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| '''Capitolo 198. Which of the challengers will select the arms, judge & place of battle.'''
 
| '''Capitolo 198. Which of the challengers will select the arms, judge & place of battle.'''
 
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| '''Capitulo [14] Quale del diffidati eligere devera larme lo iudice & locho ala bactaaglia.'''
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| '''Capitulo [14] Quale del diffidati eligere devera larme lo iudice & locho ala bactaglia.'''
 
| '''Cap. 198. Quale delli disfidati doverà eleggere l’arme, lo giudice & loco alla battaglia.'''
 
| '''Cap. 198. Quale delli disfidati doverà eleggere l’arme, lo giudice & loco alla battaglia.'''
 
Resta da intendere qual delli sfidati a combattere doverà eleggere lo giudice et così ancora dell’arme. Onde per volere dare buon precetto, si debbe accortamente in ciò considerare che ‘l requisitore habbi dal principio arbitrio & potestà di potere eleggere per la sua querella la via dell’arme, volendo mostrare con la spada quello che con altra prova non potesse provare et provocando lo nimico a combattere con lui da persona a persona li potria il provocato respondere che in caso che se sentisse da lui essere offeso, dovesse al suo giudice competente andare et giudicialmente giustitia domandarli, che li responderia; et havendo il requisitore facultà per diritto di arme di poter dimostrare la giustitia con le arme et con sua autorità potere tirare et constringere lo richiesto alla personal battaglia, senza andare dal giudice ordinario, perciò si debbe la qualità servare, non usando il requisitore maggior privilegio, del richiesto, quantunque lo disfidato sia degno di maggior favore, come sono li rei convinti chiamati a giudicio civile; et questo per constitutione di Ottone Imperatore Re in Italia et dapoi per Federico confermata et seguita et per consuetudine et stile di arme, il iudice e loco quando a combattere se disponeno; et questo statuto fu perchè lo procuratore, il quale ha facultà poter eleggere la prova et constringere il provocato nella via delle arme, havendo potestate, pretermettendo lo iudiciale solo fora alla battaglia, totalmente costringere lo provocato, et quanto non havesse del tutto l’arbitrio et facultà d’eleggere le armi, debbeno essere per lo iudice ancora elette; attento che tutti li Cavallieri che provocati fusseno per iusta cagione a tale che la battaglia per iudicio militare se difinisse con ogni equalità, che alcuno avantaggio gli intervenga et che al richiesto, sì come è debito che in tutte le differenze che al giudicio si adducono si debbono con giusta bilanza pesare; conciossiacosacchè la giustitia è ditta che debbe stare & esser giusta & eguale & non dare disvantaggio allo richiesto, il quale per forza al combattere è stato tirato: debbe però havere elettione delle armi, del luoco & del giudice, per rispetto che se quello il quale provoca il suo nimico nel combattere havesse arbitrio & potestà eleggere la via dell’arme, il giudice, loco & l’arme et tutte le cose necessarie alla battaglia, senza dubbio il requisitore d’ogni impresa sarebbe vincitore, quando non gli intravenisse divina potenza, chè potria eleggere le armi nel combattere a lui habile di operare, allo inimico incongrue et non sopportabile, potria elegger giudice che sempre in suo favore si adoperasse et in disfavore del nimico, potria elegger luoco con suo avantaggio et del nimico disvantaggio et così d’ogni abbattimento veneria ad essere vincitore; et per questo si debbe attendere alla comodità del richiesto, in modo che senza disvantaggio di niuno con egualità di tutti venga ad esser moderata, chè giusto giudicio di battaglia si debbia la differenza diffinire, dove, secondo la opinione delli Cavallieri armigeri, Iddio mostra di continuo la sua giustitia; ancora per stile d’arme et consuetudine di cavalleria communamente al richiesto si concede per termine competente sei mesi habbia a preparare & risvegliare lo adornamento, forte esercitandosi nelle armi et trovare il giudice e ‘l luoco, per commune comodità senza gravezza et ingiuria di niuno, a combattere, si possa egualmente coprire per honore delli Cavallieri et esperimentatione della verità.
 
