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Difference between revisions of "Paride del Pozzo"
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| '''Incomenza lo septimo libro dove se tracta della nobilita de cavalieri che veneno ad bactaglia dove se tracta in materia dela nobilita.''' | | '''Incomenza lo septimo libro dove se tracta della nobilita de cavalieri che veneno ad bactaglia dove se tracta in materia dela nobilita.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [97] dove se tracta se he loco de bactaglia infra uno Re et Imperatore.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [98] dove se tracta se e caso de bactaglia infra dui Re che contendereno de uno regno.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [99] dove se tracta se uno Re non coro{{dec|u|n}}ato porra provocare uno altro Re coronato ad bactaglia''' | ||
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+ | | '''Capitulo [100] dove se tracta se uno conte che non recognosce superiore porra essere provocato da un conte che reconosce superiore.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [101] dove se tracta se un nobile de natura porra provare uno conte o barone.''' | ||
| '''Cap. 228. Dove si tratta se uno nobile di natura potrà provare uno Conte o Barone.''' | | '''Cap. 228. Dove si tratta se uno nobile di natura potrà provare uno Conte o Barone.''' | ||
Uno nobile di natura & di quattro gradi discendente di nobiltà, offeso o ingiuriato da un Conte o Barone, lo sfida a combattere: quello rifiuta com’a dire «io son Conte con titolo di contado & tu non sei se non un simplice gentilhuomo: non intendo contendere con teco, per niente farti pare et uguale a me»; se dubita se ‘l conte lo può rifiutare, overo se gli potrà dare il campione: li nobili di natura dicono che non ponno esser rifiutati da niuno Signore o Conte, o li Signori dicono che lo posson rifiutare, per rispetto della dignità, gli Araldi et officiali di mare dicono che uno nobile di natura non può esser rifiutato da nissuno Conte o Duca o Signore; & questo dicono ancora gli armigeri, gli giuristi, che la nobiltà per natura & per virtù è più ferma che la degnità, perciocchè questa dignità si dà et toglie come una veste, et la nobiltà sta ferma perpetuamente, secondo che dice Messer Baldo; et la dignità è accidentalmente et la nobiltà è nata da gli antecessori et dalla generatione et la nobiltà non nasce in uno momento et sta in molti antecessori nobili, et però si dice la nobiltà più esser ferma che la dignità, la quale non ha radice et facilmente si perde et toglie & la nobilità non si può facilmente togliere, chè la natura è costante & perpetua, eccetto per gran delitto, & la dignità è accidentale. Et dice il savio che la gloria dell’homo è della nobiltà paterna & la dignità non è da più che la nobiltà et la virtù, et la nobilità è da esser proposta alla dignità; però dice il Decreto et il libro dello Ecclesiastico che la sapienza conforta il sapiente, sopraddice Principi di città et nella sapienza si dinota la nobiltà; et secondo Boetio lo nobile per virtù si debbe anteponere al nobile per dignità et questo si dimostra, perchè la nobiltà è honore supremo, il quale è conveniente alli Re et a coloro i quali vogliono pervenire alle gran dignità et scrive lo Ecclesiastico “beata la terra c’ha il Re nobile”, cioè nato di stirpe regia et dice che non si trova officio nè dignità nè honore nè altra eccellenza che sia più che la nobiltà con virtù mista et non è cosa sopra alla nobiltà; perchè l’Imperatore non è più che nobile o nobilissimo, nè il Re è più che nobile, secondo il Papa, solo scrive a’ Re nobili viro; et dice la legge civile che i nobili s’eleggon alle dignità. Et queste nobiltà temporale son da Dio instituite, come disse Bartolo, et allega lo Libro del Re, et questa nobiltà è la porta ad ogni dignità; et alcuni dicono che li Conti et Baroni hanno nobiltà perchè dominano li vassalli in copia nobile et non nobile, et questa ragione non tiene, perchè se li Conti hanno questa nobiltà data dal Principe, lo nobile etiam ha nobiltà data dalla natura et dalla virtù sua; e questi allegano in lo Libro delli feudi, che dice uno che non è cavalliero non poter combattere con uno cavalliero, nè uno rustico potere combattere con uno nobile, et dicono che li Conti signoreggiano li nobili del suo contado et fanno huomini nobili dando feudi nobili, et la