata et di genti d’arme che andassino incorrette contra l’usanza di guerra giusta o publica, color che fossino da tali presi non sariano tenuti a loro richiesta ritornar per pagare la taglia, quando fosse guerra nelle città, ma essendo licita sariano giustamente presi et tenuti di ritornare, come vuole Bartolo et Innocentio; et in caso che fosse dubbio se la guerra fosse licita o illicita, è tenuto per fede ritornare, ma quando chiaramente conoscesse che ingiustamente fosse preso, benchè facesse giuramento di ritornare, non saria tenuto ad observarlo. Et Baldo dice che se uno Cavalliero promettessi d’andare ad un certo luoco in termine d’un mese et fosse per il cammino da uno Barone per comandamento sotto pena impedito, che non si dovesse da lui partire, restando per tale impedimento, non è giusta la causa, attento che deve fuggire per non esser giustamente ritenuto, salvo s’havesse giurato di non ritornare; onde conchiudendo dico per giustitia civile si deve osservar ciò che di sopra è ditto; però li armigeri cavallieri vogliono che senza distintione in guerra giusta o ingiusta si deve totalmente osservare, così ancora coloro che fossero presi in duello celebrato dinanzi al giudice competente, essendo alla fede liberati, la deveno osservare, salvo se dall’Imperatore fossero impediti, com’è ditto; et habbiamo ancora ditto di M. Regulo Romano, che, certo della felice morte, ritornar volse per la promessa fede non mancare, riputandosi per gloria vivere, essendo perciò estinto & cruciato. | Seguita una antica questione, d’uno che fosse preso in campale, overo in particolare battaglia & fosse dal suo superatore a fede relasciato, se per giustitia potrà esser dal suo Signore costretto del ritornare & se tenuto sarà ad osservare la promessa. Baldo dice che all’huomo nimico della Republica non si debbe nè fede, nè promissione osservare, sì come vuole ancora il Decretale: resta però in suo arbitrio il ritornare, sì come dice d’uno che fosse per la vita incarcerato, contra giustitia ritenuto & alla fede relasciato, non è tenuto alle carcere ritornare; ma quando fosse giustamente detenuto, saria tenuto ritornare, essendo sotto la fede rilasciato & peccaria fuggendo tale carcere de’ nimici quando fosse preso in licita battaglia, sì come colui che fosse per giustitia a morte condannato, rompendo le carcere della Republica peccaria; ma quando fusse preso d’altrui di strata et di genti d’arme che andassino incorrette contra l’usanza di guerra giusta o publica, color che fossino da tali presi non sariano tenuti a loro richiesta ritornar per pagare la taglia, quando fosse guerra nelle città, ma essendo licita sariano giustamente presi et tenuti di ritornare, come vuole Bartolo et Innocentio; et in caso che fosse dubbio se la guerra fosse licita o illicita, è tenuto per fede ritornare, ma quando chiaramente conoscesse che ingiustamente fosse preso, benchè facesse giuramento di ritornare, non saria tenuto ad observarlo. Et Baldo dice che se uno Cavalliero promettessi d’andare ad un certo luoco in termine d’un mese et fosse per il cammino da uno Barone per comandamento sotto pena impedito, che non si dovesse da lui partire, restando per tale impedimento, non è giusta la causa, attento che deve fuggire per non esser giustamente ritenuto, salvo s’havesse giurato di non ritornare; onde conchiudendo dico per giustitia civile si deve osservar ciò che di sopra è ditto; però li armigeri cavallieri vogliono che senza distintione in guerra giusta o ingiusta si deve totalmente osservare, così ancora coloro che fossero presi in duello celebrato dinanzi al giudice competente, essendo alla fede liberati, la deveno osservare, salvo se dall’Imperatore fossero impediti, com’è ditto; et habbiamo ancora ditto di M. Regulo Romano, che, certo della felice morte, ritornar volse per la promessa fede non mancare, riputandosi per gloria vivere, essendo perciò estinto & cruciato. | ||
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− | | '''Capitulo [153] Quando un cavaliero fosse vinto & presone | + | | '''Capitulo [153] Quando un cavaliero fosse vinto & presone delaltro & de po datala fede deventasse segniore principe o duca. se tenuto sarra de ritornare al vincitore.''' |
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+ | | '''[156] Se uno superato in bactaglia personale sarra per presone dal vincitore acceptato & donato al principe se esso principe lo porra restotere.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [157] Se uno vinto & superato acceptato per presone dal vincitore se da po la sua morte sarra presone del figliolo.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [158] Se uno requesto de ritornare ala data fede allegando impedime{{dec|u|n}}to sarra da essere odito.''' | ||
| '''Cap. 236. Modo di sapere se uno richiesto, deve ritornare alla data fede, allegando impedimento, se sarà da essere udito.''' | | '''Cap. 236. Modo di sapere se uno richiesto, deve ritornare alla data fede, allegando impedimento, se sarà da essere udito.''' | ||