Resta da intendere qual delli sfidati a combattere doverà eleggere lo giudice et così ancora dell’arme. Onde per volere dare buon precetto, si debbe accortamente in ciò considerare che ‘l requisitore habbi dal principio arbitrio & potestà di potere eleggere per la sua querella la via dell’arme, volendo mostrare con la spada quello che con altra prova non potesse provare et provocando lo nimico a combattere con lui da persona a persona li potria il provocato respondere che in caso che se sentisse da lui essere offeso, dovesse al suo giudice competente andare et giudicialmente giustitia domandarli, che li responderia; et havendo il requisitore facultà per diritto di arme di poter dimostrare la giustitia con le arme et con sua autorità potere tirare et constringere lo richiesto alla personal battaglia, senza andare dal giudice ordinario, perciò si debbe la qualità servare, non usando il requisitore maggior privilegio, del richiesto, quantunque lo disfidato sia degno di maggior favore, come sono li rei convinti chiamati a giudicio civile; et questo per constitutione di Ottone Imperatore Re in Italia et dapoi per Federico confermata et seguita et per consuetudine et stile di arme, il iudice e loco quando a combattere se disponeno; et questo statuto fu perchè lo procuratore, il quale ha facultà poter eleggere la prova et constringere il provocato nella via delle arme, havendo potestate, pretermettendo lo iudiciale solo fora alla battaglia, totalmente costringere lo provocato, et quanto non havesse del tutto l’arbitrio et facultà d’eleggere le armi, debbeno essere per lo iudice ancora elette; attento che tutti li Cavallieri che provocati fusseno per iusta cagione a tale che la battaglia per iudicio militare se difinisse con ogni equalità, che alcuno avantaggio gli intervenga et che al richiesto, sì come è debito che in tutte le differenze che al giudicio si adducono si debbono con giusta bilanza pesare; conciossiacosacchè la giustitia è ditta che debbe stare & esser giusta & eguale & non dare disvantaggio allo richiesto, il quale per forza al combattere è stato tirato: debbe però havere elettione delle armi, del luoco & del giudice, per rispetto che se quello il quale provoca il suo nimico nel combattere havesse arbitrio & potestà eleggere la via dell’arme, il giudice, loco & l’arme et tutte le cose necessarie alla battaglia, senza dubbio il requisitore d’ogni impresa sarebbe vincitore, quando non gli intravenisse divina potenza, chè potria eleggere le armi nel combattere a lui habile di operare, allo inimico incongrue et non sopportabile, potria elegger giudice che sempre in suo favore si adoperasse et in disfavore del nimico, potria elegger luoco con suo avantaggio et del nimico disvantaggio et così d’ogni abbattimento veneria ad essere vincitore; et per questo si debbe attendere alla comodità del richiesto, in modo che senza disvantaggio di niuno con egualità di tutti venga ad esser moderata, chè giusto giudicio di battaglia si debbia la differenza diffinire, dove, secondo la opinione delli Cavallieri armigeri, Iddio mostra di continuo la sua giustitia; ancora per stile d’arme et consuetudine di cavalleria communamente al richiesto si concede per termine competente sei mesi habbia a preparare & risvegliare lo adornamento, forte esercitandosi nelle armi et trovare il giudice e ‘l luoco, per commune comodità senza gravezza et ingiuria di niuno, a combattere, si possa egualmente coprire per honore delli Cavallieri et esperimentatione della verità.
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| '''Capitulo [26]. sel requesto non trovasse principe quaal volesse dare loco securo ala bactaglia se tenuto sarra andare ad principi de infideli.'''
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| '''Capitulo [26]. sel requesto non trovasse principe qual volesse dare loco securo ala bactaglia se tenuto sarra andare ad principi de infideli.'''
 
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| '''Capitulo [28] nel quale se tracta essendo un signor da vasalli requesto de concedere il campo se iustaame{{dec|u|n}}te porra el campo concedere.'''
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| '''Capitulo [28] nel quale se tracta essendo un signor da vasalli requesto de concedere il campo se iustame{{dec|u|n}}te porra el campo concedere.'''
 
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| '''{{par}} Capitulo [41] Quando nela deputata iornata laa bactaglia non se possesse finire se devera essere data altra iornata.'''
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| '''{{par}} Capitulo [41] Quando nela deputata iornata la bactaglia non se possesse finire se devera essere data altra iornata.'''
 
| '''Cap. 209. Quando nella diputata giornata la battaglia non si puote fornire, se si doverà dargli altra giornata.'''
 
| '''Cap. 209. Quando nella diputata giornata la battaglia non si puote fornire, se si doverà dargli altra giornata.'''
 
Ancora vogliamo vedere se sarà diputata la giornata fra duoi disfidati, per differenza loro venire alla battaglia, nella qual non si potria finire, se si deve in altra giornata ritornare nel combattere, sì che la differenza si finisca: la legge Lombarda dice che si deve restituire l’impresa per farla in un’altra giornata; M. Baldo dice che s’uno disfida il suo nimico di volerli provare in tale giornata con la spada uno tale delitto, in caso che non lo provasse in tale giornata non lo potrà più per abbattimento provare, perchè in tale abbattimento non si dà nuova dilatione & questa contrarietà si solve, perchè quando per impedimento successo nel combattere se impedisse tale combattere, di modo che non si potesse finire, si deve in altra giornata, ma quando non succedesse altro impedimento, chè ‘l richiesto audace & virilmente si diffensasse, in modo che dal requisitore non fusse superato in tutta la giornata, allhora non si doveria dar dilatione in altra giornata, perchè lo richiesto è absoluto; similmente ancora quando il iudice spartendo non havesse permessa la battaglia, se finire non si debbe più ricercare, riservando quando fusseno per patti convenienti che dovesseno tanto combattere per finchè l’uno o l’altro fusse morto o disditto, come meglio è ditto in un altro capitolo di sopra, dove si parla del loco.
 