dignità del Conte è Reale, data dal Re, secondo è socio de Re: donde non pare che in pregiudicio del stato e de la Republica et della dignità comitale, che dabbia esponere la propria persona, obligata alla dignità, a pericolo di morte, essendo lui persona publica e ministro della sua Republica, come di sopra ditto habbiamo; parlando delli Imperatori diremo appresso che tal dignità è incarico di tutta la universalità del contado et per causa privata non si debbe far preiudicio a le cose publiche et imperò doveria poter dare campione, il quale al nobile che sia persona privata; & molti sono li privilegi de le persone poste in dignità & specialmente che in le cause criminali litigano per procuratori, dove le altre persone private debbono venir personalmente & non possino esser posti a tortura che se fa per se stessa per manifestare la virtù & ancora non può uno essere incarcerato, nè esser giudicato senza giudici pari & uguali a loro; & habbiamo detto di sopra che li Conti, secondo la legge Civile & Lombarda possono dare il campione, eccetto quando combatter si dovesse per infideltà commessa al vassallo; ma credo ch’in ogni pregiudicio d’arme non se osservarà tal legge, che un Conte, per offesa o incarico fatto per esso, dovesse recusare uno nobile di quattro gradi di nobiltà, per le prime ragioni che habbiamo scritte; & dirà questo nobile «io non curo della tua dignità, ma dello mio honore & non ti disfido come Conte, ma come tale ne provoco la degnità tua, la quale se sta al pare, chè sei più obligato a la Cavalleria et a lo honore militare che alla dignità comitale»; la quale dignità si perde per infamia, come ditto habbiamo; essendo questo atto di militia, uno Conte non lo debbe potere schivare, perchè è suo officio esercitare gli atti militari et diffendere lo honore proprio, essendo compagno de Re et obligato accompagnarlo in le battaglie, tenuto operare la militia in mostrare ardimento di satisfare alla sua fama et honore, altrimenti sarà tenuto et reputato vilissimo, et secondo la legge quello che non stima la sua fama è traditore a se medesimo; et dice Messer Angelo da Perosa che uno Cavalliero, il quale schiva et vieta di non combattere dove bisogna, incorre in infamia grande. Et fra li altri Cavallieri et Baroni dice la legge che se a uno Cavalliero sarà ditto «se non mi farai tale promessa io non te farò combattere» et quello che per timore di non essere privato del combattere farà questa promessa, se potrà rompere come fatta per iusto metu; et ancora quando fusse constretto di promettere di non combattere che potria rivocare quella promissione, come fusse fatta per forza et contra allo suo honore, perch’è obligato alli casi mercenarij a fare lo suo officio militare, altrimenti commette falsità alla militare disciplina; et imperò uno Conte non può rifiutare di combattere con uno nobile per natura, chè è obligato per officio di militia farlo, ma per ragione di legge potria dare Campione uno altro nobile, eccetto in caso di tradimento di Re o della patria o di homicidio et di infideltà al vassallo a combattere con la propria persona, se non fusse vecchio o indesposto alla battaglia. | Uno nobile di natura & di quattro gradi discendente di nobiltà, offeso o ingiuriato da un Conte o Barone, lo sfida a combattere: quello rifiuta com’a dire «io son Conte con titolo di contado & tu non sei se non un simplice gentilhuomo: non intendo contendere con teco, per niente farti pare et uguale a me»; se dubita se ‘l conte lo può rifiutare, overo se gli potrà dare il campione: li nobili di natura dicono che non ponno esser rifiutati da niuno Signore o Conte, o li Signori dicono che lo posson rifiutare, per rispetto della dignità, gli Araldi et officiali di mare dicono che uno nobile di natura non può esser rifiutato da nissuno Conte o Duca o Signore; & questo dicono ancora gli armigeri, gli giuristi, che la nobiltà per natura & per virtù è più ferma che la degnità, perciocchè questa dignità si dà et toglie come una veste, et la nobiltà sta ferma perpetuamente, secondo che dice Messer Baldo; et la dignità è accidentalmente et la nobiltà è nata da gli antecessori et dalla generatione et la nobiltà non nasce in uno momento et sta in molti antecessori nobili, et però si dice la nobiltà più esser ferma che la dignità, la quale non ha radice et facilmente si perde et toglie & la nobilità non si può facilmente togliere, chè la natura