Un prigione è liberato in battaglia particolare sotto fede di ritornare ad ogni richiesta del vincitore, del quale essendo richiesto, allegando impedimento, non ubbidì: si dubita se giustamente deve essere escusato. L’Imperatore dicide che s’un soldato sarà richiesto dal suo Capitano che debbi a tal giornata comparire, nella quale s’havesse esercitato la battaglia campale, over per causa d’altro fatto d’arme, non comparendo debbe esser punito, eccetto se mostrasse giusto impedimento, il qual non fosse per lui fraudolentemente procurato, overo che havesse indugiato il partire fin al punto estremo, sopravenendo l’impedimento saria giusto; et se tale prigione fosse impedito per faccende della patria o della sua Republica, o ritrovandosi incarcerato over occupato in guerra del suo Signore, quale giustamente non potria lasciare, o fosse in man delli nimici ritenuto, dalli quali essendo carcerato, saria escusato; o se fosse fermato a tempo per salario in altra guerra, nella quale non havesse fornita la ferma et ancora quando il suo vincitore fosse ribello del Signore commune, o che fosse escomunicato, over sopravenendoci di nuovo capital inimicitia tra ‘l prigione e ‘l vincitore, per la qual cosa dubitasi d’andar per tema della persona, o quando il vincitore fosse con le genti o con il nimico capitale del prigione, o fossero per nuova guerra nimici, non saria tenuto di commettersi in mano del nimico suo vincitore; o quando il cammino non fosse sicuro, over per tempesta non potesse cavalcare, et in simili casi dove apparesse legitima scusa, non finta, giustamente la legge Civile provede, ma cessando quel giusto impedimento ritornare doveria. | Un prigione è liberato in battaglia particolare sotto fede di ritornare ad ogni richiesta del vincitore, del quale essendo richiesto, allegando impedimento, non ubbidì: si dubita se giustamente deve essere escusato. L’Imperatore dicide che s’un soldato sarà richiesto dal suo Capitano che debbi a tal giornata comparire, nella quale s’havesse esercitato la battaglia campale, over per causa d’altro fatto d’arme, non comparendo debbe esser punito, eccetto se mostrasse giusto impedimento, il qual non fosse per lui fraudolentemente procurato, overo che havesse indugiato il partire fin al punto estremo, sopravenendo l’impedimento saria giusto; et se tale prigione fosse impedito per faccende della patria o della sua Republica, o ritrovandosi incarcerato over occupato in guerra del suo Signore, quale giustamente non potria lasciare, o fosse in man delli nimici ritenuto, dalli quali essendo carcerato, saria escusato; o se fosse fermato a tempo per salario in altra guerra, nella quale non havesse fornita la ferma et ancora quando il suo vincitore fosse ribello del Signore commune, o che fosse escomunicato, over sopravenendoci di nuovo capital inimicitia tra ‘l prigione e ‘l vincitore, per la qual cosa dubitasi d’andar per tema della persona, o quando il vincitore fosse con le genti o con il nimico capitale del prigione, o fossero per nuova guerra nimici, non saria tenuto di commettersi in mano del nimico suo vincitore; o quando il cammino non fosse sicuro, over per tempesta non potesse cavalcare, et in simili casi dove apparesse legitima scusa, non finta, giustamente la legge Civile provede, ma cessando quel giusto impedimento ritornare doveria. | ||
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− | | | + | | '''Capitulo [159] se uno sarra vinto in bactaglia de oltra{{dec|u|n}}za et per presone acceptato & dopo lo vincitore lo vorra concedere ad altro cavalieri per presone se fare lo porra.''' |
| '''Cap. 237. Se duoi combattendo a tutta oltranza & uno resta per prigione dell’altro, dapoi lo vincitore lo vorria concedere ad un altro per prigione, dimandasi se fare lo potrà.''' | | '''Cap. 237. Se duoi combattendo a tutta oltranza & uno resta per prigione dell’altro, dapoi lo vincitore lo vorria concedere ad un altro per prigione, dimandasi se fare lo potrà.''' | ||
Si dimanda un’altra nuova questione, d’uno c’havesse un altro in battaglia di tutta oltranza superato, se lo potrà ad un altro armigero suo amico per prigione concedere: la legge Civile dice ch’uno vassallo, over huomo obligato non si può senza sua volontà ad altro concedere, che fosse minore o uguale di conditione del Signore a chi fosse soggetto obligato, ma essendo maggiore potrà obligare il suo prigione: ad esso è obligato per contemplatione della sua vittoria, ma non però per fare mercantia di huomini, come dice M. Baldo di sopra allegato, & per stilo d’arme non si potria darsi ad un altro per prigione, perchè nel suo rendere si submette al suo vincitore & alla sua persona & potenza, qual submissione non si intende potersi ad altro estranio concedere, ancora che fosse suo compagno giurato, perchè non possa a terza persona tal submissione, quantunque con fede data fosse fatto per il perditore. | Si dimanda un’altra nuova questione, d’uno c’havesse un altro in battaglia di tutta oltranza superato, se lo potrà ad un altro armigero suo amico per prigione concedere: la legge Civile dice ch’uno vassallo, over huomo obligato non si può senza sua volontà ad altro concedere, che fosse minore o uguale di conditione del Signore a chi fosse soggetto obligato, ma essendo maggiore potrà obligare il suo prigione: ad esso è obligato per contemplatione della sua vittoria, ma non però per fare mercantia di huomini, come dice M. Baldo di sopra allegato, & per stilo d’arme non si potria darsi ad un altro per prigione, perchè nel suo rendere si submette al suo vincitore & alla sua persona & potenza, qual submissione non si intende potersi ad altro estranio concedere, ancora che fosse suo compagno giurato, perchè non possa a terza persona tal submissione, quantunque con fede data fosse fatto per il perditore. | ||
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+ | | '''Capitulo [160]. Se uno sarra in bactaglia occiso sel vincitore porra dima{{dec|u|n}}dare lo premio promisso del pri{{dec|i|n}}cipe a collui che quillo occidisse.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [161] nel q{{dec|u|ua}}le se declara como quillo che morto sarra in duello non more servo & porra fare testamento & recepire li sacramenti.''' | ||
| '''Cap. 238. Come quel che morto sarà in duello non muore servo, & se potrà fare testamento & ricever gli sacramenti.''' | | '''Cap. 238. Come quel che morto sarà in duello non muore servo, & se potrà fare testamento & ricever gli sacramenti.''' | ||