Ancora vogliamo vedere se sarà diputata la giornata fra duoi disfidati, per differenza loro venire alla battaglia, nella qual non si potria finire, se si deve in altra giornata ritornare nel combattere, sì che la differenza si finisca: la legge Lombarda dice che si deve restituire l’impresa per farla in un’altra giornata; M. Baldo dice che s’uno disfida il suo nimico di volerli provare in tale giornata con la spada uno tale delitto, in caso che non lo provasse in tale giornata non lo potrà più per abbattimento provare, perchè in tale abbattimento non si dà nuova dilatione & questa contrarietà si solve, perchè quando per impedimento successo nel combattere se impedisse tale combattere, di modo che non si potesse finire, si deve in altra giornata, ma quando non succedesse altro impedimento, chè ‘l richiesto audace & virilmente si diffensasse, in modo che dal requisitore non fusse superato in tutta la giornata, allhora non si doveria dar dilatione in altra giornata, perchè lo richiesto è absoluto; similmente ancora quando il iudice spartendo non havesse permessa la battaglia, se finire non si debbe più ricercare, riservando quando fusseno per patti convenienti che dovesseno tanto combattere per finchè l’uno o l’altro fusse morto o disditto, come meglio è ditto in un altro capitolo di sopra, dove si parla del loco.
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| '''{{par}} Capitulo [55] nel quale se tracta si come al rustico requidetore se po daare semele campione.'''
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| '''{{par}} Capitulo [55] nel quale se tracta si come al rustico requidetore se po dare semele campione.'''
 
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| '''Capitulo [58] de dui intrate nel campo per conbactere ad oltranza con spate luno dismontato a piede et tenendo lo nemico che accavallo staava perlo piede quillo da cavaallo de bocto sopre laltro et vencelo.'''
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| '''Capitulo [58] de dui intrate nel campo per conbactere ad oltranza con spate luno dismontato a piede et tenendo lo nemico che accavallo stava perlo piede quillo da cavallo de bocto sopre laltro et vencelo.'''
 
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| '''Capitulo [59] de dui conbactenti el uno abia{{dec|u|n}}do gravamente ferito laaltro lo percussore se smortio per vedere il sangue del ferito quale lo piglio et ligolo et de po si morio.'''
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| '''Capitulo [59] de dui conbactenti el uno abia{{dec|u|n}}do gravamente ferito laltro lo percussore se smortio per vedere il sangue del ferito quale lo piglio et ligolo et de po si morio.'''
 
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| '''Capitulo [66] nel quale se tracta como se po dare el campione secundo laa reposta del requesto.'''
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| '''Capitulo [66] nel quale se tracta como se po dare el campione secundo la reposta del requesto.'''
 
| '''Cap. 211. Come si può dare il campione secondo la risposta del richiesto.'''
 
| '''Cap. 211. Come si può dare il campione secondo la risposta del richiesto.'''
 
Dicesi nel trattato de’ campioni che quando lo requisitore s’offerisce nella sua richiesta voler provare da esso al suo avversario una tale querela, perchè darà la fede del combattere per pegno, & dicendo il richiesto “io mi diffenderò per me o per altri per me con gli miei danari”, in tal caso non potrà il requisitore dare più il campione, ma deve con la propria sua persona combattere, per rispetto che la sua offerta è di provare da persona a persona: per questo si deve osservare; ma lo richiesto per sua risposta potria dare il campione & in caso che ‘l provocatore dicesse “io voglio provare dalla persona mia alla tua”, rispondendo il richiesto “io mi diffenderò”, senza dire altre parole, non potria il campione; & questo si trova determinato per la legge Lombarda Imperiale.
 
Dicesi nel trattato de’ campioni che quando lo requisitore s’offerisce nella sua richiesta voler provare da esso al suo avversario una tale querela, perchè darà la fede del combattere per pegno, & dicendo il richiesto “io mi diffenderò per me o per altri per me con gli miei danari”, in tal caso non potrà il requisitore dare più il campione, ma deve con la propria sua persona combattere, per rispetto che la sua offerta è di provare da persona a persona: per questo si deve osservare; ma lo richiesto per sua risposta potria dare il campione & in caso che ‘l provocatore dicesse “io voglio provare dalla persona mia alla tua”, rispondendo il richiesto “io mi diffenderò”, senza dire altre parole, non potria il campione; & questo si trova determinato per la legge Lombarda Imperiale.
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| '''Capitulo [81] dove se tracta se uno figliolo acepta bactagliaa con unaltro se per lo patre po essere p{{dec|u|ro}}hibito.'''
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| '''Capitulo [81] dove se tracta se uno figliolo acepta bactaglia con unaltro se per lo patre po essere p{{dec|u|ro}}hibito.'''
 
| '''Cap. 218. Se domanda se uno figliuolo accetta battaglia con uno altro, se per lo padre può essere prohibito.'''
 
| '''Cap. 218. Se domanda se uno figliuolo accetta battaglia con uno altro, se per lo padre può essere prohibito.'''
 