è costante & perpetua, eccetto per gran delitto, & la dignità è accidentale. Et dice il savio che la gloria dell’homo è della nobiltà paterna & la dignità non è da più che la nobiltà et la virtù, et la nobilità è da esser proposta alla dignità; però dice il Decreto et il libro dello Ecclesiastico che la sapienza conforta il sapiente, sopraddice Principi di città et nella sapienza si dinota la nobiltà; et secondo Boetio lo nobile per virtù si debbe anteponere al nobile per dignità et questo si dimostra, perchè la nobiltà è honore supremo, il quale è conveniente alli Re et a coloro i quali vogliono pervenire alle gran dignità et scrive lo Ecclesiastico “beata la terra c’ha il Re nobile”, cioè nato di stirpe regia et dice che non si trova officio nè dignità nè honore nè altra eccellenza che sia più che la nobiltà con virtù mista et non è cosa sopra alla nobiltà; perchè l’Imperatore non è più che nobile o nobilissimo, nè il Re è più che nobile, secondo il Papa, solo scrive a’ Re nobili viro; et dice la legge civile che i nobili s’eleggon alle dignità. Et queste nobiltà temporale son da Dio instituite, come disse Bartolo, et allega lo Libro del Re, et questa nobiltà è la porta ad ogni dignità; et alcuni dicono che li Conti et Baroni hanno nobiltà perchè dominano li vassalli in copia nobile et non nobile, et questa ragione non tiene, perchè se li Conti hanno questa nobiltà data dal Principe, lo nobile etiam ha nobiltà data dalla natura et dalla virtù sua; e questi allegano in lo Libro delli feudi, che dice uno che non è cavalliero non poter combattere con uno cavalliero, nè uno rustico potere combattere con uno nobile, et dicono che li Conti signoreggiano li nobili del suo contado et fanno huomini nobili dando feudi nobili, et la dignità del Conte è Reale, data dal Re, secondo è socio de Re: donde non pare che in pregiudicio del stato e de la Republica et della dignità comitale, che dabbia esponere la propria persona, obligata alla dignità, a pericolo di morte, essendo lui persona publica e ministro della sua Republica, come di sopra ditto habbiamo; parlando delli Imperatori diremo appresso che tal dignità è incarico di tutta la universalità del contado et per causa privata non si debbe far preiudicio a le cose publiche et imperò doveria poter dare campione, il quale al nobile che sia persona privata; & molti sono li privilegi de le persone poste in dignità & specialmente che in le cause criminali litigano per procuratori, dove le altre persone private debbono venir personalmente & non possino esser posti a tortura che se fa per se stessa per manifestare la virtù & ancora non può uno essere incarcerato, nè esser giudicato senza giudici pari & uguali a loro; & habbiamo detto di sopra che li Conti, secondo la legge Civile & Lombarda possono dare il campione, eccetto quando combatter si dovesse per infideltà commessa al vassallo; ma credo ch’in ogni pregiudicio d’arme non se osservarà tal legge, che un Conte, per offesa o incarico fatto per esso, dovesse recusare uno nobile di quattro gradi di nobiltà, per le prime ragioni che habbiamo scritte; & dirà questo nobile «io non curo della tua dignità, ma dello mio honore & non ti disfido come Conte, ma come tale ne provoco la degnità tua, la quale se sta al pare, chè sei più obligato a la Cavalleria et a lo honore militare che alla dignità comitale»; la quale dignità si perde per infamia, come ditto habbiamo; essendo questo atto di militia, uno Conte non lo debbe potere schivare, perchè è suo officio esercitare gli atti militari et diffendere lo honore proprio, essendo compagno de Re et obligato accompagnarlo in le battaglie, tenuto operare la militia in mostrare ardimento di satisfare alla sua fama et honore, altrimenti sarà tenuto et reputato vilissimo, et secondo la legge quello che non stima la sua fama è traditore a se medesimo; et dice Messer Angelo da Perosa che uno Cavalliero, il quale schiva et vieta di non combattere dove bisogna, incorre in infamia grande. Et fra li altri Cavallieri et Baroni dice la legge che se a uno Cavalliero sarà ditto «se non mi farai tale promessa io non te farò combattere» et quello che per timore di non essere privato del combattere farà questa promessa, se potrà rompere come fatta per iusto metu; et ancora quando fusse constretto di promettere di non combattere che potria rivocare quella promissione, come fusse fatta per forza et contra allo suo honore, perch’è obligato alli casi mercenarij a fare lo suo officio militare, altrimenti commette falsità alla militare disciplina; et imperò uno Conte non può rifiutare di combattere con uno nobile per natura, chè è obligato per officio di militia farlo, ma per ragione di legge potria dare Campione uno altro nobile, eccetto in caso di tradimento di Re o della patria o di homicidio et di infideltà al vassallo a combattere con la propria persona, se non fusse vecchio o indesposto alla battaglia. | ||