Movesi un’altra dubitatione d’uno che sarà morto & superato combattendo particolare, se resta servo di pena, vuole la legge ch’uno servo non può far testamento, nè atti civili; dicono li Dottori che non è servo, & primo fu M. Baldo, che colui ch’è vinto in duello non resta servo del suo vincitore, considerando che può fare testamento della lizza innanzi ch’el trapassi, overamente poi che fosse cavato di fuori; ma morendo dentro il campo non si potrà dentro la Chiesa seppellire, per esser morto in dannatione, in peccato mortale, secondo santo Tommaso d’Aquino, perciò fatto lo abbattimento non se gli può dinegare la penitenza per la confessione, essendo indebilitato per le ferite, pentito, si può assolvere. Ma nello intrare nel campo non può ricevere assolutione, intrando a combattere con intentione di peccato mortale, con volontà di commettere homicidio, nè si può communicare, eccetto quello che, pentito, fosse costretto per sua diffensione & della verità, se piglia con necessità mal contento la battaglia, over dal suo Signore a ciò constretto o per la patria necessità per diffendere & non per volontaria offesa. Ma essendo ferito a morte con contritione lo potrebbono pigliare & non altramente, benchè fusseno pentiti: nel principio del combattere non se potria communicare come è ditto di sopra; et essendo uno di loro in terra con il coltello alla gola et non si volesse disdire contra la verità a colui che l’ammazzasse, per causa che non volesse il falso confessare, non serà però morto in peccato mortale, per esser morto per voler la verità conservare. | Movesi un’altra dubitatione d’uno che sarà morto & superato combattendo particolare, se resta servo di pena, vuole la legge ch’uno servo non può far testamento, nè atti civili; dicono li Dottori che non è servo, & primo fu M. Baldo, che colui ch’è vinto in duello non resta servo del suo vincitore, considerando che può fare testamento della lizza innanzi ch’el trapassi, overamente poi che fosse cavato di fuori; ma morendo dentro il campo non si potrà dentro la Chiesa seppellire, per esser morto in dannatione, in peccato mortale, secondo santo Tommaso d’Aquino, perciò fatto lo abbattimento non se gli può dinegare la penitenza per la confessione, essendo indebilitato per le ferite, pentito, si può assolvere. Ma nello intrare nel campo non può ricevere assolutione, intrando a combattere con intentione di peccato mortale, con volontà di commettere homicidio, nè si può communicare, eccetto quello che, pentito, fosse costretto per sua diffensione & della verità, se piglia con necessità mal contento la battaglia, over dal suo Signore a ciò constretto o per la patria necessità per diffendere & non per volontaria offesa. Ma essendo ferito a morte con contritione lo potrebbono pigliare & non altramente, benchè fusseno pentiti: nel principio del combattere non se potria communicare come è ditto di sopra; et essendo uno di loro in terra con il coltello alla gola et non si volesse disdire contra la verità a colui che l’ammazzasse, per causa che non volesse il falso confessare, non serà però morto in peccato mortale, per esser morto per voler la verità conservare. | ||
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+ | | '''Capitulo [162] Dove se tracta dele spolglie che se guadagnano in bactaglia se iustamente so del vi{{dec|u|n}}citore''' | ||
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+ | | '''Capitulo [163] dove se tracta se lo accusato che intro in bactaglia con lo accusatore non superato se deve essere absoluto.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [164] Dove se tracta sel presone che se piglia per lo sacchomanno deve essere del suo patrone o daltrui.''' | ||
+ | | '''Cap. 239. Se le persone, che se piglia per lo saccomanno, deve esser del suo patrone o d’altrui.''' | ||
+ | Havendosi accampati dui eserciti nimici in un piano poco l’uno da l’altro distante, dui conduttieri d’un Principe, cacciandosi fuori di loro eserciti in singular battaglia de tutta oltranza, se è sfidato ciascun con licentia del suo Capitano de lo esercito & essendo uno superato si rende per prigione al Condutiere patron del vincitore, il quale volendo ritenere per suo prigione il suo soldato vincitore, lo ricusava con dire che havendolo lui acquistato con il suo proprio sangue, anchora che fusse renduto al suo patrone, non ha potuto la sua ragione preiudicare, che non sia a lui per pregione obligato: dimandasi de quali sia iustamente il pregione, del patrone o del soldato; M. Baldo dice ch’el prigione che piglia il soldato havendosi con lui condotto in campo per combattere, ancora che se renda al suo patrone, debbe essere del vincitore, attento che per virtù de quello si trova esser preso, e non dal suo patrone, perchè non si debbe attendere alle parole di colui che si rende, quando è per potentia di quello con chi si condusse nel campo superato; ma in caso ch’esso fusse liberato dopo che fusse renduto spontaneamente, per riverentia di quello a chi si rende di parole, sarà prigione di quello a chi è per parole renduto, sì come lo segno lo dimostra, chè ‘l vincitore lassando il suo prigione, quando si rende al suo patrone, mostra che sua intentione sia ch’el prigione sia del suo patrone; ma ritenendolo & menandolo con esso preso, non accettando le parole del rendere al suo patrone, resta in potere del soldato & non del suo patrone. Ma essendo in battaglia universale e non da persona a persona preso, resta prigione del Signore de l’esercito, se a lui se arrendesse. Però lo rimette alla consuetudine militare, dove si può considerare se ‘l vincitore è famiglio, overamente huomo d’arme di quello sotto il qual militava, ma M. Baldo da Perosa fece la distintione che rendendosi al patrone, lo vincitore lo relassarà al patrone iusto pregione. Ma non relassandolo & che lui il menasse preso, saria prigione del famiglio o soldato ch’esso l’ha vinto & superato, et questa è vera dicisione. | ||
