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Difference between revisions of "Paride del Pozzo"

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| '''Capitulo [74] dove se tracta se uno e stomeso de bataglia da uno alotro sel signore del provocato lo po p{{dec|uy|ro}}hibere che non conbacta.'''
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| '''Capitulo [74] dove se tracta se uno e stomeso de bataglia da uno alotro sel signore del provocato lo po p{{dec|u|ro}}hibere che non conbacta.'''
 
| '''Cap. 216. Se uno sottomesso in battaglia da un altro, se ‘l Signore del provocato lo può prohibire, chè non combatta.'''
 
| '''Cap. 216. Se uno sottomesso in battaglia da un altro, se ‘l Signore del provocato lo può prohibire, chè non combatta.'''
 
Oh quanto è sottile questa dimanda! Il richiesto, armigero vassallo d’un Principe, d’un altro armigero, quale non è vassallo del Signore del richiesto, che debba venire per licita causa a battaglia di oltranza con lui et di tale sottomesso ne ha notitia il Signore, il quale chiamato il suo vassallo, convitato et citato a battaglia, per imperio gli comandò non debba tal sottomessa accettare, perchè essendo suo vassallo ha nelli suoi bisogni la sua persona operare: dicida tal caso chi sa se tale iscusa possa il richiesto iscusare: & potriasi per causa di dubitatione dire la persona del vassallo esser prima obligata al proprio Signore che ad altro; & secondo la legge civile il Principe è Signore della persona del vassallo & stando questo proposito si potria dire, non accettando il sottomesso, essere iscusato & lo impedimento del Signore essere in ciò sufficiente; per contraria opinione si potria decidere che un armigero è prima obligato all’honor proprio, ch’al Signore & niuna obliganza intender si debbe contra l’honore del vassallo. Et che ‘l sia vero, vuole la legge che ‘l vassallo non debbe preferire la vita & l’honore del Signore alla vita et honor suo, et il vassallo è tenuto alle cose honeste et possibile al Signore: & questa saria cosa inhonesta et impossibile fare, contra lo proprio honore et, a quello satisfatto, le altre obligationi dovute al Signore seguono; et se niuna obliganza impacciasse il suo honore, non lo costringe ad osservatione da sè; in ciò regola della obligatione del vassallo al Signore esser solo in sei casi obligato et niuno delli sei è distrigato; questo, ante di sopra, si dà notitia vera, non esser tenuto, per campione, combattere il vassallo per il Signore in alcuni casi, & questa è la vera dichiaratione di tale caso per conservare l’honore dell’armigero, distinguendo in ciò. Se ‘l richiesto havesse feudo dal Signore, al qual servigio di persona fosse obligato prestare, di seguirlo nella guerra sotto giuramento, dove, essendo in atto di guerra il Signore, debbe il vassallo seguire il Signore & finita la guerra debbe accettare il guanto della battaglia & rispondere al requisitore sopra la querela; obstaria lo impedimento preditto se non fosse data la giornata & del campo & in quello tempo la guerra del Signore sopravenisse: di ciò si darà notitia nel libro di quelli che sono venuti in battaglia & dapoi alla propria fede rilasciati.
 
Oh quanto è sottile questa dimanda! Il richiesto, armigero vassallo d’un Principe, d’un altro armigero, quale non è vassallo del Signore del richiesto, che debba venire per licita causa a battaglia di oltranza con lui et di tale sottomesso ne ha notitia il Signore, il quale chiamato il suo vassallo, convitato et citato a battaglia, per imperio gli comandò non debba tal sottomessa accettare, perchè essendo suo vassallo ha nelli suoi bisogni la sua persona operare: dicida tal caso chi sa se tale iscusa possa il richiesto iscusare: & potriasi per causa di dubitatione dire la persona del vassallo esser prima obligata al proprio Signore che ad altro; & secondo la legge civile il Principe è Signore della persona del vassallo & stando questo proposito si potria dire, non accettando il sottomesso, essere iscusato & lo impedimento del Signore essere in ciò sufficiente; per contraria opinione si potria decidere che un armigero è prima obligato all’honor proprio, ch’al Signore & niuna obliganza intender si debbe contra l’honore del vassallo. Et che ‘l sia vero, vuole la legge che ‘l vassallo non debbe preferire la vita & l’honore del Signore alla vita et honor suo, et il vassallo è tenuto alle cose honeste et possibile al Signore: & questa saria cosa inhonesta et impossibile fare, contra lo proprio honore et, a quello satisfatto, le altre obligationi dovute al Signore seguono; et se niuna obliganza impacciasse il suo honore, non lo costringe ad osservatione da sè; in ciò regola della obligatione del vassallo al Signore esser solo in sei casi obligato et niuno delli sei è distrigato; questo, ante di sopra, si dà notitia vera, non esser tenuto, per campione, combattere il vassallo per il Signore in alcuni casi, & questa è la vera dichiaratione di tale caso per conservare l’honore dell’armigero, distinguendo in ciò. Se ‘l richiesto havesse feudo dal Signore, al qual servigio di persona fosse obligato prestare, di seguirlo nella guerra sotto giuramento, dove, essendo in atto di guerra il Signore, debbe il vassallo seguire il Signore & finita la guerra debbe accettare il guanto della battaglia & rispondere al requisitore sopra la querela; obstaria lo impedimento preditto se non fosse data la giornata & del campo & in quello tempo la guerra del Signore sopravenisse: di ciò si darà notitia nel libro di quelli che sono venuti in battaglia & dapoi alla propria fede rilasciati.
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| '''Cap. 217. Dove si tratta in che caso può el Signore schifare la battaglia con lo suddito.'''
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| '''Capitulo [75] dove se tracta se un diffida[!] un vassallo de un signore se deve essere punito per lo signore'''
Nel presente capitolo si descrive et dimostra esser la battaglia da persona a persona licita tra il Signore e ‘l suo vassallo, quando il suddito, appartenendosi havere havuta alcuna ingiuria dal suo Signore d’infidelità, tanto per cagion di donna quanto per infamia ingiustamente opposta all’honor suo, dove congregano giustitia richiedendolo, non potria il Signore tal duello schifare, chè non accettando il combattere restaria con infamia, et offerendo ancora il campione non saria della battaglia assoluto; per ben che ‘l Signore in alcuni altri casi col vassallo potesse combattere per campione, in caso d’infideltà è tenuto con la propria persona farlo: & questo avviene per la causa forte della infideltà, alla quale il suddito si fonda, come che la infideltà è vincolo comune da osservare, tanto per il suddito al Signore, quanto per il Signore al vassallo & in questo non gli è superiorità, come sia una fideltà con essa & non più, comprendendo ancora in questo caso la querella, quale d’infideltà dasse il Signore al vassallo, dove per salvatione dell’honore suo il vassallo potria dire non essere il vero et volere sopra di ciò combattere da persona a persona: in defetto de provocatore, il Signore non pò dare campione, anzi la battaglia è la prova e non se può schifare; & in tal sententia per prova della iustitia si trova messer Andrea de Isernia allo Libro dalli feudi et lo testo de li feudi chiaramente decide: chiamando la fidelità ritenuta dal Signore al vassallo, non si possere schifare la personal battaglia quando violata fusse la fidelità debita fra loro.
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| '''Capitulo [76] dove se tracta se dui cavalieri in dui capise diffidano[!] fora lo exercito sese devevo punire.'''
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| '''Capitulo [77] dove se tracta in che caso lo signore e tenuto conbactere con lo vassallo.'''
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| '''Capitulo [78] dove se tracta de dui inimici che fero pacese venendo ad nova querela de bactaglia se rompe la pace.'''
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| '''Capitulo [79] dove se tracta de uno che p{{dec|u|ro}}mese fare desdire unaltro socte una pena se non observa{{dec|u|n}}do se povenire ad bactaglia.'''
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| '''Capitulo [80] dove se tracta si una donna po conbactere o personalemente o per canpione.'''
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| '''Capitulo [81] dove se tracta se uno figliolo acepta bactagliaa con unaltro se per lo patre po essere p{{dec|u|ro}}hibito.'''
 
| '''Cap. 218. Se domanda se uno figliuolo accetta battaglia con uno altro, se per lo padre può essere prohibito.'''
 
| '''Cap. 218. Se domanda se uno figliuolo accetta battaglia con uno altro, se per lo padre può essere prohibito.'''
 
Seguita di intendere se uno figliuolo di uno gentile huomo ha cagione di battaglia con un altro armigero & data la disfida, eletto il iudice & arme & venuti per intrare in el campo, il padre prohibisse la battaglia, allegando il figliuolo non posser venire a tale battaglia senza sua licentia, nè possere intrare in tal iudicio d’arme senza sua volontà per la paterna potestà, al quale lo figliuolo summesso: se domanda se tal prohibitione habbia impedire, la battaglia non se faccia: decidere de non, attento che la militia fu prima che la patria potestà & primo furno le battaglie che la legie civile, che trovare la paterna potestà, dando in ciò pena di punitione al padre che subtraherà il figliolo dalla guerra della repubblica & questo in tempo di guerra; se in tempo di pace la frustra publica e la pena; & consentendo in ciò, lo figliuolo serà deposto a più inferiore grado che non si trova condutto & ancora il padre serà punito quando debilitarà il figliuolo per fraude: acciocchè alla giornata della battaglia publica non se trova in pericolo, reputando le legie, il figliuolo exercitando le arme per padre di famiglia, e non essere scritto allo vincolo della paterna potestà, anzi possere ad oltranza combattere, quale il padre non può impedire, come lo proprio honore si è più obligatione che la paterna potestà: questa è sententia dello Imperatore, dove scrive de l’arte militare.
 