Seguita di intendere se uno figliuolo di uno gentile huomo ha cagione di battaglia con un altro armigero & data la disfida, eletto il iudice & arme & venuti per intrare in el campo, il padre prohibisse la battaglia, allegando il figliuolo non posser venire a tale battaglia senza sua licentia, nè possere intrare in tal iudicio d’arme senza sua volontà per la paterna potestà, al quale lo figliuolo summesso: se domanda se tal prohibitione habbia impedire, la battaglia non se faccia: decidere de non, attento che la militia fu prima che la patria potestà & primo furno le battaglie che la legie civile, che trovare la paterna potestà, dando in ciò pena di punitione al padre che subtraherà il figliolo dalla guerra della repubblica & questo in tempo di guerra; se in tempo di pace la frustra publica e la pena; & consentendo in ciò, lo figliuolo serà deposto a più inferiore grado che non si trova condutto & ancora il padre serà punito quando debilitarà il figliuolo per fraude: acciocchè alla giornata della battaglia publica non se trova in pericolo, reputando le legie, il figliuolo exercitando le arme per padre di famiglia, e non essere scritto allo vincolo della paterna potestà, anzi possere ad oltranza combattere, quale il padre non può impedire, come lo proprio honore si è più obligatione che la paterna potestà: questa è sententia dello Imperatore, dove scrive de l’arte militare.
 
Seguita di intendere se uno figliuolo di uno gentile huomo ha cagione di battaglia con un altro armigero & data la disfida, eletto il iudice & arme & venuti per intrare in el campo, il padre prohibisse la battaglia, allegando il figliuolo non posser venire a tale battaglia senza sua licentia, nè possere intrare in tal iudicio d’arme senza sua volontà per la paterna potestà, al quale lo figliuolo summesso: se domanda se tal prohibitione habbia impedire, la battaglia non se faccia: decidere de non, attento che la militia fu prima che la patria potestà & primo furno le battaglie che la legie civile, che trovare la paterna potestà, dando in ciò pena di punitione al padre che subtraherà il figliolo dalla guerra della repubblica & questo in tempo di guerra; se in tempo di pace la frustra publica e la pena; & consentendo in ciò, lo figliuolo serà deposto a più inferiore grado che non si trova condutto & ancora il padre serà punito quando debilitarà il figliuolo per fraude: acciocchè alla giornata della battaglia publica non se trova in pericolo, reputando le legie, il figliuolo exercitando le arme per padre di famiglia, e non essere scritto allo vincolo della paterna potestà, anzi possere ad oltranza combattere, quale il padre non può impedire, come lo proprio honore si è più obligatione che la paterna potestà: questa è sententia dello Imperatore, dove scrive de l’arte militare.
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  | title = Book 7 - What estate may duel
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| '''Capitulo [106] dove se tracta se uno armigero rusticano lassate larme se de po porra venire ad bactagliaa co{{dec|u|n}} uno nobele'''
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| '''Capitulo [106] dove se tracta se uno armigero rusticano lassate larme se de po porra venire ad bactaglia co{{dec|u|n}} uno nobele'''
 
| '''Cap. 230. Si tratta se uno armigero rusticano, lassate l’arme, se dipoi potrà venire alli cimenti del combattere.'''
 
| '''Cap. 230. Si tratta se uno armigero rusticano, lassate l’arme, se dipoi potrà venire alli cimenti del combattere.'''
 