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+ | | '''Capitulo [165] dove se tracta se e licito intro lo stichato mutare querela.''' | ||
+ | | '''Cap. 240. Se è licito nel steccato mutare querella.''' | ||
+ | Combattendo dui armigeri per causa di honore ad oltranza, delli quali l’uno conoscendo non haver giustitia, allontanandosi sempre s’andava reparando, come quello che conosceva dovere essere perditore, per non haver giustitia & seguitato dal suo nimico per molti luoghi della lizza, vedendo il seguitatore che quello di continuo fuggiva, li disse queste parole: «voltati, traditore, e difenditi!»; per la qual ingiuria voltosse il fuggitivo ingiuriato, disse «io ti rinontio la prima querela, ma di questo nome traditore che hora falsamente m’hai imposto, sopra di questo teco combatterò», e seguendo la battaglia fu di quella al fin vincitore; e ‘l novo ingiuriante può dire che ‘l suo vincitore non poteva mutar querela in suo preiudicio e combatter sopra la seconda. Il che replicava il vincitore con dire la prima querela fornita per sua espressa rinonciatione &, havendo egli vinto, o per la prima o per la seconda li bastava havendolo vinto, attento che Iddio l’havea permesso per favorire la sua giustitia & perciò doveva esser dichiarato dal giudice lui esser vincitore; l’altro ancora replicava che non dovea essere perditore, per havere combattuto a tutta oltranza per causa di honore: essendo renontiata la prima querela iniusta del suo nimico, confessando per tal renontia essere pugnatore spergiuro & ingiusto, si potea ne la seconda nova querela giustamente recusare, come desditto, nè doveva essere accettato più la nova querela nel combattere, mostrandosi per sua propria bocca essere spergiuro & ingiusto, essendo intrato dentro la lizza per combattere con lo nimico a tutta oltranza per causa di honore contra di giustitia: non dovea essere lui perditore, nè ‘l suo nimico se dovea per vincitore declarare, il quale per essere disdetto, si dovea lui declarare per vincitore, il quale lo fece disdire, confessare & renontiare la sua iniusta querela; si domanda che si debbe per giustitia dal giudice dichiarare sopra di ciò. Dico che per vera giustitia, havendo combattuto per causa d’honore, si debbon dichiarare tutti dui esser vincitori, l’uno alla prima e l’altro alla seconda querela, havendo renontiato alla prima quello debba esser perditore & vincendo nella seconda resta in questo vincitore, attento che nella prima per sua confessione si condanna & a la seconda il primo vincitore, per dui rispetti, debbe essere perditore: perchè fu licito allo ingiuriato per la ingiuria ditta nel combattere et perchè lo tradimento non aspetta tempo di vendicarse, per fare presto la vendetta del discarico; secondo, per causa per rispetto che quello che la ingiuria disse accettò per la seconda querela combattere, che non era tenuto accettare, ne la quale trovandosi superato iustamente resta perditore, però lo potea renontiare, perchè di ragione non potea essere astretto in quella giornata più combattere, havendosi per la prima il suo nimico disdetto, potea ben dire, perchè per la seconda essendo ricercato dal suo inimico in un’altra giornata, se ragionevolmente si dovea combattere, che non l’havesse potuto di iustitia per la disdetta recusare, haveria fatto col suo inimico nova battaglia; et per questo son li fideli deputati nella lizza che ascoltano le parole et vedeno li momenti delli combattenti, a tale che lo giudice, informato, discerna iusta sententia & ciò dico riservando del Cavaliero il migliore giudicio; però mi pare vera, giusta et netta iustitia iudicando così come sopra è ditto, sì come per esempio diremo che ricercando mille Ducati ad uno mio debitore, il quale pendente la causa mi dimanda mille pecore, provando io, per confessione del principale debito, iustamente debbo havere mille Ducati, et essendomi provato essere vero debitore delle mille pecore, a me mandate, si debbe dare sententia in favore di tutti dui, perchè l’uno per propria bocca ha confessato il debito & l’altro per testimoni validi gli è stato provato, debbano l’uno all’altro di giustitia satisfare. | ||
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+ | | '''Capitulo [166]. Dove se tracta de uno che se rendesse sensa disdicta se finita la bactaglia e tenuto disdir{{dec|u|e}}''' | ||
| '''Cap. 241. Di uno che si rende senza disdetta se, finito il combattere, è tenuto disdire.''' | | '''Cap. 241. Di uno che si rende senza disdetta se, finito il combattere, è tenuto disdire.''' | ||
Pugnando lungo tempo dui Cavallieri dentro la lizza per causa di honore & essendo l’uno da l’altro abbattuto per terra, trovandose col nemico sopra, cortello in su la gola, disse che si rendeva per ragione e quello dal quale fu accettato & tolta la offesa tutti dui revengono in piedi, intravenne che de la lizza uscirno e ‘l vincitore disse al suo prigione, perchè se era renduto non bastava, havendo per causa di honore combattuto, ma volea che espressamente se disdicesse in suo honore, sì come havendo per lo honore combattuto, lo combattere ricercava morte e disdetta, quale non era fra loro seguita, al quale il prigione rispondea a lui che lo havea accettato per prigione & erano spartiti, non era tenuto a fare altra disditta; l’altro replicando dicea che essendo suo pregione lo poteva constringere a farlo desdire, perchè la battaglia ad oltranza è di tal natura che per fin che se trovano con l’arme in mano li combattenti non è finita, & ditte queste parole lo minacciava con l’armi che si disdicesse; l’altro dinegava, chè la battagli era con tale patto tra loro finita, di lui esser suo prigione, non altramente. Et il vincitore pertinace diceva che dovesse tornare nel pristino luoco, chè intendeva