Seguita di intendere se uno figliuolo di uno gentile huomo ha cagione di battaglia con un altro armigero & data la disfida, eletto il iudice & arme & venuti per intrare in el campo, il padre prohibisse la battaglia, allegando il figliuolo non posser venire a tale battaglia senza sua licentia, nè possere intrare in tal iudicio d’arme senza sua volontà per la paterna potestà, al quale lo figliuolo summesso: se domanda se tal prohibitione habbia impedire, la battaglia non se faccia: decidere de non, attento che la militia fu prima che la patria potestà & primo furno le battaglie che la legie civile, che trovare la paterna potestà, dando in ciò pena di punitione al padre che subtraherà il figliolo dalla guerra della repubblica & questo in tempo di guerra; se in tempo di pace la frustra publica e la pena; & consentendo in ciò, lo figliuolo serà deposto a più inferiore grado che non si trova condutto & ancora il padre serà punito quando debilitarà il figliuolo per fraude: acciocchè alla giornata della battaglia publica non se trova in pericolo, reputando le legie, il figliuolo exercitando le arme per padre di famiglia, e non essere scritto allo vincolo della paterna potestà, anzi possere ad oltranza combattere, quale il padre non può impedire, come lo proprio honore si è più obligatione che la paterna potestà: questa è sententia dello Imperatore, dove scrive de l’arte militare.
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| '''Capitulo [82] dove se tracta de uno che iniuria nnaltro & laltro propulsa la iniuria sese po venire ad bactaglia.'''
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| '''Capitulo [83] dove se tracta i{{dec|u|n}} che caso po el signore schifare bactaglia con lo sudito.'''
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| '''Cap. 217. Dove si tratta in che caso può el Signore schifare la battaglia con lo suddito.'''
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Nel presente capitolo si descrive et dimostra esser la battaglia da persona a persona licita tra il Signore e ‘l suo vassallo, quando il suddito, appartenendosi havere havuta alcuna ingiuria dal suo Signore d’infidelità, tanto per cagion di donna quanto per infamia ingiustamente opposta all’honor suo, dove congregano giustitia richiedendolo, non potria il Signore tal duello schifare, chè non accettando il combattere restaria con infamia, et offerendo ancora il campione non saria della battaglia assoluto; per ben che ‘l Signore in alcuni altri casi col vassallo potesse combattere per campione, in caso d’infideltà è tenuto con la propria persona farlo: & questo avviene per la causa forte della infideltà, alla quale il suddito si fonda, come che la infideltà è vincolo comune da osservare, tanto per il suddito al Signore, quanto per il Signore al vassallo & in questo non gli è superiorità, come sia una fideltà con essa & non più, comprendendo ancora in questo caso la querella, quale d’infideltà dasse il Signore al vassallo, dove per salvatione dell’honore suo il vassallo potria dire non essere il vero et volere sopra di ciò combattere da persona a persona: in defetto de provocatore, il Signore non pò dare campione, anzi la battaglia è la prova e non se può schifare; & in tal sententia per prova della iustitia si trova messer Andrea de Isernia allo Libro dalli feudi et lo testo de li feudi chiaramente decide: chiamando la fidelità ritenuta dal Signore al vassallo, non si possere schifare la personal battaglia quando violata fusse la fidelità debita fra loro.
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| '''Capitulo [84] dove se tracta in che caso un iniuriato po venire ad bactaglia.'''
 
| '''Cap. 219. Dove si tratta in che caso uno ingiuriato può venire a gli cimenti del combattere.'''
 
| '''Cap. 219. Dove si tratta in che caso uno ingiuriato può venire a gli cimenti del combattere.'''
 
Appresso è da intendere un altro sottile e nobile caso, da essere per martiali strenui bene esaminato: vengano dui armigeri a parole ingiuriose & l’uno senza intervaglio, irato, dice a l’altro «tu sei uno traditore», l’altro risponde «io sostenerò con la spada in mano che non sono traditore», l’altro risponde e dice «come sostenerai tale causa, perchè uno traditore a battaglia non debbe venire con uno quale è netto et leale?»; dico adunque per definire tal dubio che non costando in pronto del fallimento del armigero, non si può negare la battaglia, perchè volendo iustificare la querella, de non esser traditore che con le arme in mano non possa iustificare lo suo honore; & se lo ingiuriante dicesse «io provarò per legittimi testimonij tu essere traditore» & non iustificare con prove, se debbe venire a battaglia, baldanzosamente poi dire «tu mi chiamasti traditore & non hai provato: te voglio con la spada mostrare el contrario». Ma se venuto da ira, chiamato dallo avversario traditore, respondessi «tu menti per la gola quante volte ardirai chiamarmi traditore», per queste parole è propasata la ingiuria & non è loco del combattere; con questa sententia M. Andrea de Isernia allo Libro delli pheudi fa differentia de dire «tu sei traditore» & non dire «tu fusti traditore», perchè potria dal suo principe essere stato restituito lo honore & tolto el mancamento del passato tradimento; & potria lo ingiuriato dire «fui restituito alla fama & fume perdonato el mancamento» & tale ingiuriante, dapoi la remissione, saria tenuto ad ingiuria per la legge Imperiale, che vuole che dopo la remissione non possi essere più traditore e pò dare el segno della battaglia quando ditto li fusse traditore, essendo dal principe restituito al prestino honore et debbe essere amesso e non dispresiato; et se l’uno l’altro offendesse, l’altro, senza disfidare, seria traditore & gli seria negata la presentia del principe e d’ogni compagno de bon cavaliero & se possedesse per feudo, el Signore per tale mancamento, come mancatore delo honore, iustamente lo potria privare, secondo che scrive Andrea d’Isernia sopraditto.
 
Appresso è da intendere un altro sottile e nobile caso, da essere per martiali strenui bene esaminato: vengano dui armigeri a parole ingiuriose & l’uno senza intervaglio, irato, dice a l’altro «tu sei uno traditore», l’altro risponde «io sostenerò con la spada in mano che non sono traditore», l’altro risponde e dice «come sostenerai tale causa, perchè uno traditore a battaglia non debbe venire con uno quale è netto et leale?»; dico adunque per definire tal dubio che non costando in pronto del fallimento del armigero, non si può negare la battaglia, perchè volendo iustificare la querella, de non esser traditore che con le arme in mano non possa iustificare lo suo honore; & se lo ingiuriante dicesse «io provarò per legittimi testimonij tu essere traditore» & non iustificare con prove, se debbe venire a battaglia, baldanzosamente poi dire «tu mi chiamasti traditore & non hai provato: te voglio con la spada mostrare el contrario». Ma se venuto da ira, chiamato dallo avversario traditore, respondessi «tu menti per la gola quante volte ardirai chiamarmi traditore», per queste parole è propasata la ingiuria & non è loco del combattere; con questa sententia M. Andrea de Isernia allo Libro delli pheudi fa differentia de dire «tu sei traditore» & non dire «tu fusti traditore», perchè potria dal suo principe essere stato restituito lo honore & tolto el mancamento del passato tradimento; & potria lo ingiuriato dire «fui restituito alla fama & fume perdonato el mancamento» & tale ingiuriante, dapoi la remissione, saria tenuto ad ingiuria per la legge Imperiale, che vuole che dopo la remissione non possi essere più traditore e pò dare el segno della battaglia quando ditto li fusse traditore, essendo dal principe restituito al prestino honore et debbe essere amesso e non dispresiato; et se l’uno l’altro offendesse, l’altro, senza disfidare, seria traditore & gli seria negata la presentia del principe e d’ogni compagno de bon cavaliero & se possedesse per feudo, el Signore per tale mancamento, come mancatore delo honore, iustamente lo potria privare, secondo che scrive Andrea d’Isernia sopraditto.
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| '''Capitulo [85] dove se tracta se uno po venire con altra querela ad bactaglia.'''
 
| '''Cap. 220. Dove se tratta se uno può venire con altra querella a gli cimenti del combattere.'''
 
| '''Cap. 220. Dove se tratta se uno può venire con altra querella a gli cimenti del combattere.'''
 
E gli è uno altro caso: è ancora da decidere de dui armigeri cavallieri con querella a tutta oltranza combatteno da corpo a corpo & in loro battaglia l’uno se desdice, quale desditto move altra querella contra un altro armigero dapoi del suo desdire, se per tale mancamento de essere una volta desditto, può esser recusato: & secondo ch’è stato da estrenui cavalieri referito, per la macula essere fino alla morte infamato & non può venire più a battaglia con alcuno altro armigero cavalliero, come periuro e desditto; come alla militare cavalleria sia religione da non privaricare, tra li altri precetti che se recercano in essa, quando se vene da corpo a corpo al combattere se dà giuramento, non per una fama o calunnia combattere, anzi per sostenere l’honore e la verità senza calunniare: questa medesima sententia approvano le leggi Civili, quale dicano ch’el condannato de calunnia non debbe ad altra escusatione essere amesso, salvo se per propria offesa volesse accusare o fosse delitto contra del Re o de soi officiali, donde la constitutione de Federico II Imperatore determina lo vinto, o del ditto non debbe, siando provocatore, combattere ad oltranza più essere accettato, ma essendo provocato uno se potria, dapoi che fusse richiesto, reprobare; ma volendo per amore vodo o impresa combattere, in tale caso cessaria la sua desditta: anchora che mille battaglie havesse perse, sempre el tornare a combattere non li seria denegato, non essendo niuna a tutta oltranza; qual più difusa dichiaratione se intende a dui altri Capitoli in lo presente libro tocato.
 