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+ | | '''Capitulo [102] dove se tracta se un duca o capitanio de arme requesto da un cavaliere sel po refutare.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [103] dove se tracta se un nobele po refutare ad guagio d{{dec|u|e}} bactaglia uno armigero veterano quale non sia de natura nobele.''' | ||
+ | | '''Cap. 227. Se uno nobile può refutare de non combattere con uno armigero veterano, el quale non sia de natura nobile.''' | ||
+ | Uno nobile homo per natura che richiesto de combattere da uno armigero exercitato longo tempo in le arme, non de natura nobile, existendo tutti dui in lo esercitio, questo nobile lo rifiuta, come dire che lui non è nobile paro modo con lui contendere, lo armigero replica «io non intendo contradire parentela con ti, ma intendo per causa conveniente lo mio honore teco combattere et provare la tua forteza, la quale me hai offeso et fallita la tua fede» - lo nobile replica «tuo padre fu rustico et vile: trovate uno altro equale a te» - «chè? Io son nobile, perchè longo tempo ho esercitato la militia et l’arte militare per la republica & io fui fatto nobile & ho havuto honore in arme & imperò non me poi refudare, perchè in l’armi se ricerca la virilità & la esperimentatione & strenuità & non nobilità, nè delitie & quello è nobile ch’ha la exercitatione & la militare virtù in l’arme & non se lauda homo de virtude in soi progenitori, ma la laude debbe essere propria», e ‘l nobile, per sì stando in suo proposito dice «se Dio ha fatto te ignobile & me nobile, non intendo guastare quello che Dio ha fatto et le operationi della natura»; lo ignobile replica «la vostra escusatione non è bona, overo decala male ad me: è più quello ch’io per mia virtude ho requistato che quanto havere da vostri antecessori, da li quali degenerando tu vai alongando de quella virtù che ha fatti li toi antecessori generosi & nobili: imperò procederò contra te ad ogni infamia, el quale refidi lo militare officio, prodigo de tua fama & honore; tu sei armigero & io armigero: in questo exercitio sono a te equale e non poi refidare»; & essendo queste lettere, se debbe iudicare per iudicio di cavalleria se questo nobile per natura potrà refudare de non combattere con questo armigero nato de padre ignobile, essendo lui virtuoso & longamente usato e adoperato in esercitio de arme con bona honestà; & dico non potersi refudare, perchè la militare disciplina non se attende più la natura che la virtù, secondo che habbiamo soprascritto al primo capitolo, dove è per autorità mostrato che la esercitatione & longo esercitio de militia & battaglia fano uno essere bon Cavaliero & non l’ocio & le delicie, nè la natura paterna, la quale giovaria al mistiero de l’armi, perchè li nobili son più animosi & da la natura son generalmente prudenti nati & vocati a l’armi; ma questa sola natura non giova, perchè debbe essere esercitato & operare quello esercitio & non vacare in ocio in lo quale delette l’arme; vocando questa nobilità senza strenuità non serà laudata & imperò quello è nobile ch’ha la nobilità dalli progenitori, secondo che vedremo appresso; & dice la legge Civile che la militia armata & la disciplina militare fu prima che la legge de la nobilità induttiva allo esercitio de l’arme, lo quale pricipalmente se esercita per nobili: se attende più la strenuità che essere nobile senza quella virtù & non se riguarda alla nobilità naturale, ma alla nobilità della strenuità & virtù militare & a quella virtude la quale è più conveniente alla militia armata: questo se prova per la legge imperiale, che vole che uno servo, in arme valoroso, debbe essere aggregato per lo principe in lo numero delli Cavallieri militanti per la sua arditanza, licet sia nato oscuro & ignobile; et uno elegeremo a la militia lo quale serà provato & esercitato longo tempo in quello atto, serà estimato bon armigero