farlo disdire, l’altro replicava dicendo che volea combattere con lui che cercava cosa ingiusta, attento che non era tenuto ritornare nel luoco dove si rendette, perchè essendo preso, havendosi liberato & submisso di esser suo prigione, l’altro diceva, che sopra quello voleva combattere, non era tenuto andarci; & il vincitor diceva, perchè l’havea gittato una volta in terra & acquistatolo per prigione, non intendeva più riacquistare l’acquistata vittoria & sempre ricercava nel luoco ritornare, con dire che ‘l prigione è tenuto fare quanto lo suo vincitore lo ricerca nelle cose della vittoria & quello gli mostrava la ponta della spada, dicendo a quello: «ecco quella con la quale mi voglio diffendere, se sarai pertinace in volermi costringere a quello che non son tenuto: piglia la tua, s’el vuoi vederemo!»; si dimanda se ‘l prigione è tenuto disdirsi, overo al primo luoco ritornare: per vera sententia si ditermina di no, perchè essendo una volta accettato per prigione, non può il vincitore mutare ciò che una volta li piacque accettare, tanto che togliendoseli di sopra, ponendolo in libertà è seguito lo effetto. Et questo disse M. Angelo da Perosa, quando dui cavallieri Franzesi assicurati per il Signor di Padova insieme combatterono, intravenendoli simil caso, disse che quando un Cavalliero si rende et è accettato dal vincitore è fornita la battaglia et le parti non si posson più pentire, come habbiamo ditto di sopra di quella battaglia. Et più dico havendosi per causa di honore combattuto, dandosi per prigione tacitamente è disditto, come appresso meglio diremo, parlando della disditta più diffusamente. | Pugnando lungo tempo dui Cavallieri dentro la lizza per causa di honore & essendo l’uno da l’altro abbattuto per terra, trovandose col nemico sopra, cortello in su la gola, disse che si rendeva per ragione e quello dal quale fu accettato & tolta la offesa tutti dui revengono in piedi, intravenne che de la lizza uscirno e ‘l vincitore disse al suo prigione, perchè se era renduto non bastava, havendo per causa di honore combattuto, ma volea che espressamente se disdicesse in suo honore, sì come havendo per lo honore combattuto, lo combattere ricercava morte e disdetta, quale non era fra loro seguita, al quale il prigione rispondea a lui che lo havea accettato per prigione & erano spartiti, non era tenuto a fare altra disditta; l’altro replicando dicea che essendo suo pregione lo poteva constringere a farlo desdire, perchè la battaglia ad oltranza è di tal natura che per fin che se trovano con l’arme in mano li combattenti non è finita, & ditte queste parole lo minacciava con l’armi che si disdicesse; l’altro dinegava, chè la battagli era con tale patto tra loro finita, di lui esser suo prigione, non altramente. Et il vincitore pertinace diceva che dovesse tornare nel pristino luoco, chè intendeva farlo disdire, l’altro replicava dicendo che volea combattere con lui che cercava cosa ingiusta, attento che non era tenuto ritornare nel luoco dove si rendette, perchè essendo preso, havendosi liberato & submisso di esser suo prigione, l’altro diceva, che sopra quello voleva combattere, non era tenuto andarci; & il vincitor diceva, perchè l’havea gittato una volta in terra & acquistatolo per prigione, non intendeva più riacquistare l’acquistata vittoria & sempre ricercava nel luoco ritornare, con dire che ‘l prigione è tenuto fare quanto lo suo vincitore lo ricerca nelle cose della vittoria & quello gli mostrava la ponta della spada, dicendo a quello: «ecco quella con la quale mi voglio diffendere, se sarai pertinace in volermi costringere a quello che non son tenuto: piglia la tua, s’el vuoi vederemo!»; si dimanda se ‘l prigione è tenuto disdirsi, overo al primo luoco ritornare: per vera sententia si ditermina di no, perchè essendo una volta accettato per prigione, non può il vincitore mutare ciò che una volta li piacque accettare, tanto che togliendoseli di sopra, ponendolo in libertà è seguito lo effetto. Et questo disse M. Angelo da Perosa, quando dui cavallieri Franzesi assicurati per il Signor di Padova insieme combatterono, intravenendoli simil caso, disse che quando un Cavalliero si rende et è accettato dal vincitore è fornita la battaglia et le parti non si posson più pentire, come habbiamo ditto di sopra di quella battaglia. Et più dico havendosi per causa di honore combattuto, dandosi per prigione tacitamente è disditto, come appresso meglio diremo, parlando della disditta più diffusamente. | ||
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+ | | '''Capitulo [167] Dove se tracta de un presone de fede se e tenuto comparere alla requesta del vincitore ha vendo altro impedimento.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [168] dove se tracta se un cavalieri soperato in bactagliaa et lassato alla fede se denega de po se p{{dec|u|er}} lo provocatore se po reducere ad bactaglia.''' | ||
| '''Cap. 242. Se uno Cavalliero superato in battaglia & lasciato alla fede, se poi dinega, se per il provocatore si può riducersi a combattere.''' | | '''Cap. 242. Se uno Cavalliero superato in battaglia & lasciato alla fede, se poi dinega, se per il provocatore si può riducersi a combattere.''' | ||