Habbiamo di sopra esaminato pienamente che uno rustico, overo ignobile, lungo tempo esercitato in arme, potrà provocare per causa del suo honore uno nobile per natura a combattere da persona a persona, ma dubitasi s’uno armigero rustico per natura, esercitato per lungo tempo in arme et dopo lasciato l’esercitio dell’arme non per delitto, nè per mancamento, volontariamente habita in casa sua antica & vorrà richiedere uno nobile per natura a dover combattere con lui per causa d’honore, se lo potrà fare senza ripulsa. La legge civile dispone ch’uno rustico non può provocare uno nobile a battaglia personale; questo provocatore allega che lui è fatto lungo tempo, esercitando l’arte militare et per questo è nobilitato; dall’altra parte si allega all’incontro che gli armigeri godono il privilegio militario infinchè sono in arme & fanno lo esercitio militare, cioè l’arte dell’arme, overo finchè sono in lizza & stanno preparati all’arte militare & questo ha lasciato l’esercitio militare & è ritornato alla pristina rusticità: & hor si dimanda che vorrà la ragione; dico prima, che uno rustico, che harà fatto il mestiero de l’arme longo tempo e che sia accettato in lo esercito per armigero, finchè serà in campo potrà combattere con ogni nobile per natura, in campo e fora de campo. Ma tutte le leggi voleno che dapoi che lassa in tutto mo mestiero de l’arme et andasse in casa sua, non ha quelli privilegij che godeno li armigeri, eccetto s’el va per pace fatta o con licentia o con proposito di ritornare, e quando sta in lista, o preparato a l’arme; e questo harà loco quando serà redutto in casa sua senza mancamento e quando doppo longo tempo esercitate l’arme, per infirmità o vecchiezza o per havere passati vinti anni in lo mestiere, allhora ha privilegio di cavalliero veterano, che non serà tenuto a servicij da persona vile e serà trattato alle pene come nobile & haverà molti altri privilegi per la legge Imperiale; et imperò questo, havendo fatto lo mestiero de l’arme longo tempo, fidelmente, virtuosamente & dapoi andarà senza ignominia et infamia licentiato da’ superiori a reposare a casa, non perderà la nobiltà acquistata per la virtù militare e quella goderà vivendo nobilmente in casa; e vuol M. Andrea de Isernia che uno nobile, habitando continuo in loco rustico si reputa nobile come habbiamo ditto, onde questo potrà combattere con uno nobile, non obstando che habitasse in loco rustico, perchè l’honore e nobiltade per virtù e per arme acquistata non si perde senza delitto, eccetto quando fusse licentiato da l’esercito per grande delitto commesso o che fusse di là fuggito non finiti li stipendij o quando vivesse vilmente commettendo latrocini o esercitasse mestieri vili appartinenti a lui, o stesse a servigi di persona ignobile, over commettesse viltà & negoci ad huomini nobili, non condegni, chè allhora saria macolata lor nobiltà per arme acquistata, riservando, secondo l’Imperatore, volesse che dessino opera alla cultura, qual è permesso a’ Cavallieri che fossino rimessi a tale esercitio con buona licentia o ad altri negoci honesti; & fa differentia l’Imperatore dalli privilegi dati a quelli ch’esercitano l’arme et quelli che godono gli armigeri che per vinti anni esercitate l’armi, e finito il stipendio o licentiati dallo esercito per causa honesta, andaranno ad ociare et riposare, perchè questi godono privilegi di decurioni & di veterani nobili & sono appellati veterani, ma quelli che sono nel fervore delle armi godono più grandi & diversi privilegi, dati per la legge Imperiale, delli quali privilegi militari parlano più & diverse legge Imperiale.
 
Habbiamo di sopra esaminato pienamente che uno rustico, overo ignobile, lungo tempo esercitato in arme, potrà provocare per causa del suo honore uno nobile per natura a combattere da persona a persona, ma dubitasi s’uno armigero rustico per natura, esercitato per lungo tempo in arme et dopo lasciato l’esercitio dell’arme non per delitto, nè per mancamento, volontariamente habita in casa sua antica & vorrà richiedere uno nobile per natura a dover combattere con lui per causa d’honore, se lo potrà fare senza ripulsa. La legge civile dispone ch’uno rustico non può provocare uno nobile a battaglia personale; questo provocatore allega che lui è fatto lungo tempo, esercitando l’arte militare et per questo è nobilitato; dall’altra parte si allega all’incontro che gli armigeri godono il privilegio militario infinchè sono in arme & fanno lo esercitio militare, cioè l’arte dell’arme, overo finchè sono in lizza & stanno preparati all’arte militare & questo ha lasciato l’esercitio militare & è ritornato alla pristina rusticità: & hor si dimanda che vorrà la ragione; dico prima, che uno rustico, che harà fatto il mestiero de l’arme longo tempo e che sia accettato in lo esercito per armigero, finchè serà in campo potrà combattere con ogni nobile per natura, in campo e fora de campo. Ma tutte le leggi voleno che dapoi che lassa in tutto mo mestiero de l’arme et andasse in casa sua, non ha quelli privilegij che godeno li armigeri, eccetto s’el va per pace fatta o con licentia o con proposito di ritornare, e quando sta in lista, o preparato a l’arme; e questo harà loco quando serà redutto in casa sua senza mancamento e quando doppo longo tempo esercitate l’arme, per infirmità o vecchiezza o per havere passati vinti anni in lo mestiere, allhora ha privilegio di cavalliero veterano, che non serà tenuto a servicij da persona vile e serà trattato alle pene come nobile & haverà molti altri privilegi per la legge Imperiale; et imperò questo, havendo fatto lo mestiero de l’arme longo tempo, fidelmente, virtuosamente & dapoi andarà senza ignominia et infamia licentiato da’ superiori a reposare a casa, non perderà la nobiltà acquistata per la virtù militare e quella goderà vivendo nobilmente in casa; e vuol M. Andrea de Isernia che uno nobile, habitando continuo in loco rustico si reputa nobile come habbiamo ditto, onde questo potrà combattere con uno nobile, non obstando che habitasse in loco rustico, perchè l’honore e nobiltade per virtù e per arme acquistata non si perde senza delitto, eccetto quando fusse licentiato da l’esercito per grande delitto commesso o che fusse di là fuggito non finiti li stipendij o quando vivesse vilmente commettendo latrocini o esercitasse mestieri vili appartinenti a lui, o stesse a servigi di persona ignobile, over commettesse viltà & negoci ad huomini nobili, non condegni, chè allhora saria macolata lor nobiltà per arme acquistata, riservando, secondo l’Imperatore, volesse che dessino opera alla cultura, qual è permesso a’ Cavallieri che fossino rimessi a tale esercitio con buona licentia o ad altri negoci honesti; & fa differentia l’Imperatore dalli privilegi dati a quelli ch’esercitano l’arme et quelli che godono gli armigeri che per vinti anni esercitate l’armi, e finito il stipendio o licentiati dallo esercito per causa honesta, andaranno ad ociare et riposare, perchè questi godono privilegi di decurioni & di veterani nobili & sono appellati veterani, ma quelli che sono nel fervore delle armi godono più grandi & diversi privilegi, dati per la legge Imperiale, delli quali privilegi militari parlano più & diverse legge Imperiale.
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| '''Capitulo [107] dove se tracta de una bactagliaa partita da cinque in cinque chi delloro deve essere el vencitore.'''
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| '''Capitulo [107] dove se tracta de una bactaglia partita da cinque in cinque chi delloro deve essere el vencitore.'''
 