E gli è uno altro caso: è ancora da decidere de dui armigeri cavallieri con querella a tutta oltranza combatteno da corpo a corpo & in loro battaglia l’uno se desdice, quale desditto move altra querella contra un altro armigero dapoi del suo desdire, se per tale mancamento de essere una volta desditto, può esser recusato: & secondo ch’è stato da estrenui cavalieri referito, per la macula essere fino alla morte infamato & non può venire più a battaglia con alcuno altro armigero cavalliero, come periuro e desditto; come alla militare cavalleria sia religione da non privaricare, tra li altri precetti che se recercano in essa, quando se vene da corpo a corpo al combattere se dà giuramento, non per una fama o calunnia combattere, anzi per sostenere l’honore e la verità senza calunniare: questa medesima sententia approvano le leggi Civili, quale dicano ch’el condannato de calunnia non debbe ad altra escusatione essere amesso, salvo se per propria offesa volesse accusare o fosse delitto contra del Re o de soi officiali, donde la constitutione de Federico II Imperatore determina lo vinto, o del ditto non debbe, siando provocatore, combattere ad oltranza più essere accettato, ma essendo provocato uno se potria, dapoi che fusse richiesto, reprobare; ma volendo per amore vodo o impresa combattere, in tale caso cessaria la sua desditta: anchora che mille battaglie havesse perse, sempre el tornare a combattere non li seria denegato, non essendo niuna a tutta oltranza; qual più difusa dichiaratione se intende a dui altri Capitoli in lo presente libro tocato.
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| '''Capitulo [86] dove se tracta se uno p{{dec|u|ro}}vocato po motari querela.'''
 
| '''Cap. 221. Dov’è il modo da sapere se uno provocato può mutare querella.'''
 
| '''Cap. 221. Dov’è il modo da sapere se uno provocato può mutare querella.'''
 
Più, uno gentile huomo ha mandato el guanto de battaglia & el richiesto accetta el combattere & la querella & fermati su quella i Capitoli, il requisitore muta querella, dicendo che ha commesso altro delitto el richiesto, se tal querella se può mutare, stando lo richiesto fermo alla prima, come dire «io satisfarò la prima & de l’altra appresso»: se intenderà per nui sta adoncha fermo; el stile militaro comanda non doverse la prima mutare & però se dà el segno per fermezza de seguire el proposito del richiesto; e questo fecero li Romani vitoriosi, che stavano fermi in loro propositi, ancora che potria essere el richiesto alla prima havere iustitia & della seconda dubitare; dando intervallo de tempo, ancora alla seconda, con dire «io ho deliberato sopra l’altra: renontia, tu adoncha, la prima e datte per senza iustitia» & renunciata la prima per lo requisitore, dando allo richiesto iustitia & cercandolo de la seconda, iustamente potrà respondere el richiesto e dire «tu non sei degno de battaglia come calunniatore & havendo ingannato una volta, per innanzi de calunniare non haverai conscientia del provocatore, adoncha tu è indegno, non debbi commovere nè a combattere, essendo come sei nodaro falsario & iniquo calunniatore, secondo la prima tua disditta dimostra»; ancora che le leggi Civili dicano che non contrariando l’una richiesta a l’altra, se potesse la seconda sostenire & toglierla con la prima, massimamente se da parola in parola se venisse alle ingiurie, quale se facesse fondamento de iusta querella per una delle parte & se dicesse sopra, cioè «te voglio sostenire renuntiando la prima sottomessa, quale non fusse o molto dubia o iusta».
 
Più, uno gentile huomo ha mandato el guanto de battaglia & el richiesto accetta el combattere & la querella & fermati su quella i Capitoli, il requisitore muta querella, dicendo che ha commesso altro delitto el richiesto, se tal querella se può mutare, stando lo richiesto fermo alla prima, come dire «io satisfarò la prima & de l’altra appresso»: se intenderà per nui sta adoncha fermo; el stile militaro comanda non doverse la prima mutare & però se dà el segno per fermezza de seguire el proposito del richiesto; e questo fecero li Romani vitoriosi, che stavano fermi in loro propositi, ancora che potria essere el richiesto alla prima havere iustitia & della seconda dubitare; dando intervallo de tempo, ancora alla seconda, con dire «io ho deliberato sopra l’altra: renontia, tu adoncha, la prima e datte per senza iustitia» & renunciata la prima per lo requisitore, dando allo richiesto iustitia & cercandolo de la seconda, iustamente potrà respondere el richiesto e dire «tu non sei degno de battaglia come calunniatore & havendo ingannato una volta, per innanzi de calunniare non haverai conscientia del provocatore, adoncha tu è indegno, non debbi commovere nè a combattere, essendo come sei nodaro falsario & iniquo calunniatore, secondo la prima tua disditta dimostra»; ancora che le leggi Civili dicano che non contrariando l’una richiesta a l’altra, se potesse la seconda sostenire & toglierla con la prima, massimamente se da parola in parola se venisse alle ingiurie, quale se facesse fondamento de iusta querella per una delle parte & se dicesse sopra, cioè «te voglio sostenire renuntiando la prima sottomessa, quale non fusse o molto dubia o iusta».
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| '''Capitulo [87] dove se tracta in che caso per iniurie se vene ad bactaglia.'''
 
| '''Cap. 222. In che caso per ingiuria se viene a gli cimenti del combattere.'''
 
| '''Cap. 222. In che caso per ingiuria se viene a gli cimenti del combattere.'''
 
Che diremo ancora: uno ad un altro dirà «tu sei ruffiano, traditore da mille forche» e l’ingiuriato risponde «tu menti per la gola» o per più honestamente parlare dirà «quello che tu dici, tu dici falsamente». Se dimanda se in questo caso se dee venire al combattere; e certamente se determina che non, perchè quello che ha audita la ingiuria ha satisfatto lo suo honore, dismettendolo di quello che lui lo ingiuriava, facendolo restare per mentitore & non serà ingiuria, anzi serà di quello che prima la disse, tacendo compensatione dello mentire & dello dire ingiuria tra loro che fa rimanire el combattere, e ancora che lo ingiuriato primo respondesse con debita reverentia «tu menti, chè io non son ruffiano, o vero non ho el mancamento delle ingiurie le quale tu me dici»; e questo è sententia de Dino de Mongelo e ancora de Bartholo, principe de lege Civile, concludendo essere magiore ingiuria el mentire ch’el tacere la verità & salvo se dicesse lo ingiuriato «tu menti» chè se in verità mentirà, non è ingiuriato & seralli grande satisfatione dagando: cioè esemplo che el mentitor è umiliato a uno ladrone, secondo la legge Iustiniana, dando in ciò ancora debita satisfatione allo ingiuriato quando dicesse «tu dici el falso, o vero non dici el vero» e di questo resta satisfatto in lo conspetto de persone grande & de autorità; ma s’el primo ingiuriato è chiamato traditore & risponde allo ingiuriante «tu sei traditore, falsario, ladro, assassino, ruffiano, homicidiario», dandoli de molti e molti mancamenti allo primo ingiuriante, per havere detto più ingiurie & transgresso el modo de la defensione de la prima ingiuria, lo primo ingiuriante, se volesse venire per ciò a battaglia per quello, secondo la opinione de alcuni, non se pò negare el combattere, perchè da poi la satisfatione fatta per resposta che lui era lo traditore, accumulando & passando lo modo, lo impropriò falsario, ladro e ruffiano, come ditto è di sopra; ma la mia sententia seria non si debbe venire al combattere, perchè sempre se dà tutta la colpa al mentitore & a quello che fa li primi desordini de ingiuria & queste inexcesse ingiurie sono resposte fatte per lo provocato ad ira & dolore & è autorità dello Speculatore ch’el provocato sia escusato.
 
Che diremo ancora: uno ad un altro dirà «tu sei ruffiano, traditore da mille forche» e l’ingiuriato risponde «tu menti per la gola» o per più honestamente parlare dirà «quello che tu dici, tu dici falsamente». Se dimanda se in questo caso se dee venire al combattere; e certamente se determina che non, perchè quello che ha audita la ingiuria ha satisfatto lo suo honore, dismettendolo di quello che lui lo ingiuriava, facendolo restare per mentitore & non serà ingiuria, anzi serà di quello che prima la disse, tacendo compensatione dello mentire & dello dire ingiuria tra loro che fa rimanire el combattere, e ancora che lo ingiuriato primo respondesse con debita reverentia «tu menti, chè io non son ruffiano, o vero non ho el mancamento delle ingiurie le quale tu me dici»; e questo è sententia de Dino de Mongelo e ancora de Bartholo, principe de lege Civile, concludendo essere magiore ingiuria el mentire ch’el tacere la verità & salvo se dicesse lo ingiuriato «tu menti» chè se in verità mentirà, non è ingiuriato & seralli grande satisfatione dagando: cioè esemplo che el mentitor è umiliato a uno ladrone, secondo la legge Iustiniana, dando in ciò ancora debita satisfatione allo ingiuriato quando dicesse «tu dici el falso, o vero non dici el vero» e di questo resta satisfatto in lo conspetto de persone grande & de autorità; ma s’el primo ingiuriato è chiamato traditore & risponde allo ingiuriante «tu sei traditore, falsario, ladro, assassino, ruffiano, homicidiario», dandoli de molti e molti mancamenti allo primo ingiuriante, per havere detto più ingiurie & transgresso el modo de la defensione de la prima ingiuria, lo primo ingiuriante, se volesse venire per ciò a battaglia per quello, secondo la opinione de alcuni, non se pò negare el combattere, perchè da poi la satisfatione fatta per resposta che lui era lo traditore, accumulando & passando lo modo, lo impropriò falsario, ladro e ruffiano, come ditto è di sopra; ma la mia sententia seria non si debbe venire al combattere, perchè sempre se dà tutta la colpa al mentitore & a quello che fa li primi desordini de ingiuria & queste inexcesse ingiurie sono resposte fatte per lo provocato ad ira & dolore & è autorità dello Speculatore ch’el provocato sia escusato.
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| '''Capitulo [88] dove se trova se uno iniuriato deverdate po venire ad bactaglia.'''
 
| '''Cap. 223. Se uno ingiuriato di verità può venire a gli cimenti del combattere.'''
 
| '''Cap. 223. Se uno ingiuriato di verità può venire a gli cimenti del combattere.'''
 