et in lo numero delli altri, perchè la militia armata lo fa; & produce l’arte et la scientia et prudentia militare, la sola nobilità de natura, et per questo se reputa habile et degno & approbato ad esercitare l’arme, le quale danno nobilità, faranno nobile quello che sarà esercitato in esse; et dice Tullio che quello che Scipione molti anni meritò per la virtude, hora possano la militia armata et lo Papa nomina nobile uno che ha esercitato la militia armata et dona honore a quelli che sono in defensione de republica & continuo in le arme hanno dignità, come più sia la defensione de la patria che cosa che se possa in questo seculo operare; & de questo ne apareno assai esempli & precetti de li Romani, quali alla morte andorno per la loro patria; & questo dice lo Decreto et Vegetio De re militare e sono adhonorati de honore & son più alti et degni de coloro che vacano in ocio & non hanno questa virtù o simile; questi armigeri son privilegiati de molti privilegi in tutti i libri de la legge, li quali privilegi non hanno che gli homini di natura nobili che esercitano l’armi; & è in tanta eccellentia la virtù militare che non può essere constretto ad essere in militia armato se non li nobili de natura & sono reprovati li rustici per denotare la sua eccellentia, la quale nobilità se acquista per l’arme per li rustici & non nobili per longo esercitio, habiando acquistata quela virtute della strenuità de l’arme, venendo de grado in grado, di tempo in tempo, se esaltando, chè prima son ragaci, dapoi sono famigli armati, dapoi, essendo provato la loro virtude & esperimentata, son tratti huomini de arme, date le arme & cavalli & habbiano condutta et altri sotto lori & portano li cimieri in l’elmo loro in segno di honore & con quello son coronati & signati per demostratione de le loro virtude et son fatti nobili, essendo posti in lo numero grande et loco delli Cavalieri armati; et per tal virtù serà deletta la viltà paterna et acquistarà nobilità, perchè sono in officio de defensione de la republica & compagni deli principi, li quali appellano loro comilitoni & compagni; & è tanto lo honore delle arme che lo Imperatore se fa nominare huomo de arme o cavallier in arme; & è tanto lo honore de l’arme che uno Imperatore, Re o Principe, el quale tiene somo grado, degni d’honore et da lui procede tutte le degnità mondane, come l’acque fiumare del mare: essendo valoroso in arme & armigero sopra tutto, tutte le sue dignità acquistaran questo honore, et sarà tanto più degno Imperatore, Re o Principe, quanto più adunque la virtù dell’armi, che dà honore sopra honore et dignità aggionge al mare d’ogni dignità, et in tutte le gran dignità s’intende la virtù et non la natura sola. Et questo si prova nel Re David et Re Saul, i quali furono pastori et dopo Re, per virtù regnante in loro; et se in loro non fosse stata la virtù militare, Iddio non li haveria eletti al regno; et questi armigeri si trattano per le leggi civili come nobili et per delitti militari son puniti come li nobili et non come li plebei et vocando in armi son tenuti a servitù personali, li quali s’imponessero alle loro città et non sono tenuti a fare officij vili et dopo che son vecchi son trattati et honorati per la legge come nobili; et dice Bartolo che uno ignobile per natura sarà conversato in l’arme per la Republica et per anni dieci farà lo esercitio della militia armata: vivendo virtuosamente sarà nobile; & perciò dico che potrà combattere con un nobile per natura senza potersi rifiutare, perchè sarà di eguale nobiltà, specialmente quanto all’arme, fin che sarà ne gli esercitij d’arme & farà l’arte militare; & di questa nobilità diremo appresso, oltra le cose ditte di sopra. | ||
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+ | | '''Capitulo [104] dove se tracta della excellencia et dignita dela armata milicia.''' | ||
| '''Cap. 229. Della eccellenza & dignità dell’armata militia.''' | | '''Cap. 229. Della eccellenza & dignità dell’armata militia.''' | ||