Essendo un armigero da un altro in battaglia preso & liberato in fede, il quale di lì a un certo tempo dinega esser mai superato, si dimanda se ‘l suo vincitore lo potrà altra volta a battaglia provocare per provarli il vero, come da lui è stato vinto: si risponde di sì, perchè dinegando viene a spogliare il vincitore della sua ragione con gran falsità & rompendo la fede data commette delitto d’infideltà; come di sopra è ditto nel secondo libro, dove si tratta de simili casi, si può combattere et per questo si debbono fare gli instromenti publici della vittoria per il notaro e il giudice il quale è tenuto tenerlo et debbe essere rogato delli fatti che succedono nel combattere, acciocchè la parte vittoriosa vadi per tutto con la chiarità del fatto, over con patente del giudice. | Essendo un armigero da un altro in battaglia preso & liberato in fede, il quale di lì a un certo tempo dinega esser mai superato, si dimanda se ‘l suo vincitore lo potrà altra volta a battaglia provocare per provarli il vero, come da lui è stato vinto: si risponde di sì, perchè dinegando viene a spogliare il vincitore della sua ragione con gran falsità & rompendo la fede data commette delitto d’infideltà; come di sopra è ditto nel secondo libro, dove si tratta de simili casi, si può combattere et per questo si debbono fare gli instromenti publici della vittoria per il notaro e il giudice il quale è tenuto tenerlo et debbe essere rogato delli fatti che succedono nel combattere, acciocchè la parte vittoriosa vadi per tutto con la chiarità del fatto, over con patente del giudice. | ||
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+ | | '''Capitulo [179] dove se tracta se un cavaliero porta una inpresa singulare et e vento se de po po essere de lui cavalieri repulsato.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [180] dove se tracta del fine della bactaglia de oltranza.''' | ||
+ | | '''Cap. 243. Del fin della battaglia d’oltranza.''' | ||
+ | Quivi faccio fine ad ogni singular battaglia d’oltranza, fatta per causa d’honore, & morte o disditta o confessione espressa dell’opposto di quello che a combattere sarà condutto per forza d’arme; & sarà simile al tormento che ne’ malefici si suole per il giudice dare, per trovar nel dubbioso delitto la verità, come è ditto di sopra, & tal disditta si ricerca farsi o per il provocato o per il provocatore che fosse vinto & superato per forza d’arme; e la disditta o confessione deve esser chiara & netta, in modo che non resti dubitatione alcuna nella mente del vincitore, del giudice & del circostante, come che per esempio diremo ch’uno habbi morto il suo compagno, overo c’habbi tradito il suo Signore, il che sarà dinegato essere il vero & volendo l’infamiato per tal cagione combattere, intravenendo la disditta per il provocante o per il provocato, è di necessario disdicendosi il provocato che dica che lui l’ha morto in tal dì, in tal luoco et per tal cagione iniqua; et falsamente disdicendose il provocatore è di bisogno che dica «io t’ho accusato d’homicidio falsamente, perchè non è vero che tu l’habbi morto»; et quando la disditta si facesse per altro fatto, bastaria dire «io l’ho fatto e ditto iniquamente et contra ogni ragione, overo come a perverso huomo, traditamente fuori d’ogni humanità, ho commessa la accusatione perversamente», o che dicesse «io confesso ciò che tu dici diffendendo essere il vero & quello, ch’è diffensato ingiustamente combattendo, è stato falso, perchè mi pento & conosco che non lo dovea fare, nè dire», sì che confessasse con parole che comportassino simile effetto, chè non rimanesse alcuna dubitatione nella mente del vincitore, come è ditto di sopra; & se questo si farà si chiamerà disditta espressa, perchè alle volte si suol fare tacita, quando dicesse «io son vinto & superato», come disse colui nella battaglia di Padoa, della quale di sopra habbiamo fatto mentione, o se dicesse «non più, perchè io son tuo prigione» o «chè io ti prego che non mi debbi ammazzare, perchè voi haveti la ragione», che dicesse «donatimi la vita» o dirà «io mi rendo & non voglio più combattere, fati di me quello che vi pare, io dimando la vita in gratia per misericordia, perch’è in potestà vostra: fallito alle vostre mani mi rimetto per morto»; queste submissioni satisfacendo al vincitore potrà usare humanità di non ammazzarlo, o per clemenza: odendo lo giudice le parole & conoscendo l’honore & la ragione dell’altro, spartendosi saria disditta tacitamente fatta con honore del vincitore; & M. Baldo dice che se dicesse «io mi rimetto nelle mani vostre o al vostro giudicio» o che dicesse «io ho mancamento contra di voi, il che rinontio la battaglia», si debbe usare clemenza per il vincitore, perchè s’intende che come ad huomo humano si rimette. Ma se dicesse «io mi rimetto nelle tue mani com’huomo morto», lo potria occidere, come ho già ditto. Ancora se dicesse non più che «son morto!», saria disditta tacita, over se con riverentia cercasse mercede o perdonanza saria disditta manifesta, quando bastasse al vincitore. Ma cercandola chiara & espressa, si debba far satisfatione del vincitore, perchè alcuna volta si fa per via di escusatione, qual non è disditta vera, nè legittima, ma è una compositione concordia o transatione; & questo si farà quando offesa, incarico o parola ingiuriosa che fosse ditta o fatta si ponessi per il giudice ad honestare, volendo poner pace & concordia, come ne daremo esempio: quando uno appellasse traditore un altro et, odendo le ditte parole, un altro da parte sospirando, perchè per lui fossino dette, et dicesse «tu non dici il vero, perchè non son traditore», se l’altro replicasse dicendo «io non l’ho ditto per voi, ma per colui a chi disse le parole», questa saria iscusatione & non disditta, attento che quando havessi prima affermato ch’era vero ch’esso era traditore et dicendo dopo l’opposto, saria disditta publica; o che uno officiale andasse per il torniamento con un bastone in mano o con la spada ordinando la gente & desse ad un cavalliro, che per questo volessi con lui combattere, & colui dicesse «io non lo feci per darvi a voi, ma casualmente senza mio proposto vi toccai» non saria disdire, ma iscusare il fatto, ancora se dicesse «io vi detti senza mia intenzione, over ch’io non vi conosceva, perchè non ho fatto bene» e dicesse «ingiustamente l’ho fatto & havendolo fatto nol feci a male oggetto», questo non