Chi darà retto & sano iudicio in questo caso, degno de essere letto da chi harà honore, del certo bisogna essere de ogni parte, nè per misericordia, ira, invidia debbe sententiare; il caso è questo: uno chiama un altro «bastardo, mitriato notato contra i comandamenti della Ecclesia, falsario che committesse tale mancamento, tu sei zoppo, cieco & senza madre certa!», se queste ingiurie fusseno vere, se l’ingiuriato de tal ingiurie, conoscendole vere, potrà venire alli effetti con lui, stando la ingiuria vera; scritto è di sopra il combattere per religione della militia procedere, da difendere la verità & conservare la fama & la disciplina militare, nè per una fama a quella doverse venire. Adoncha qui è da distinguere ogni parte de tal querella, cioè s’el provocante ha processo a tale ingiurie, anchora che vere siano, con animo de ingiuriare o con animo de se guardare l’honore, non con volere però impire a tale vilania senza causa: se con animo de ingiuriare è loco del combattere, secondo la lege civile, e la ragione è questa, che stando per verità lui essere tale quale ingiurie dimostrano, non però apartene a boni armigeri a ingiuriare altro senza cagione, come che la humanità questo non ricerca, anzi coprire li defetti altrui quanto se può, non essendo interesso a chi le copre; e anchora che la dispositione de lege tale combattere a l’ingiuriato fosse concesso, non dovere intrare in el campo l’ingiuriato, perchè intrando seria la sua difesa senza iustitia, volendo defendere falsa, & se pure, baldanzoso, el provocato volesse de tale legge godere, se debbe procedere a eleggere el campo, arme e iudice & ogni altra particularità, secondo de sopra è narrato; e venuti davanti el iudice, debbe lo iudicante in ciò essere discreto & non dare el campo nè fare seguire el combattere & questo anchora che conosca havere fatto grande disonestà, el provocatore ingiuriare el provocato; nondimeno, stando le ingiurie vere, combatteria contra la verità il provocato, ma se solo l’ingiuriante sopragiungendo dicesse «io non ho voluto ingiuriare te, ma perchè de la republica li defetti de li huomini fusseno manifestati, acciò non vengano a dignità et siano fraudati li boni», in contrario, respondendo lo ingiuriato «io te provarò come non per tale cosa, anzi per me fare infame & chè altri sapesseno quello che tu solo di me sentivi, ingiuriasti», replicante lo ingiuriante, non obstante tale resposta, essere iusto lui havere ditte le ingiurie de sopra scritte, sì pare possere venire a combattere da corpo a corpo ad oltranza; el contrario se decide che, attento, la iustitia è certa in tale caso e non incerta, & solo l’ingiuriante rispondendo «io non l’ho ditto ad ingiuria» è sofficiente satisfattione tal scusa; et conoscendo el difetto suo lo ingiuriato doveria essere satisfatto, anchora che de ciò non fusse contento, per ben che la legge verrà a uno bastardo essere ditto el suo nome & così a uno mitriato o ad uno cieco o falsario per dirli ingiuria, salvo che se per suo interesse lo dicesse ad non perdere la persona o li beni per quello de la republica, chè tali defetti siano manifestati & non vengano ad acquistare beneficij, magistrati & altre dignità, chè tale manifestatione de defetti è licita, secondo Bartholo vole; e se per ingiuria se dicesse, el combattere è da denegare, come più tosto a vendetta che a manifestatione della verità seria la querella, come uno ismemorato conosce; et se lo ingiuriato cercasse desditta non seria admettere, come che contra de la verità se desdirà e non potria dire «io ho ditto el falso», chè menteria et de tale desdire in ultimi capitoli del presente libro più difusamente se tratta.
 
Chi darà retto & sano iudicio in questo caso, degno de essere letto da chi harà honore, del certo bisogna essere de ogni parte, nè per misericordia, ira, invidia debbe sententiare; il caso è questo: uno chiama un altro «bastardo, mitriato notato contra i comandamenti della Ecclesia, falsario che committesse tale mancamento, tu sei zoppo, cieco & senza madre certa!», se queste ingiurie fusseno vere, se l’ingiuriato de tal ingiurie, conoscendole vere, potrà venire alli effetti con lui, stando la ingiuria vera; scritto è di sopra il combattere per religione della militia procedere, da difendere la verità & conservare la fama & la disciplina militare, nè per una fama a quella doverse venire. Adoncha qui è da distinguere ogni parte de tal querella, cioè s’el provocante ha processo a tale ingiurie, anchora che vere siano, con animo de ingiuriare o con animo de se guardare l’honore, non con volere però impire a tale vilania senza causa: se con animo de ingiuriare è loco del combattere, secondo la lege civile, e la ragione è questa, che stando per verità lui essere tale quale ingiurie dimostrano, non però apartene a boni armigeri a ingiuriare altro senza cagione, come che la humanità questo non ricerca, anzi coprire li defetti altrui quanto se può, non essendo interesso a chi le copre; e anchora che la dispositione de lege tale combattere a l’ingiuriato fosse concesso, non dovere intrare in el campo l’ingiuriato, perchè intrando seria la sua difesa senza iustitia, volendo defendere falsa, & se pure, baldanzoso, el provocato volesse de tale legge godere, se debbe procedere a eleggere el campo, arme e iudice & ogni altra particularità, secondo de sopra è narrato; e venuti davanti el iudice, debbe lo iudicante in ciò essere discreto & non dare el campo nè fare seguire el combattere & questo anchora che conosca havere fatto grande disonestà, el provocatore ingiuriare el provocato; nondimeno, stando le ingiurie vere, combatteria contra la verità il provocato, ma se solo l’ingiuriante sopragiungendo dicesse «io non ho voluto ingiuriare te, ma perchè de la republica li defetti de li huomini fusseno manifestati, acciò non vengano a dignità et siano fraudati li boni», in contrario, respondendo lo ingiuriato «io te provarò come non per tale cosa, anzi per me fare infame & chè altri sapesseno quello che tu solo di me sentivi, ingiuriasti», replicante lo ingiuriante, non obstante tale resposta, essere iusto lui havere ditte le ingiurie de sopra scritte, sì pare possere venire a combattere da corpo a corpo ad oltranza; el contrario se decide che, attento, la iustitia è certa in tale caso e non incerta, & solo l’ingiuriante rispondendo «io non l’ho ditto ad ingiuria» è sofficiente satisfattione tal scusa; et conoscendo el difetto suo lo ingiuriato doveria essere satisfatto, anchora che de ciò non fusse contento, per ben che la legge verrà a uno bastardo essere ditto el suo nome & così a uno mitriato o ad uno cieco o falsario per dirli ingiuria, salvo che se per suo interesse lo dicesse ad non perdere la persona o li beni per quello de la republica, chè tali defetti siano manifestati & non vengano ad acquistare beneficij, magistrati & altre dignità, chè tale manifestatione de defetti è licita, secondo Bartholo vole; e se per ingiuria se dicesse, el combattere è da denegare, come più tosto a vendetta che a manifestatione della verità seria la querella, come uno ismemorato conosce; et se lo ingiuriato cercasse desditta non seria admettere, come che contra de la verità se desdirà e non potria dire «io ho ditto el falso», chè menteria et de tale desdire in ultimi capitoli del presente libro più difusamente se tratta.
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| '''Capitulo [89] dove se tracta che e dafare se non se trova el requesto ad bactaglia.'''
 
| '''Cap. 224. Che cosa è da fare se non se trova el richiesto al combattere.'''
 
| '''Cap. 224. Che cosa è da fare se non se trova el richiesto al combattere.'''
 