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| '''Capitulo [110] si facto il pacto de ro{{dec|u|m}}pere dece lanze et luno castara per incontro sela bactagliaa he finita no{{dec|u|n}} aspectando de finire derompere ledece lanze.'''
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| '''Capitulo [110] si facto il pacto de ro{{dec|u|m}}pere dece lanze et luno castara per incontro sela bactaglia he finita no{{dec|u|n}} aspectando de finire derompere ledece lanze.'''
 
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| '''Capitulo [113] de dui conbactenti quali haviaano capitulati che quillo che cascasse dal cavallo fosse dalaltro soperato cascando in sieme al primo in contro quale de quilli deve essere vincitore.'''
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| '''Capitulo [113] de dui conbactenti quali haviano capitulati che quillo che cascasse dal cavallo fosse dalaltro soperato cascando in sieme al primo in contro quale de quilli deve essere vincitore.'''
 
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| '''Capitulo [115] de dui intrate in bactaglia de oltranza et luno bocta per terra laltro equillo che sta de socto disse io so venzuto et dede una ferita al sopra stante et admazolo quaal sarra il vencitore.'''
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| '''Capitulo [115] de dui intrate in bactaglia de oltranza et luno bocta per terra laltro equillo che sta de socto disse io so venzuto et dede una ferita al sopra stante et admazolo qual sarra il vencitore.'''
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| '''Capitulo [116] del honore deli cavalieri quando nela bactaglia luno de sarma alaltro certearme qual Sarra megliore faczente.'''
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| '''Capitulo [117] quando nela bactaglia de oltranza o inaltra se farrano ferite corporalis nele membri homani qual avera maiore honore et laude.'''
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| '''Capitulo [118] nel quale se tracta deli giostre e torniamente como se deve perlo iudice li exercita{{dec|u|n}}te inquelle iudicare.'''
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| '''Capitulo [119] de dui cavaleri disfidati de co{{dec|u|m}}bactere adoltra{{dec|u|n}}za con mazaferrata deli quali lunoporto lo bastone concavo pieno de pulvere pestifera cola quale vence el suo nemico'''
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| '''Capitulo [120] de dui intrate nel campo per conbactere ad oltranza con spate luno dismontato a piede et tenendo lo nemico che accavallo stava perlo piede quillo de cavallo de bocto sopre laltro et vencelo.'''
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| '''Capitulo [121] de dui conbactenti el uno abia{{dec|u|n}}do gravamente ferito laltro lo percussore se mortio per vedere il sangue del ferito quale lo piglio et ligolo et de po si morio'''
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| '''Capitulo [122] de dui disfidati ad oltranza et lo requiditore promese deprovare et de po per uno i{{dec|u|n}}contro tosti duitrapassati sel requiditore Sarra perdetore o vero Sarra pacta.'''
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| '''Capitulo [123] de dui conbactenti che luno fo deiecto adterra et pongendo lo suo cavallo lo spense co{{dec|u|n}}tra laltro in modo che risandono li cavalli el cavalcato col cavallo ad terra cascato se morio.'''
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| '''Capitulo [124] de dui conbacte{{dec|u|n}}ti che luno preso te{{dec|u|n}}ne longo tempo laltro perlo piede fi ala nocte non fando li altra offesa deve essere vincatore'''
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| '''Capitulo [125] de dui conbacttenti deli quali luno cascao desastrosamente perli trunchoni dele lanze rocte et non per vertu del nemico.'''
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| '''Capitulo [126] Quando luno del co{{dec|u|m}}battenti porto li vasa pedi & venze laltro in bactaglia per tale fraude & ingegnio.'''
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| '''Capitulo [127] cmo doi cavalaieri conbactendono luno disse alaltro io me rendo && strense la spata e amanzo el nemico.'''
 
| '''Cap. 233. Come dui armigeri combattendo, l’uno disse all’altro «io mi rendo!» & strinse la spada & uccise il nemico.'''  
 
| '''Cap. 233. Come dui armigeri combattendo, l’uno disse all’altro «io mi rendo!» & strinse la spada & uccise il nemico.'''  
 