saria disditta, ma iscusatione, quando prima non havesse fatto contesa all’incontro, perchè quello ch’una volta havesse fatta contesa et dopo si iscusasse, saria chiaramente disditta; et se uno havesse promesso ad un suo amico, sotto la fede sua, adoperare che non fosse offeso dal suo nimico, havendo quello constretto & havuta promissione per fede di non l’offendere, mancando della sua promessa, perchè l’offeso richiedendo il promissore della rotta fede di combattere con lui, dal quale fosse replicato dicendo che è vero, che promesse d’operare sì & talmente che non fosse offeso da colui, ch’ebbe la fede di non l’offendere, onde havendolo offeso dopo che da lui la fede ricevette, gli parea havere operato ciò che promise, considerando che non potea più fare se non haver la promessa fede da lui di non offenderlo, & se poi è contravenuto non si debbe a lui per fallimento imputare: questa si chiamerà la iscusatione & non disditta, dandosi per fallito; però la causa saria per l’offeso et per il promettitore da seguire contra il mancator della fede nel combattere. Sì che concludendo dico in quale si voglia modo quello c’ha fallito colpabile o perditore maldicente o malfattore si darà, si chiamerà disditta, havendo prima il contrario abbattuto, eccetto se per via di iscusatione, la quale esclude ogni malvagia cogitatione et proposito, et quello che fuggisse dal campo sarebbe più vile disditta di quella che per forza d’arme fosse fatta & per confesso vinto d’infamia et ricusato si debbe riputare; havendo uno Cavalliero notitia d’una donna, che falsamente in adulterio era accusata, deliberò con arme lei diffendere et conducendosi nella città dove era pigliata et in carcere ristretta, la quale di quella contra gli accusatori, quale erano duoi, menò con lui un altro valoroso Cavalliero, il quale promise esser con esso nel diffendere la donna; et data la fede nella battaglia et la giornata fra tutte due le parti, il cavalliero con il compagno comparsero con l’arme diputate & intrarono gli accusatori dentro la lizza; uno di quelli, non volendo seguire alla battaglia la rinontiò fuggendo: perchè il Cavalliero diffensore della donna volse solamente con il restante accusatore combattere, del quale fu vincitore, per la qual vittoria il fuggitore compagno del superato per traditore & disditto & mancatore di fede fu condannato. In un altro simil caso, duoi Cavallieri disfidati pure per donna & duoi altri alla giornata comparsero armati a cavallo, & essendo nel principio della battaglia, fuggendo il suo compagno, solo rimase contra li duoi, con li quali tanto valorosamente combattè che al primo corso l’uno per il petto d’una hasta di lanza lo trappassò, dopo vincendo l’altro venne ad havere di tutti duoi la vittoria, per il che il suo compagno fuggitore fu dato per traditore, per vinto & per infame; onde, ritornando al mio proposito, dico che la disditta è il maggior mancamento che possi havere uno Cavalliero, sì che è più honore la morte con qualche riputatione che non la disditta vilmente, la quale è infamia perpetua, perchè colui ch’è superato & morto dal nimico può dire esser morto diffendendo il suo honore, in quanto le bastò la vita. Ma lo disditto, lui medesimo s’ha occiso, lui & l’honore suo perpetualmente. Dicono gli animosi Cavallieri che più presto vorrebbono esser morti che disditti: questa è la virile ammonitione che si suole dare a coloro ch’entrano nella lizza per causa d’honore; la infamia di tal natura fa il vivo morire ogni dì & quelli che muoreno con gloria per vivi nel mondo dalli Cavallieri gloriosi & degni sono riputati. | ||
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+ | | '''Capitulo [183] dove se tracta se dui diffidati da dui altri ad oltransa et uno se inferma se se deve aspectare la sanita del infermo.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [184] dove se tracta se uno e obligato co uno altro ad oltra{{dec|u|n}}sa conbactere se se fa clerico et vene ad dignita se deve sequire la bactaglia''' | ||
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+ | | '''Capitulo [185] dove se tracta de uno che diffida vuo altro per delicto se uno terczo cavaliero po per ipso sustenere la querela et intrare in la bactaglia''' | ||
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+ | | '''Capitulo [186] dove se tracta se uno e infamato de tradimento et vence ad baactaglia et non se volze desdire se se tene per traditore''' | ||
+ | | '''Cap. 264. Se uno è infamiato di tradimento & vinto alla battaglia & non si vuol disdire, s’è tenuto per traditore.''' | ||
+ | Seguita una dubbiosa questione disditta, di uno che venisse a differenza del combattere con un altro per causa che lo havesse tradito et ingiuriato, il quale gli offerse farlo in battaglia disdire o confessare non essere il vero, che fosse traditore, et pervenendo alle mani dello requisitore, havendolo in terra abbattuto, tutte le sue forze adoperò per farlo disdire, perchè lo richiesto abbattuto diceva che non si voleva mai disdire, in modo che prima fu ammazzato, che volesse disdire. Onde il vivo dimandò al giudice che dovesse dar la sentenza in suo favore, perchè havea occiso il suo richiesto avversario, che havea promesso farlo disdire; il perchè si dubitava per certe ragioni in favore del morto si producevano, che ‘l vivo non solamente non era vincitore, ma senza arme esser vinciuto, per cagione che promesse et s’offerse farlo disdire, la qual cosa non havendo fatto non havea satisfatto alla promessa, nè quella attese, anzi il morto, per non disdirsi, virilmente ha promesso prima farsi occidere, che l’honore suo maculare per disdetta; per il che doveria lui havere l’honore, per havere la sua promessa riservata & farsi uccidere & perchè il nimico ha mancato di ciò che promise è stato vinto & l’altro ha