Fu domandato da uno solenne et strenuo cavaliere: per uno gentile huomo fu mandato el guanto de battaglia a uno altro per offesa et iusta querela: colui al quale lo accettare era in potere se privò de la vista delli homini, donde lo Araldo o Trombetta per l’absentia del ditto non potesse appresentare la desfida: se domanda che doverà fare lo Araldo per possere seguire la sua commissione prima; ho visto de molti libri, havuta bona consultatione, così determinai che s’el guanto è mandato in un campo dove lo richiesto se governa per lo Capitano generale, overo ch’è sotto dominio de Principe, Re o altro Signore, in Città o Castello, nel campo, attendato quello che esso cerca da parte del provocante et non si trova, debbe lo Araldo al Duca dello esercito manifestare la sottomessa & domandar licentia al ditto Duca, over altro superior, de srechiedere il Cavalliere nascoso, quale presso al suo Padiglione alla guardia del Capitano tale sottomessa sarà nota; et ancora a la Piazza del Campo et dove tutti li buoni armigeri convengano fare tale ambasciata manifesta, et se in Città essendo Cortesano, alla Corte del Signore o al Castello o in ogni parte, dove ragionevolmente possesse tale richiesto intendere, divulgare, pigliando in ciò notari e iudicij et sufficiente cautella della diligentia et richiesta per lui operata & facialo intimare per editte et altre solennità: non rispondendo, questa sententia saria la decisione del caso, quale intenderete nel sequente capitolo.
 
Fu domandato da uno solenne et strenuo cavaliere: per uno gentile huomo fu mandato el guanto de battaglia a uno altro per offesa et iusta querela: colui al quale lo accettare era in potere se privò de la vista delli homini, donde lo Araldo o Trombetta per l’absentia del ditto non potesse appresentare la desfida: se domanda che doverà fare lo Araldo per possere seguire la sua commissione prima; ho visto de molti libri, havuta bona consultatione, così determinai che s’el guanto è mandato in un campo dove lo richiesto se governa per lo Capitano generale, overo ch’è sotto dominio de Principe, Re o altro Signore, in Città o Castello, nel campo, attendato quello che esso cerca da parte del provocante et non si trova, debbe lo Araldo al Duca dello esercito manifestare la sottomessa & domandar licentia al ditto Duca, over altro superior, de srechiedere il Cavalliere nascoso, quale presso al suo Padiglione alla guardia del Capitano tale sottomessa sarà nota; et ancora a la Piazza del Campo et dove tutti li buoni armigeri convengano fare tale ambasciata manifesta, et se in Città essendo Cortesano, alla Corte del Signore o al Castello o in ogni parte, dove ragionevolmente possesse tale richiesto intendere, divulgare, pigliando in ciò notari e iudicij et sufficiente cautella della diligentia et richiesta per lui operata & facialo intimare per editte et altre solennità: non rispondendo, questa sententia saria la decisione del caso, quale intenderete nel sequente capitolo.
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| '''Capitulo [90] dove se tracta dela medesma cautela.'''
 
| '''Cap. 225. Questa si tratta della medesima cautella.'''
 
| '''Cap. 225. Questa si tratta della medesima cautella.'''
 
Pote ragionevolmente quello Cavaliero che tale disfida di battaglia ha mandato a quello gentile huomo, con iusta querella & causa ragionevole disfidato, che occultando non responde & fuge il combattere non accettando & stando ascoso, merita, secondo il ditto di bono guerriero, procedere, secondo il stile da armigeri, fuora di ogni passione, chè operando tal nascondimento senza ragione o causa per la quale ragionevolmente se possesse defensare o, excusato per provocatore, chè il iudice admettesse la sua petitione, potrà il requisitore procedere al dipingere il richiesto, rivoltando ancora le sue arme in vilipendio suo & più oltregiandolo; essendo lo arbitrio del richiesto elegere il iudice, arme & campo, potrà lo requisitore, in contumacia sua, elegere iudice, arme et campo, bandendolo per codardo & huomo senza honore & convinto & confesso del delitto, quale era stato causa del combattere, per darli fastidio & rincrescimento, acciò comparendo accetti battaglia; quale cautella usata per lo requisitore, serà causa tra Cavalieri di fama farlo reputare codardo et huomo fuora de honore et de esso sarà fatto iudicio che non bastando defendere el suo honore non serà sufficiente defendere, al bisogno, il suo Signore, nè ancora sua patria o republica, essendo necessario. Questa sententia di legge Civile Vegetio conferma essere da Cavalieri inviolabilmente per lo honore, la morte non stimare ancora per salvare et defendere la sua republica et chi non stima il suo honore debbe essere tenuto huomo de repulsa et senza honore. Hieronomo, savio dottore, conferma questo, dicendo che uno armigero debbe cercare la cagione de mostrare la sua virtù militare, per venire ad acquistare fama & habiando ferite in le battaglie sono loro ornamenti, sia quale si voglia fingendo infermità & esilio e nascondimento nel bisogno, la legge Civile li dà punitione quando lo facesse per non esercitare la disciplina militare dove la necessità lo ricercasse, referendo Grimaldo, Cavaliere Romano, el quale ne l’hora delle bataglie fingeva infirmità & fu però come transfuga condennato; & son li codardi armigeri reputati morti in seculo & la faza de loro Signore non sono degni reguardare come vili codardi & senza animo, fama, honore, facendo comparatione come i morti; per la repubblica o per loro Signore & loro honore e fama e virtù morendo, sono vivi, per gloria reputati magnanimi & immortali; così questi tali mancatori de loro honore, vivendo, morti & non nati sono estimati, adducendo al mio proposito, Livio, sommo storiografo, al libro settimo Ab urbe condita, recitante Tito Mallio, cavaliere nobilissimo Romano, figliuolo de uno Consule, del quale sopra habbiamo parlato, che essendo di uno Tusculano, inimico de’ Romani provocato ad combattere, lui essendo gagliardo, animoso & sufficiente per satisfare al suo honore e non indusiare, accettò il campo senza licentia del Consule, non recordando dello Imperio paterno per la presta risposta a satisfare a lo honore del populo Romano, dove, habbiando vedutto la vittoria del nimico provocatore, le sucese la inhumana e severa morte: fu decapitato dal padre per havere prevaricato il precetto Consulare & paterno, quale non haveva accettare battaglia senza sua licentia: fu Tito Mallio più geloso de l’honore che della vita & più veloce rispose et presto con pericolo della persona che tacendo et vivendo havesse al suo honore mancato. O felice morte, che a Tito Mallio sei eterna vita, se dirà i spiriti gentili essere stata animosità al defendere del honore et la morte non curare! Questo è ditto per coloro che celandose non hanno causa de occultarse, ma s’el richiesto sentisse il requisitore non essere degno de honore et che fusse indegno & da se reprobare, ancora che non volesse comparire potria respondere «teco non voglio venire al combattere, se hai ragione nessuna: viene dinanzi al mio giudice & io te responderò con dovere»; & potralo dire con iustitia, reducendo al proposito uno detto de Frontino istoriografo, referente uno Cavaliero Todesco, provocante Mario Romano ad combattere da corpo a corpo, al quale Mario respose dirette al Germano Cavaliere se lui è disposto de morire, con uno passo de corda apicandose, se può satisfare, schifando con ragione la battaglia; e questo conferma Plutarco de Ottaviano, quale de Marco Antonio provocato al duello respose «Antonio, ad te son mille vie de morte, non cercare questa»; redutti adunque tali esempli alla dicisione vera, per fare fine dico essere arbitrio del provocato accettare il combattere o quella con colorare & bone rasone schifare, defendendose con i preditti. Augusto e Mario, però non tacendo & facendose fora de la compagnia de bon Cavalier, permettendo de farse bandire, ingiuriare dal provocante, anzi con astutia & colorate ragioni o con la spada iustificare la querella de la ragione vera.
 