Dice la legge, in ogni atto di virtù s’attende la dignità de gli huomini, la infamia si dispregia & massime nella militia armata, la qual prima da Iddio venne per conservare la giustitia & per l’ubidientia de’ sudditi & per ampliare l’Imperio del mondo da Iddio dato & per punire li superbi & ribelli & per haver la pace e tranquilità in questo mondo, la qual si turba per la guerra & superbia de’ tiranni & prohibire le violentie, alle quali gli huomini son inclinati; & questo si governa per la forza & sudore delli cavallieri & genti d’arme per voler di Dio, dal quale alla prima età processino li belli et battaglie, quando permesse Re David combattesse con Golia & l’occidessi & ordinò & permisse l’arte militare, per le cause c’ho ditto di sopra; & per incitare le genti alla militia donò infiniti privilegij a quelli ch’esercitassino le armi, dando punitione a quelli che vendessino loro arme o che di quelle facessino stromenti rurali, aratri o zappe, & più che huomini infami non potessino militare in l’armi, nè rustici, o negotiatori, nè artefici, o di mala vita, ma che dovessino esser virtuosi, nobili & di buona fama, che giurassino diffendere la Republica & non evitare la morte: però nella militia è gran religione, per li precetti di virtù & per li giuramenti; & perciò quando si viene a gli effetti di combattere si fanno ripulse, per non haver da combattere con quelli che indegni & reprobati fossino & doveriano esser scacciati dalli eserciti & arte militare; & perciò la legge civile, che parla de’ feudi, volse ch’uno cavalliero non disditto da natura militare, lui et suoi antecessori, non potesse richiedere a personali battaglie un cavalliero di natura non eguale a sè provocatore, ma più degno; & questo non è in osservanza nell’arte militare, ch’uno rustico non potesse appellare a combattere un nobile, ma un cavalliero in arme potrà combatter con un cavalliero di dignità, creato ad un Principe per honore; & così un buono armigero lungo tempo conservato in armi, che fosse di buone virtù & costumato, non potrà esser rifiutato da un cavalliero, o nobile di natura, volendo combattere con lui per causa d’honore, over che fosse provocato dal nobile non lo potria dopo rifiutare; & ancora uno nobile per natura di nobiltà d’arme, che fosse virtuoso & degno, per causa del suo honore & fama offeso da un gran Signore, potria dire «voi m’havete offeso l’honor mio & fama: io voglio con la spada provare haverme offeso ingiustamente» & questo saria tenuto per ragion d’arme rispondere con la propria sua persona, over dare uno campione simile, che combattesse sopra quella querella, altrimenti restaria con poco honore & saria stimato vile & da niente; Imperatore, Re o altri Principi & in ogni ordine di Cavallieri saria giudicato, dover rispondere per sè o per campione, perch’è la nobiltà di tanta eccellentia, che fa habile l’huomo a pervenire ad ogni gran dignità Imperiale, Regia & Ducale; & uno Re, Prencipe o Duca, in sè & non per la dignità è più nobile che un altro nobile per natura, o per nobiltà d’armi o di virtù & potria dire ad ogni Signore «se nobile sei & io nobile sono et uguale a te a venire alla dignità come tu, se Iddio over la fortuna lo volesse»; & per non venire ognuno ad egualità con li nobili, dice Baldo che uno vile non potrà combattere con uno nobile, per non montare a tal dignità, però huomini infami saranno riprobati di non combatter da persona con nobili & la mala vita non fa montare gli huomini a quelle cose che a loro non s’acconviene, nè farli uguali alli virtuosi con loro ardimenti; dice Sallustio “chi contende con huomo misero et vile, simile a lui si fa” & vuole la Lombarda di tutti quelli che son prohibiti per loro infamia, delitti & mala vita di non essere oditi in avocare il giudicio civile, son prohibiti in giudicio d’arme, per la turpitudine di loro vita, perchè gli avocati contrastano con lor scientia e con la voce al iudicio civile et li armigeri con la corazza e con la spada al iudicio della battaglia, over militare, et in ciò son tali giudicij, in battaglie giudiciali di arme, et questi huomini vili et infami come son cacciati da testimoni et da non potere accusare et da ogni degno officio, così si discacciano da l’arte militare, dalla presentia & dal comitato di ogni Principe; & questi son quelli che essi, o loro antecessori, havesseno commessa proditione contra lo Principe o contra la patria et non fusseno restituiti, perchè in tal caso loro et li discendenti, non nati fino al terzo grado, haranno tale repulsa; ancora un nobile o armigero che fusse stato transfuga a l’hoste o alli inimici del suo Signore, o che allhora havesse alcuno segno o avisamento in detrimento del stato, o che per delitto militare fusse stato con infamia da l’esercito cavato o rimesso di fuori, questo tale non potria combatter