Duoi armigeri combattendo in lizza a tutto transito & dicendo l’uno all’altro «renditi a me!», a cui l’altro rispose «io mi rendo!» &, dicendo tali parole, subito stingendo la spada, senz’altra risposta in tal modo percosse il nemico, che incontinente morto lo abbattè. Onde dubitandosi se quello c’haveva lo nimico ucciso, in tal caso meritassi esser lo vincitore; & essendo molte ragioni in contrario che non solo vincitore, anzi perditore rimanessi colui che per confessione di sua propria bocca, per prigione al suo nimico si vendette, chè di ragione non puote, nè deve il suo superatore più offendere, attento che per le parole l’huomo si liga; & dice M. Angelo da Perosa che tanto vale a dire «io mi rendo a te», quanto se dicessi «io ti dono la fede»; però si potria rispondere all’incontro che quando gli fatti non corrispondenti alle parole adoperati, ancora che dicessi «io mi rendo», mostrando che l’animo nella mente si consentiva, non si giudica esser renduto; attento che in tempo che le parole pronontiò, per gli fatti mostrò l’animo di quello esser molto alieno & perchè nel combatter, più che le parole si dinota, per causa che la mente è quella che fa gli fatti adoperare & quello che è nella mente, nelli fatti si dimostra & li signali son quelli che la intentione dell’animo manifesta & nell’huomo più la volontà che le parole si dinota. Onde havendo il renduto percussore, dicendo di parole, il suo nimico ammazzato, come vuole la legge, da più si stima ciò ch’è fatto & non parole dimostra; & Tullio dice: “dove sono li testimoni delli fatti, non son necessari quelli delle parole”; & più presto per li fatti le parole che non le parole per li fatti si comprende la volontà dell’animo, perchè li fatti più volte con le parole non si accordano & per quello solo li fatti notando s’hanno da seguire; & havendo li fatti l’homicidio è seguito, dimostrano le parole esser state derisorie & ditte per inganno, sì come per effetto gli atti hanno dimostrato, chè molte volte per parole la volontà dell’animo si recita, sì come nell’esempio del nostro Redentore Giesù Christo: si dinota che li perfidi Giudei diceano con false saluti: “Dio ti salvi, Re delli Giudei!”, dicendo con perverso animo tale vilissime parole a tanto Signore, condicente il suo santissimo & venerando volto con fortissime guanciate percoteano, dimostrando le parole dalli fatti esserne molto da lontano; onde dalle parole lo effetto si considera, perciocchè si presume ogni huomo essere dal principio come fu alla fine & perciò dicendo l’effetto per lo effetto non esser vero si dimostrano, sì come avviene che uno spesso farà il contrario di ciò che per esso è stato ragionato. Onde concludendo, dico quello esser vincitore che per gli fatti & non per parole la generosità dell’animo ha dimostrato; però si ha da vedere se colui che si rende, da lì a un certo spatio di tempo & non in quell’istante havesse percosso il suo nimico, dopo havendo accettato la sua disditta, & per traditore & per perditore si condanna, che per li segni si può chiaramente conoscere, colui il quale accetta la redentione del nimico, li quali sono questi: non offendendo più, ditte le parole, il suo renduto, over recessandosi indrieto, riponendo la spada, togliendo l’offesa; questi sariano segni havere accettato il nimico per perditore; & quello il quale offendesse da lì a un certo spacio di tempo il suo vincitore commetteria tradimento et premio di vittoria non meritaria; ma volendo dicidere il presente caso, al giudicio de’ preposti et de’ spettanti si rimette, quale haveranno potuto vedere & intendere gli atti & parole con qual modo & dispositione furno adoprate et prononciate, se’l ferire fu per alcun spatio dopo accettata la submissione, o di continente ad uno tempo li fatti con le parole ditte.
 