Pote ragionevolmente quello Cavaliero che tale disfida di battaglia ha mandato a quello gentile huomo, con iusta querella & causa ragionevole disfidato, che occultando non responde & fuge il combattere non accettando & stando ascoso, merita, secondo il ditto di bono guerriero, procedere, secondo il stile da armigeri, fuora di ogni passione, chè operando tal nascondimento senza ragione o causa per la quale ragionevolmente se possesse defensare o, excusato per provocatore, chè il iudice admettesse la sua petitione, potrà il requisitore procedere al dipingere il richiesto, rivoltando ancora le sue arme in vilipendio suo & più oltregiandolo; essendo lo arbitrio del richiesto elegere il iudice, arme & campo, potrà lo requisitore, in contumacia sua, elegere iudice, arme et campo, bandendolo per codardo & huomo senza honore & convinto & confesso del delitto, quale era stato causa del combattere, per darli fastidio & rincrescimento, acciò comparendo accetti battaglia; quale cautella usata per lo requisitore, serà causa tra Cavalieri di fama farlo reputare codardo et huomo fuora de honore et de esso sarà fatto iudicio che non bastando defendere el suo honore non serà sufficiente defendere, al bisogno, il suo Signore, nè ancora sua patria o republica, essendo necessario. Questa sententia di legge Civile Vegetio conferma essere da Cavalieri inviolabilmente per lo honore, la morte non stimare ancora per salvare et defendere la sua republica et chi non stima il suo honore debbe essere tenuto huomo de repulsa et senza honore. Hieronomo, savio dottore, conferma questo, dicendo che uno armigero debbe cercare la cagione de mostrare la sua virtù militare, per venire ad acquistare fama & habiando ferite in le battaglie sono loro ornamenti, sia quale si voglia fingendo infermità & esilio e nascondimento nel bisogno, la legge Civile li dà punitione quando lo facesse per non esercitare la disciplina militare dove la necessità lo ricercasse, referendo Grimaldo, Cavaliere Romano, el quale ne l’hora delle bataglie fingeva infirmità & fu però come transfuga condennato; & son li codardi armigeri reputati morti in seculo & la faza de loro Signore non sono degni reguardare come vili codardi & senza animo, fama, honore, facendo comparatione come i morti; per la repubblica o per loro Signore & loro honore e fama e virtù morendo, sono vivi, per gloria reputati magnanimi & immortali; così questi tali mancatori de loro honore, vivendo, morti & non nati sono estimati, adducendo al mio proposito, Livio, sommo storiografo, al libro settimo Ab urbe condita, recitante Tito Mallio, cavaliere nobilissimo Romano, figliuolo de uno Consule, del quale sopra habbiamo parlato, che essendo di uno Tusculano, inimico de’ Romani provocato ad combattere, lui essendo gagliardo, animoso & sufficiente per satisfare al suo honore e non indusiare, accettò il campo senza licentia del Consule, non recordando dello Imperio paterno per la presta risposta a satisfare a lo honore del populo Romano, dove, habbiando vedutto la vittoria del nimico provocatore, le sucese la inhumana e severa morte: fu decapitato dal padre per havere prevaricato il precetto Consulare & paterno, quale non haveva accettare battaglia senza sua licentia: fu Tito Mallio più geloso de l’honore che della vita & più veloce rispose et presto con pericolo della persona che tacendo et vivendo havesse al suo honore mancato. O felice morte, che a Tito Mallio sei eterna vita, se dirà i spiriti gentili essere stata animosità al defendere del honore et la morte non curare! Questo è ditto per coloro che celandose non hanno causa de occultarse, ma s’el richiesto sentisse il requisitore non essere degno de honore et che fusse indegno & da se reprobare, ancora che non volesse comparire potria respondere «teco non voglio venire al combattere, se hai ragione nessuna: viene dinanzi al mio giudice & io te responderò con dovere»; & potralo dire con iustitia, reducendo al proposito uno detto de Frontino istoriografo, referente uno Cavaliero Todesco, provocante Mario Romano ad combattere da corpo a corpo, al quale Mario respose dirette al Germano Cavaliere se lui è disposto de morire, con uno passo de corda apicandose, se può satisfare, schifando con ragione la battaglia; e questo conferma Plutarco de Ottaviano, quale de Marco Antonio provocato al duello respose «Antonio, ad te son mille vie de morte, non cercare questa»; redutti adunque tali esempli alla dicisione vera, per fare fine dico essere arbitrio del provocato accettare il combattere o quella con colorare & bone rasone schifare, defendendose con i preditti. Augusto e Mario, però non tacendo & facendose fora de la compagnia de bon Cavalier, permettendo de farse bandire, ingiuriare dal provocante, anzi con astutia & colorate ragioni o con la spada iustificare la querella de la ragione vera.
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| '''Capitulo [91] dove se ttacta[!] se un cavaliere requede un filosofo se e tentuo el filosofo conparare.'''
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| '''Capitulo [92] dove se tracta de cavalieri portante una medesma inpresa ad chi deve remanere et se se po p{{dec|u|er}} tal portare venire a bactaglia.'''
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| '''Capitulo [93] dove setracta como se schifa la bactaglia, contra lo infamatore e como se vene ad quella.'''
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| '''Capitulo [94] dove se tracta in che modo uno che ha iniusta querela po venire ad bactaglia con lo requiditore.'''
 
| '''Cap. 226. Si tratta in che modo uno che ha iniusta querella può venire alli effetti del combattere con lo requisitore.'''
 
| '''Cap. 226. Si tratta in che modo uno che ha iniusta querella può venire alli effetti del combattere con lo requisitore.'''
 
A vera dicisione di tale caso resta di dovere dechiarare la qualità delle parole sopra la quale s’è fondato, li armigeri requisitori & richiesti fondare loro querele per la iustitia & honore delli commilitoni; & per questo volendo dare dottrina utile & vera, dechiararemo con certe, con il quale accadendo il caso se potrà procedere alla disfida del combattere; dico adunque il primo esempio, che se uno armigero chiamerà uno altro traditore, quale haverà commesso tradimento contra lo suo Signore & dapoi lo Principe per sua clementia li haverà perdonato et restituito l’honore et la fama, et sopra ciò un altro armigero lo volesse incargare, chiamandolo traditore del suo signore, senza altra iusta causa, solo per ingiuriare, dico che tale querella e ingiuria seria indebitamente oposto, atento che stante la remisione del signore tal difetto di tradimento s’è purgato; ma se lo ingiuriato vorrà bene dire che la battaglia proceda, debbe dire «tu fusti traditore del tuo signore et se a questo tu vorrai negare io te lo voglio provare con la spada et sostenere come bono armigero»; et più se uno insultarà uno altro con una spada et lo insultato con bastone, donarà del bastone per quella spada et quello che receve le bastonate volesse dire «malamente me hai dato bastonate et contra ogni iustitia», tal ragione non seria bene fondata, però che con iustitia tal bastonate li donò, atento che chi va per dare cortellate e leva bastonate non se ha da lamentare, facendose ad defensione; et più, uno che dirà che sono ruffiano de mia mogliere, quale stando in casa mia se ha lassata maculare da altri, donde io responderò che non è il vero, come che mai hebbe notitia di tale defetto, nè di tale adulterio e se tu vorrai meco combattere, non havendo notitia del mio consentimento dello adulterio, combatterai senza iustitia. Più, se me dirai che io ho fatto le monete false, replicarò non essere la verità, attento che mai le feci, nè le cognosco, et se tu vorrai sostenere che io sia falsatore de moneta non sapendo la veritade, che io habbia fatta, per tanto io dico che haverai iniusta querella; & se me chiamarai traditore, dicendo che io habbia accettato lo ribello del Re & io replicarò non essere veritade, come che io non sapea tale essere in tal mancamento de la lege maiestà, nè seppi mai lui essere traditore, donde se vorrai sostenere che io non habbia notitia non constando della verità, & tu combatterai senza iusta querella & potria se difensare con iustitia; & più se me provocarai ad ingiuria, dicendome bastardo et replicarò non essere così, chè io son legitimato da lo Principe, volendo sostenere tal querella, iniustamente combatterai, salvo se dirai che io sia nato bastardo o de concubina; più, me dirai che io publicamente ho confessato questa notte havere scalato lo castello del Re et intrato dentro et questo non è il vero, & tu che habbi audita tal confessione da me dirai «io te lo voglio provare che sei traditore» come che l’habbi confessato, sostendo questa querella contra de iustitia, salvo se dicesse che hai confessato che di notte sei intrato in Castello, negando in tale intrata, la querella seria iusta: e però se debbeno le parole fondare sopra la iustitia & virtù & dove fusseno ditte alcune parole vere & false, debbeno fondare la mia querella sopra le false & se in nello processo & replicatione delle lettere se mostra non potere fondare la iustitia mia per le colorate resposte de la parte, se potria fondare in ne le replicationi che si faranno: cioè se io te richiedo de combattere, dicendote come me sei venuto meno de la fede che mi promettesti venire in tal giornata, et io te replico dicendo «io fui impedito de iusto impedimento et però non potei venire, essendo stata tempesta o altro iusto impedimento», replicasse non essere el vero, et lo replicante «tu menti come traditore», se potria dire «io lasso la prima querella abbracciando questa: dico che non son traditore et voglio la spada ne sia iudice»; altro caso se combattendo uno dirà ad un altro «defendeti, traditore», potrà lo ingiuriato dire «io me defendo et voglio combattere, chè mai fui, nè son traditore». Et altro caso uno dirà el mio patre essere stato traditore e io dirò che mente, replicarà essere stato con lettere alli nimici, et non serà vero, et sopra di questo pigliarò la querella, e serà iusta: sono questi exempli da defendere le querelle iuste & aiutare le false.
 