con un altro virtuoso armigero, nè potria stare alla città Imperiale o regale, in la quale l’Imperatore, Re o Principe tenesse la sua sedia; & similmente quello armigero o Cavalliero che in lo dì della battaglia si partisse dallo esercito dalle bandiere o dalla sua squadra per non se trovare battaglia, saria infame & di capitale pena degno; & quelli Cavallieri o armigeri che comettesseno delitti, dishonesti a loro militia, che fosseno ruffiani, tenendo meretrici in guadagno, questi la legge li tiene in grande infamia; & ancora che fusse hospitatore o tavernaro publico & che non oservasse lo iuramento che prestano li cavallieri & fusse pergiuro o prevaricatore o che in lo esercito movesse seditioni o romori in detrimento del stato del suo Signore Duca o Capitano & che fusse preso da l’hoste & potesse ritornare & non ritornasse, perchè saria riputato per infame; et ancora che mandato fusse ad esplorare li progressi delli inimici & restasse con loro, qual più sarà transfuga, overo uno rustico et obligato ad altri, il quale in fraude venisse ad arte militare o chi manifestasse li secreti alli nimici, overo chi, per timore di battaglia, in la giornata infirmità dissimulasse, chè sarà desertore della militia; quello ancora che lascia il Signore alla battaglia & fugirà, perchè commette infideltà & incorrerà in grande infamia, come quello che cercasse amicitia con li nimici del suo Signore; commetteria grande infamia quello ancora che con fraude lasciasse il vigilare et custodire dello esercito di notte o di giorno, o la guardia della persona del suo Principe: sarà in pena capitale con infamia; et uno cavalliero, quale in tempo di guerra alienasse tutte l’arme, ch’è deserto della militia armata, et tale che con opera sua procurasse che gli nimici pigliasse li fideli et parte se l’opera procurasse coloro: et questo secondo la legge Imperiale sarà in pena d’esser posto in fuoco vivo; et quel tale ch’è publicamente escomunicato, et fosse usuraro, qual è infame, o uno mancatore di fede heretico, et ogni nobile ch’esercitasse mestiero non conveniente alla sua nobilitade, è a l’arte militare non condegno, et generalmente ogni huomo che fosse in grande infamia per alcun suo delitto, perchè per la infamia si perde la nobiltà; et similmente un bastardo figliuolo d’huomo nobile, che non havesse una gran virtù, si rifiuta, perchè li bastardi son stimati vili et ignobili et non della casata, riservando s’el fosse moderato et in arme lungo tempo praticato et virtuoso, il quale in caso di proprio honore non si riputaria per giustamente, perchè la natura humana è commune a tutti, et essendo tal bastardo legittimato dal Papa o da Principe, per matrimonio seguente, se fosse virtuoso non si potria ripellare, perchè tutte le leggi et decreti dicono che sono simili alli legittimi; et se fosse dato un bastardo a seguire la corte del Principe lungo tempo, acquisterà privilegio di legittimatione et non si potria rifiutare per questa via, riservando per gran vicij et difetti per li quali incorresse infamia intollerabile: et questo per la religione, ch’è in l’arte militare, la quale recerca grande observatione di virtù & la militare disciplina ha molti precetti descritti in la legie, li quali chi li possa ha gran principio & tale disciplina caccia tutte le infamie da sè & dalla militia: imperò al combattere molto se attende la fama & l’honore & la virtù. | Dice la legge, in ogni atto di virtù s’attende la dignità de gli huomini, la infamia si dispregia & massime nella militia armata, la qual prima da Iddio venne per conservare la giustitia & per l’ubidientia de’ sudditi & per ampliare l’Imperio del mondo da Iddio dato & per punire li superbi & ribelli & per haver la pace e tranquilità in questo mondo, la qual si turba per la guerra & superbia de’ tiranni & prohibire le violentie, alle quali gli huomini son inclinati; & questo si governa per la forza & sudore delli cavallieri & genti d’arme per voler di Dio, dal quale alla prima età processino li belli et battaglie, quando permesse Re David combattesse con Golia & l’occidessi & ordinò & permisse l’arte militare, per le cause c’ho ditto di sopra; & per incitare le genti alla militia donò infiniti privilegij a quelli ch’esercitassino le armi, dando punitione a quelli che vendessino loro arme o che di quelle facessino stromenti rurali, aratri o zappe, & più che huomini infami non potessino militare