resistito alle sue forze, nè s’è disdetto infin che vivo si ritrovò & si può dire che la morte pose fine nel suo disdire et dassi monitione più presto morto che disditto. All’opposto si allega per parte del vivo, il quale havendo ammazzato il nimico può dire havere fatto più che non offerse, perchè morto combattendo è una disdetta & sono simile effetto, per questo il detto morto si può dire esser disdetto, perchè dimostra per la morte haver ingiustamente combattuto & perduta la vita insieme con la battaglia & questo venne ad esser più che disdetto; et così il giudice intendendo la causa decise essere il vero tacitamente: ogni morte in sustanza è disdetta, per conseguente è morto del vivo, perchè offusca & deturpa la fama del disdetto et così ancora quando si combatte ad oltranza la fine è morte o disdetta, et son però assimiglianti; ma tornando al caso, quello che offerse espressamente con la sua bocca farlo disdire, colui ch’è constretto non si volse disdire, perchè non incorse la morte, non si può dire essere atteso ciò che disdisse espressamente, per questo si doveria dare sententia che ‘l requisitore non ha adempiuto la promessa & il morto morì con honore, non volendosi disdire, ma non si potria giustamente giudicare il vivo esser perditore, havendo ucciso lo nimico, per che la morte in battaglia darli grande honore; nè anco si potria giudicare il morto esser vincitore, quantunque habbia ricevuto il martirio della morte per non disdire, benchè gli sia più honore quanto alla gloria militare, come faceano li Romani antichi & molti altri cavalieri moderni volsero più tosto morire con honore che con vergogna vivere; però sono pochi de’ cavalieri che tal prova fatta hanno; & disse M. Baldo gran dolcezza è nel vivere, tal che molti scusano con la forza et terrore dell’armi haversi disdetto, ma la lor scusa a buoni cavallieri d’arme non è honorata; li cavalieri antichi giuravano non vietare la morte per la Republica, nè credere, si potria, dare altra sententia, come è predetto, che ‘l giudice dichiarasse che ‘l procuratore non abbia adimpita sua promessa, et dare laude al morto, che con honore morir volesse per non disdire; nè però si doveria il morto pronunciare vincitore, perchè dove è la morte non si può far giudicio di vittoria, nè il vivo esser perditore, havendo data la morte al suo nimico; ma in caso che ‘l requisitore havesse detto voler provare il contrario et mostrarli c’havea detto falsamente, ammazzandolo, meritamente doveria la vittoria riportarne, over quando havesse detto «ti farò disdire» & combattendo l’havesse ucciso, non havendoli richiesto nella battaglia che si dovesse disdire & il morto non havesse detto «io non mi voglio disdire»: allhora s’havesse ucciso senza resistenza seria come disdetto; et ciò scrivo riservando sempre il giudicio de i Principi d’armi & d’altri cavalieri, che con miglior ragione si movessero in dar più retta sentenza. | ||
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+ | | '''Capitulo [187] dove se tracta che e maiore desonore o fugire o disdirese con la propria boccha.''' | ||
+ | | '''Cap. 265. Qual è maggior dishonore, o fuggire o disdire con la propria bocca.''' | ||
+ | Circa la disdetta mi occorre un’altra dubitatione, qual seria più dishonore disdire uno armigero con la propria bocca, over dal campo codardamente fuggire: benchè sia di sopra narrato che ogni fuga è disdetta, quantunque parte siano simile, pure si differisce, perchè la fuga procede da maggior viltà che non è la disdetta, considerando che lui stesso per propria miseria si condanna & promette senza arme farsi superare, perchè debbe ogni sua forza prepararsi, quando gli fosse possibile mostrare la sua virtù per non fuggire, come interviene a quello ch’è in potenza dell’avversario & per forza d’arme si disdice col tormento delle ferite ricevute animosamente, quando che egli fa il possibile di resistenza, per volere la fama dell’honor suo diffendere; onde se le sue ultime forze non basteranno a vincere, facendo disdetta per non morire è meno dishonore, perchè la forza dà alcun colore di giusta escusatione & pare che sia cosa che proceda contra la propria volontà, che per forza fa disdetta; et pertanto il fuggire è maggiore incarico che per forza d’arme disdire, perchè lo perdere con honore non vitupera tanto il perditore, quanto che a perdere con viltà & con incarico di fuga & sempre si debbe tentare la fortuna per la vittoria, non si debbe senza resistenza dare l’honore all’avversario, perchè non è maggiore ingiuria del fuggire dinnanzi ad uno, dove non si conosce avantaggio, nè maggior riputatione s’acquista che seguire il tuo nimico che per paura ti fuggisse. | ||
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Revision as of 19:42, 27 September 2023
Contents
- 1 Treatise
- 1.1 De Duello
- 1.1.1 Table of Contents
- 1.1.2 Book 1
- 1.1.3 Book 2 - The selection of the place for battle
- 1.1.4 Book 3 - The wager of battle
- 1.1.5 Book 4 - The selection of armament
- 1.1.6 Book 5 - Champions
- 1.1.7 Book 6 - Causes for battle
- 1.1.8 Book 7 - Who can duel
- 1.1.9 Book 8 - Specific duels
- 1.1.10 Book 9 - Prisoners and ransom
- 1.2 Copyright and License Summary
- 1.1 De Duello
Treatise
For further information, including transcription and translation notes, see the discussion page.
Work | Author(s) | Source | License |
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Translation | Michael Chidester | Wiktenauer | |
Latin (1476) | Kendra Brown | Index:De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo) | |
Italian (1521) | Michael Chidester | Index:Duello, libro de re (Paride de Pozzo) | |
Spanish (1544) | Michael Chidester | Index:Libro llamado batalla de dos (Paride del Pozzo) | |
English (1580) | David Kite | Index:Questions of Honor and Arms (MS V.b.104) |