A vera dicisione di tale caso resta di dovere dechiarare la qualità delle parole sopra la quale s’è fondato, li armigeri requisitori & richiesti fondare loro querele per la iustitia & honore delli commilitoni; & per questo volendo dare dottrina utile & vera, dechiararemo con certe, con il quale accadendo il caso se potrà procedere alla disfida del combattere; dico adunque il primo esempio, che se uno armigero chiamerà uno altro traditore, quale haverà commesso tradimento contra lo suo Signore & dapoi lo Principe per sua clementia li haverà perdonato et restituito l’honore et la fama, et sopra ciò un altro armigero lo volesse incargare, chiamandolo traditore del suo signore, senza altra iusta causa, solo per ingiuriare, dico che tale querella e ingiuria seria indebitamente oposto, atento che stante la remisione del signore tal difetto di tradimento s’è purgato; ma se lo ingiuriato vorrà bene dire che la battaglia proceda, debbe dire «tu fusti traditore del tuo signore et se a questo tu vorrai negare io te lo voglio provare con la spada et sostenere come bono armigero»; et più se uno insultarà uno altro con una spada et lo insultato con bastone, donarà del bastone per quella spada et quello che receve le bastonate volesse dire «malamente me hai dato bastonate et contra ogni iustitia», tal ragione non seria bene fondata, però che con iustitia tal bastonate li donò, atento che chi va per dare cortellate e leva bastonate non se ha da lamentare, facendose ad defensione; et più, uno che dirà che sono ruffiano de mia mogliere, quale stando in casa mia se ha lassata maculare da altri, donde io responderò che non è il vero, come che mai hebbe notitia di tale defetto, nè di tale adulterio e se tu vorrai meco combattere, non havendo notitia del mio consentimento dello adulterio, combatterai senza iustitia. Più, se me dirai che io ho fatto le monete false, replicarò non essere la verità, attento che mai le feci, nè le cognosco, et se tu vorrai sostenere che io sia falsatore de moneta non sapendo la veritade, che io habbia fatta, per tanto io dico che haverai iniusta querella; & se me chiamarai traditore, dicendo che io habbia accettato lo ribello del Re & io replicarò non essere veritade, come che io non sapea tale essere in tal mancamento de la lege maiestà, nè seppi mai lui essere traditore, donde se vorrai sostenere che io non habbia notitia non constando della verità, & tu combatterai senza iusta querella & potria se difensare con iustitia; & più se me provocarai ad ingiuria, dicendome bastardo et replicarò non essere così, chè io son legitimato da lo Principe, volendo sostenere tal querella, iniustamente combatterai, salvo se dirai che io sia nato bastardo o de concubina; più, me dirai che io publicamente ho confessato questa notte havere scalato lo castello del Re et intrato dentro et questo non è il vero, & tu che habbi audita tal confessione da me dirai «io te lo voglio provare che sei traditore» come che l’habbi confessato, sostendo questa querella contra de iustitia, salvo se dicesse che hai confessato che di notte sei intrato in Castello, negando in tale intrata, la querella seria iusta: e però se debbeno le parole fondare sopra la iustitia & virtù & dove fusseno ditte alcune parole vere & false, debbeno fondare la mia querella sopra le false & se in nello processo & replicatione delle lettere se mostra non potere fondare la iustitia mia per le colorate resposte de la parte, se potria fondare in ne le replicationi che si faranno: cioè se io te richiedo de combattere, dicendote come me sei venuto meno de la fede che mi promettesti venire in tal giornata, et io te replico dicendo «io fui impedito de iusto impedimento et però non potei venire, essendo stata tempesta o altro iusto impedimento», replicasse non essere el vero, et lo replicante «tu menti come traditore», se potria dire «io lasso la prima querella abbracciando questa: dico che non son traditore et voglio la spada ne sia iudice»; altro caso se combattendo uno dirà ad un altro «defendeti, traditore», potrà lo ingiuriato dire «io me defendo et voglio combattere, chè mai fui, nè son traditore». Et altro caso uno dirà el mio patre essere stato traditore e io dirò che mente, replicarà essere stato con lettere alli nimici, et non serà vero, et sopra di questo pigliarò la querella, e serà iusta: sono questi exempli da defendere le querelle iuste & aiutare le false.
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! <p>{{rating|c}}<br/>by [[Michael Chidester]]</p>
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! <p>[[De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo)|First Edition]] [Latin] (1476){{edit index|De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo) 1476.pdf}}<br/>Transcribed by [[Kendra Brown]]</p>
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! <p>First Edition [Italian] (1476)<br/>Transcribed by [[Michael Chidester]]</p>
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! <p>Marozzo's Version (1536)<br/></p>
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! <p>Spanish Translation (1544){{edit index|Libro llamado batalla de dos (Paride del Pozzo) 1544.pdf}}<br/>Transcribed by [[Michael Chidester]]</p>
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! <p>English Translation (1580){{edit index|Questions of Honor and Arms (MS V.b.104)}}<br/>Transcribed by [[David Kite]]</p>
  
 
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| '''Incomenza lo septimo libro dove se tracta della nobilita de cavalieri che veneno ad bactaglia dove se tracta in materia dela nobilita.'''
 
| '''Cap. 227. Se uno nobile può refutare de non combattere con uno armigero veterano, el quale non sia de natura nobile.'''
 
| '''Cap. 227. Se uno nobile può refutare de non combattere con uno armigero veterano, el quale non sia de natura nobile.'''
 
Uno nobile homo per natura che richiesto de combattere da uno armigero exercitato longo tempo in le arme, non de natura nobile, existendo tutti dui in lo esercitio, questo nobile lo rifiuta, come dire che lui non è nobile paro modo con lui contendere, lo armigero replica «io non intendo contradire parentela con ti, ma intendo per causa conveniente lo mio honore teco combattere et provare la tua forteza, la quale me hai offeso et fallita la tua fede» - lo nobile replica «tuo padre fu rustico et vile: trovate uno altro equale a te» - «chè? Io son nobile, perchè longo tempo ho esercitato la militia et l’arte militare per la republica & io fui fatto nobile & ho havuto honore in arme & imperò non me poi refudare, perchè in l’armi se ricerca la virilità & la esperimentatione & strenuità & non nobilità, nè delitie & quello è nobile ch’ha la exercitatione & la militare virtù in l’arme & non se lauda homo de virtude in soi progenitori, ma la laude debbe essere propria», e ‘l nobile, per sì stando in suo proposito dice «se Dio ha fatto te ignobile & me nobile, non intendo guastare quello che Dio ha fatto et le operationi della natura»; lo ignobile replica «la vostra escusatione non è bona, overo decala male ad me: è più quello ch’io per mia virtude ho requistato che quanto havere da vostri antecessori, da li quali degenerando tu vai alongando de quella virtù che ha fatti li toi antecessori generosi & nobili: imperò procederò contra te ad ogni infamia, el quale refidi lo militare officio, prodigo de tua fama & honore; tu sei armigero & io armigero: in questo exercitio sono a te equale e non poi refidare»; & essendo queste lettere, se debbe iudicare per iudicio di cavalleria se questo nobile per natura potrà refudare de non combattere con questo armigero nato de padre ignobile, essendo lui virtuoso & longamente usato e adoperato in esercitio de arme con bona honestà; & dico non potersi refudare, perchè la militare disciplina non se attende più la natura che la virtù, secondo che habbiamo soprascritto al primo capitolo, dove è per autorità mostrato che la esercitatione & longo esercitio de militia & battaglia fano uno essere bon Cavaliero & non l’ocio & le delicie, nè la natura paterna, la quale giovaria al mistiero de l’armi, perchè li nobili son più animosi & da la natura son generalmente prudenti nati & vocati a l’armi; ma questa sola natura non giova, perchè debbe essere esercitato & operare quello esercitio & non vacare in ocio in lo quale delette l’arme; vocando questa nobilità senza strenuità non serà laudata & imperò quello è nobile ch’ha la nobilità dalli progenitori, secondo che vedremo appresso; & dice la legge Civile che la militia armata & la disciplina militare fu prima che la legge de la nobilità induttiva allo esercitio de l’arme, lo quale pricipalmente se esercita per nobili: se attende più la strenuità che essere nobile senza quella virtù & non se riguarda alla nobilità naturale, ma alla nobilità della strenuità & virtù militare & a quella virtude la quale è più conveniente alla militia armata: questo se prova per la legge imperiale, che vole che uno servo, in arme valoroso, debbe essere aggregato per lo principe in lo numero delli Cavallieri militanti per la sua arditanza, licet sia nato oscuro & ignobile; et uno elegeremo a la militia lo quale serà provato & esercitato longo tempo in quello atto, serà estimato bon armigero et in lo numero delli altri, perchè la militia armata lo fa; & produce l’arte et la scientia et prudentia militare, la sola nobilità de natura, et per questo se reputa habile et degno & approbato ad esercitare l’arme, le quale danno nobilità, faranno nobile quello che sarà esercitato in esse; et dice Tullio che quello che Scipione molti anni meritò per la virtude, hora possano la militia armata et lo Papa nomina nobile uno che ha esercitato la militia armata et dona honore a quelli che sono in defensione de republica & continuo in le arme hanno dignità, come più sia la defensione de la patria che cosa che se possa in questo seculo operare; & de questo ne apareno assai esempli & precetti de li Romani, quali alla morte andorno per la loro patria; & questo dice lo Decreto et Vegetio De re militare e sono adhonorati de honore & son più alti et degni de coloro che vacano in ocio & non hanno questa virtù o simile; questi armigeri son privilegiati de molti privilegi in tutti i libri de la legge, li quali privilegi non hanno che gli homini di natura nobili che esercitano l’armi; & è in tanta eccellentia la virtù militare che non può essere constretto ad essere in militia armato se non li nobili de natura & sono reprovati li rustici per denotare la sua eccellentia, la quale nobilità se acquista per l’arme per li rustici & non nobili per longo esercitio, habiando acquistata quela virtute della strenuità de l’arme, venendo de grado in grado, di tempo in tempo, se esaltando, chè prima son ragaci, dapoi sono famigli armati, dapoi, essendo provato la loro virtude & esperimentata, son tratti huomini de arme, date le arme & cavalli & habbiano condutta et altri sotto lori & portano li cimieri in l’elmo loro in segno di honore & con quello son coronati & signati per demostratione de le loro virtude et son fatti nobili, essendo posti in lo numero grande et loco delli Cavalieri armati; et per tal virtù serà deletta la viltà paterna et acquistarà nobilità, perchè sono in officio de defensione de la republica & compagni deli principi, li quali appellano loro comilitoni & compagni; & è tanto lo honore delle arme che lo Imperatore se fa nominare huomo de arme o cavallier in arme; & è tanto lo honore de l’arme che uno Imperatore, Re o Principe, el quale tiene somo grado, degni d’honore et da lui procede tutte le degnità mondane, come l’acque fiumare del mare: essendo valoroso in arme & armigero sopra tutto, tutte le sue dignità acquistaran questo honore, et sarà tanto più degno Imperatore, Re o Principe, quanto più adunque la virtù dell’armi, che dà honore sopra honore et dignità aggionge al mare d’ogni dignità, et in tutte le gran dignità s’intende la virtù et non la natura sola. Et questo si prova nel Re David et Re Saul, i quali furono pastori et dopo Re, per virtù regnante in loro; et se in loro non fosse stata la virtù militare, Iddio non li haveria eletti al regno; et questi armigeri si trattano per le leggi civili come nobili et per delitti militari son puniti come li nobili et non come li plebei et vocando in armi son tenuti a servitù personali, li quali s’imponessero alle loro città et non sono tenuti a fare officij vili et dopo che son vecchi son trattati et honorati per la legge come nobili; et dice Bartolo che uno ignobile per natura sarà conversato in l’arme per la Republica et per anni dieci farà lo esercitio della militia armata: vivendo virtuosamente sarà nobile; & perciò dico che potrà combattere con un nobile per natura senza potersi rifiutare, perchè sarà di eguale nobiltà, specialmente quanto all’arme, fin che sarà ne gli esercitij d’arme & farà l’arte militare; & di questa nobilità diremo appresso, oltra le cose ditte di sopra.
 