Duoi armigeri combattendo in lizza a tutto transito & dicendo l’uno all’altro «renditi a me!», a cui l’altro rispose «io mi rendo!» &, dicendo tali parole, subito stingendo la spada, senz’altra risposta in tal modo percosse il nemico, che incontinente morto lo abbattè. Onde dubitandosi se quello c’haveva lo nimico ucciso, in tal caso meritassi esser lo vincitore; & essendo molte ragioni in contrario che non solo vincitore, anzi perditore rimanessi colui che per confessione di sua propria bocca, per prigione al suo nimico si vendette, chè di ragione non puote, nè deve il suo superatore più offendere, attento che per le parole l’huomo si liga; & dice M. Angelo da Perosa che tanto vale a dire «io mi rendo a te», quanto se dicessi «io ti dono la fede»; però si potria rispondere all’incontro che quando gli fatti non corrispondenti alle parole adoperati, ancora che dicessi «io mi rendo», mostrando che l’animo nella mente si consentiva, non si giudica esser renduto; attento che in tempo che le parole pronontiò, per gli fatti mostrò l’animo di quello esser molto alieno & perchè nel combatter, più che le parole si dinota, per causa che la mente è quella che fa gli fatti adoperare & quello che è nella mente, nelli fatti si dimostra & li signali son quelli che la intentione dell’animo manifesta & nell’huomo più la volontà che le parole si dinota. Onde havendo il renduto percussore, dicendo di parole, il suo nimico ammazzato, come vuole la legge, da più si stima ciò ch’è fatto & non parole dimostra; & Tullio dice: “dove sono li testimoni delli fatti, non son necessari quelli delle parole”; & più presto per li fatti le parole che non le parole per li fatti si comprende la volontà dell’animo, perchè li fatti più volte con le parole non si accordano & per quello solo li fatti notando s’hanno da seguire; & havendo li fatti l’homicidio è seguito, dimostrano le parole esser state derisorie & ditte per inganno, sì come per effetto gli atti hanno dimostrato, chè molte volte per parole la volontà dell’animo si recita, sì come nell’esempio del nostro Redentore Giesù Christo: si dinota che li perfidi Giudei diceano con false saluti: “Dio ti salvi, Re delli Giudei!”, dicendo con perverso animo tale vilissime parole a tanto Signore, condicente il suo santissimo & venerando volto con fortissime guanciate percoteano, dimostrando le parole dalli fatti esserne molto da lontano; onde dalle parole lo effetto si considera, perciocchè si presume ogni huomo essere dal principio come fu alla fine & perciò dicendo l’effetto per lo effetto non esser vero si dimostrano, sì come avviene che uno spesso farà il contrario di ciò che per esso è stato ragionato. Onde concludendo, dico quello esser vincitore che per gli fatti & non per parole la generosità dell’animo ha dimostrato; però si ha da vedere se colui che si rende, da lì a un certo spatio di tempo & non in quell’istante havesse percosso il suo nimico, dopo havendo accettato la sua disditta, & per traditore & per perditore si condanna, che per li segni si può chiaramente conoscere, colui il quale accetta la redentione del nimico, li quali sono questi: non offendendo più, ditte le parole, il suo renduto, over recessandosi indrieto, riponendo la spada, togliendo l’offesa; questi sariano segni havere accettato il nimico per perditore; & quello il quale offendesse da lì a un certo spacio di tempo il suo vincitore commetteria tradimento et premio di vittoria non meritaria; ma volendo dicidere il presente caso, al giudicio de’ preposti et de’ spettanti si rimette, quale haveranno potuto vedere & intendere gli atti & parole con qual modo & dispositione furno adoprate et prononciate, se’l ferire fu per alcun spatio dopo accettata la submissione, o di continente ad uno tempo li fatti con le parole ditte.
  
 
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| '''Capitulo [128] Quando uno del co{{dec|u|m}}bactenti casca al cavallo & laltro va ppicato & stordito perse le staffe & abandonato. qual e il perditore.'''
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| '''Capitulo [129] Quando uno de conbactenti venne armato con multi arme. & laltro legierame{{dec|u|n}}te. & al primo surco contra li capituli dono deretro al cavallo del nemico'''
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| '''Capitulo [130] Quando udoi per causa de tradimento conbactero && luno mai possecte vincere. laltro se per humanita del iudice se deveriano spartire si o no.'''
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Revision as of 02:15, 27 September 2023

Paride del Pozzo
Also known as Paridis de Puteo
Born 1410
Pimonte
Died 1493
Napoli
Resting place Chiesa d'Sant Agostino
Occupation Jurist
Citizenship Neapolitan
Alma mater University of Naples
Patron Alfonso V of Aragon
Influenced Achilles Marozzo
Genres Legal treatise
Language
Notable work(s) De duello (1476)

Paride del Pozzo (called il Puteo; Latin: Paridis or Paris de Puteo) (1410-1493) was 15th century Italian jurist. He was born in Pimonte in the Duchy of Amalfi, from a family of Piedmontese origin.[1] He moved to Napoli early in life, where he began his study of the law; he went on to study at universities in Roma, Bologna, Firenze, and Perugia. Upon his return to Napoli, he entered the service of Alfonso V of Aragon ("the Magnanimous"), king of Napoli, and served in positions including General Auditor and General Inquisitor.

Later in his career, Pozzo wrote and published various legal treatises; perhaps owing to their position at the very beginning of the history of printing, they were reprinted many times over the subsequent century. In 1472-73, he published De syndicatu officialium, a treatise on forensic evidence. He followed this in 1476-77 with De duello, vel De re militari in singulari certamine ("On the Duel, or On Military Matters in Single Combat"). This treatise is particularly important due to its detailed descriptions of dueling laws and customs, which help establish the context of 15th century fighting systems, and also of incidents from specific historical duels, which shed light on how fighting looked in practice.

Pozzo died in 1493 and was buried in the Chiesa d'Sant Agostino in Napoli.

Treatise

Additional Resources

References

  1. According to Pietro Giannone, the family was originally from Alexandria, forced to continue moving due to political struggles.
  2. "Axe" omitted from all editions except the first.
  3. accie
  4. It: sententiousness