Uno nobile homo per natura che richiesto de combattere da uno armigero exercitato longo tempo in le arme, non de natura nobile, existendo tutti dui in lo esercitio, questo nobile lo rifiuta, come dire che lui non è nobile paro modo con lui contendere, lo armigero replica «io non intendo contradire parentela con ti, ma intendo per causa conveniente lo mio honore teco combattere et provare la tua forteza, la quale me hai offeso et fallita la tua fede» - lo nobile replica «tuo padre fu rustico et vile: trovate uno altro equale a te» - «chè? Io son nobile, perchè longo tempo ho esercitato la militia et l’arte militare per la republica & io fui fatto nobile & ho havuto honore in arme & imperò non me poi refudare, perchè in l’armi se ricerca la virilità & la esperimentatione & strenuità & non nobilità, nè delitie & quello è nobile ch’ha la exercitatione & la militare virtù in l’arme & non se lauda homo de virtude in soi progenitori, ma la laude debbe essere propria», e ‘l nobile, per sì stando in suo proposito dice «se Dio ha fatto te ignobile & me nobile, non intendo guastare quello che Dio ha fatto et le operationi della natura»; lo ignobile replica «la vostra escusatione non è bona, overo decala male ad me: è più quello ch’io per mia virtude ho requistato che quanto havere da vostri antecessori, da li quali degenerando tu vai alongando de quella virtù che ha fatti li toi antecessori generosi & nobili: imperò procederò contra te ad ogni infamia, el quale refidi lo militare officio, prodigo de tua fama & honore; tu sei armigero & io armigero: in questo exercitio sono a te equale e non poi refidare»; & essendo queste lettere, se debbe iudicare per iudicio di cavalleria se questo nobile per natura potrà refudare de non combattere con questo armigero nato de padre ignobile, essendo lui virtuoso & longamente usato e adoperato in esercitio de arme con bona honestà; & dico non potersi refudare, perchè la militare disciplina non se attende più la natura che la virtù, secondo che habbiamo soprascritto al primo capitolo, dove è per autorità mostrato che la esercitatione & longo esercitio de militia & battaglia fano uno essere bon Cavaliero & non l’ocio & le delicie, nè la natura paterna, la quale giovaria al mistiero de l’armi, perchè li nobili son più animosi & da la natura son generalmente prudenti nati & vocati a l’armi; ma questa sola natura non giova, perchè debbe essere esercitato & operare quello esercitio & non vacare in ocio in lo quale delette l’arme; vocando questa nobilità senza strenuità non serà laudata & imperò quello è nobile ch’ha la nobilità dalli progenitori, secondo che vedremo appresso; & dice la legge Civile che la militia armata & la disciplina militare fu prima che la legge de la nobilità induttiva allo esercitio de l’arme, lo quale pricipalmente se esercita per nobili: se attende più la strenuità che essere nobile senza quella virtù & non se riguarda alla nobilità naturale, ma alla nobilità della strenuità & virtù militare & a quella virtude la quale è più conveniente alla militia armata: questo se prova per la legge imperiale, che vole che uno servo, in arme valoroso, debbe essere aggregato per lo principe in lo numero delli Cavallieri militanti per la sua arditanza, licet sia nato oscuro & ignobile; et uno elegeremo a la militia lo quale serà provato & esercitato longo tempo in quello atto, serà estimato bon armigero et in lo numero delli altri, perchè la militia armata lo fa; & produce l’arte et la scientia et prudentia militare, la sola nobilità de natura, et per questo se reputa habile et degno & approbato ad esercitare l’arme, le quale danno nobilità, faranno nobile quello che sarà esercitato in esse; et dice Tullio che quello che Scipione molti anni meritò per la virtude, hora possano la militia armata et lo Papa nomina nobile uno che ha esercitato la militia armata et dona honore a quelli che sono in defensione de republica & continuo in le arme hanno dignità, come più sia la defensione de la patria che cosa che se possa in questo seculo operare; & de questo ne apareno assai esempli & precetti de li Romani, quali alla morte andorno per la loro patria; & questo dice lo Decreto et Vegetio De re militare e sono adhonorati de honore & son più alti et degni de coloro che vacano in ocio & non hanno questa virtù o simile; questi armigeri son privilegiati de molti privilegi in tutti i libri de la legge, li quali privilegi non hanno che gli homini di natura nobili che esercitano l’armi; & è in tanta eccellentia la virtù militare che non può essere constretto ad essere in militia armato se non li nobili de natura & sono reprovati li rustici per denotare la sua eccellentia, la quale nobilità se acquista per l’arme per li rustici & non nobili per longo esercitio, habiando acquistata quela virtute della strenuità de l’arme, venendo de grado in grado, di tempo in tempo, se esaltando, chè prima son ragaci, dapoi sono famigli armati, dapoi, essendo provato la loro virtude & esperimentata, son tratti huomini de arme, date le arme & cavalli & habbiano condutta et altri sotto lori & portano li cimieri in l’elmo loro in segno di honore & con quello son coronati & signati per demostratione de le loro virtude et son fatti nobili, essendo posti in lo numero grande et loco delli Cavalieri armati; et per tal virtù serà deletta la viltà paterna et acquistarà nobilità, perchè sono in officio de defensione de la republica & compagni deli principi, li quali appellano loro comilitoni & compagni; & è tanto lo honore delle arme che lo Imperatore se fa nominare huomo de arme o cavallier in arme; & è tanto lo honore de l’arme che uno Imperatore, Re o Principe, el quale tiene somo grado, degni d’honore et da lui procede tutte le degnità mondane, come l’acque fiumare del mare: essendo valoroso in arme & armigero sopra tutto, tutte le sue dignità acquistaran questo honore, et sarà tanto più degno Imperatore, Re o Principe, quanto più adunque la virtù dell’armi, che dà honore sopra honore et dignità aggionge al mare d’ogni dignità, et in tutte le gran dignità s’intende la virtù et non la natura sola. Et questo si prova nel Re David et Re Saul, i quali furono pastori et dopo Re, per virtù regnante in loro; et se in loro non fosse stata la virtù militare, Iddio non li haveria eletti al regno; et questi armigeri si trattano per le leggi civili come nobili et per delitti militari son puniti come li nobili et non come li plebei et vocando in armi son tenuti a servitù personali, li quali s’imponessero alle loro città et non sono tenuti a fare officij vili et dopo che son vecchi son trattati et honorati per la legge come nobili; et dice Bartolo che uno ignobile per natura sarà conversato in l’arme per la Republica et per anni dieci farà lo esercitio della militia armata: vivendo virtuosamente sarà nobile; & perciò dico che potrà combattere con un nobile per natura senza potersi rifiutare, perchè sarà di eguale nobiltà, specialmente quanto all’arme, fin che sarà ne gli esercitij d’arme & farà l’arte militare; & di questa nobilità diremo appresso, oltra le cose ditte di sopra.

Revision as of 23:33, 26 September 2023

Paride del Pozzo
Also known as Paridis de Puteo
Born 1410
Pimonte
Died 1493
Napoli
Resting place Chiesa d'Sant Agostino
Occupation Jurist
Citizenship Neapolitan
Alma mater University of Naples
Patron Alfonso V of Aragon
Influenced Achilles Marozzo
Genres Legal treatise
Language
Notable work(s) De duello (1476)

Paride del Pozzo (called il Puteo; Latin: Paridis or Paris de Puteo) (1410-1493) was 15th century Italian jurist. He was born in Pimonte in the Duchy of Amalfi, from a family of Piedmontese origin.[1] He moved to Napoli early in life, where he began his study of the law; he went on to study at universities in Roma, Bologna, Firenze, and Perugia. Upon his return to Napoli, he entered the service of Alfonso V of Aragon ("the Magnanimous"), king of Napoli, and served in positions including General Auditor and General Inquisitor.

Later in his career, Pozzo wrote and published various legal treatises; perhaps owing to their position at the very beginning of the history of printing, they were reprinted many times over the subsequent century. In 1472-73, he published De syndicatu officialium, a treatise on forensic evidence. He followed this in 1476-77 with De duello, vel De re militari in singulari certamine ("On the Duel, or On Military Matters in Single Combat"). This treatise is particularly important due to its detailed descriptions of dueling laws and customs, which help establish the context of 15th century fighting systems, and also of incidents from specific historical duels, which shed light on how fighting looked in practice.

Pozzo died in 1493 and was buried in the Chiesa d'Sant Agostino in Napoli.

Treatise

Additional Resources

References

  1. According to Pietro Giannone, the family was originally from Alexandria, forced to continue moving due to political struggles.
  2. "Axe" omitted from all editions except the first.
  3. accie
  4. It: sententiousness