in l’armi, nè rustici, o negotiatori, nè artefici, o di mala vita, ma che dovessino esser virtuosi, nobili & di buona fama, che giurassino diffendere la Republica & non evitare la morte: però nella militia è gran religione, per li precetti di virtù & per li giuramenti; & perciò quando si viene a gli effetti di combattere si fanno ripulse, per non haver da combattere con quelli che indegni & reprobati fossino & doveriano esser scacciati dalli eserciti & arte militare; & perciò la legge civile, che parla de’ feudi, volse ch’uno cavalliero non disditto da natura militare, lui et suoi antecessori, non potesse richiedere a personali battaglie un cavalliero di natura non eguale a sè provocatore, ma più degno; & questo non è in osservanza nell’arte militare, ch’uno rustico non potesse appellare a combattere un nobile, ma un cavalliero in arme potrà combatter con un cavalliero di dignità, creato ad un Principe per honore; & così un buono armigero lungo tempo conservato in armi, che fosse di buone virtù & costumato, non potrà esser rifiutato da un cavalliero, o nobile di natura, volendo combattere con lui per causa d’honore, over che fosse provocato dal nobile non lo potria dopo rifiutare; & ancora uno nobile per natura di nobiltà d’arme, che fosse virtuoso & degno, per causa del suo honore & fama offeso da un gran Signore, potria dire «voi m’havete offeso l’honor mio & fama: io voglio con la spada provare haverme offeso ingiustamente» & questo saria tenuto per ragion d’arme rispondere con la propria sua persona, over dare uno campione simile, che combattesse sopra quella querella, altrimenti restaria con poco honore & saria stimato vile & da niente; Imperatore, Re o altri Principi & in ogni ordine di Cavallieri saria giudicato, dover rispondere per sè o per campione, perch’è la nobiltà di tanta eccellentia, che fa habile l’huomo a pervenire ad ogni gran dignità Imperiale, Regia & Ducale; & uno Re, Prencipe o Duca, in sè & non per la dignità è più nobile che un altro nobile per natura, o per nobiltà d’armi o di virtù & potria dire ad ogni Signore «se nobile sei & io nobile sono et uguale a te a venire alla dignità come tu, se Iddio over la fortuna lo volesse»; & per non venire ognuno ad egualità con li nobili, dice Baldo che uno vile non potrà combattere con uno nobile, per non montare a tal dignità, però huomini infami saranno riprobati di non combatter da persona con nobili & la mala vita non fa montare gli huomini a quelle cose che a loro non s’acconviene, nè farli uguali alli virtuosi con loro ardimenti; dice Sallustio “chi contende con huomo misero et vile, simile a lui si fa” & vuole la Lombarda di tutti quelli che son prohibiti per loro infamia, delitti & mala vita di non essere oditi in avocare il giudicio civile, son prohibiti in giudicio d’arme, per la turpitudine di loro vita, perchè gli avocati contrastano con lor scientia e con la voce al iudicio civile et li armigeri con la corazza e con la spada al iudicio della battaglia, over militare, et in ciò son tali giudicij, in battaglie giudiciali di arme, et questi huomini vili et infami come son cacciati da testimoni et da non potere accusare et da ogni degno officio, così si discacciano da l’arte militare, dalla presentia & dal comitato di ogni Principe; & questi son quelli che essi, o loro antecessori, havesseno commessa proditione contra lo Principe o contra la patria et non fusseno restituiti, perchè in tal caso loro et li discendenti, non nati fino al terzo grado, haranno tale repulsa; ancora un nobile o armigero che fusse stato transfuga a l’hoste o alli inimici del suo Signore, o che allhora havesse alcuno segno o avisamento in detrimento del stato, o che per delitto militare fusse stato con infamia da l’esercito cavato o rimesso di fuori, questo tale non potria combatter con un altro virtuoso armigero, nè potria stare alla città Imperiale o regale, in la quale l’Imperatore, Re o Principe tenesse la sua sedia; & similmente quello armigero o Cavalliero che in lo dì della battaglia si partisse dallo esercito dalle bandiere o dalla sua squadra per non se trovare battaglia, saria infame & di capitale pena degno; & quelli Cavallieri o armigeri che comettesseno delitti, dishonesti a loro militia, che fosseno ruffiani, tenendo meretrici in guadagno, questi la legge li tiene in grande infamia; & ancora che fusse hospitatore o tavernaro publico & che non oservasse lo iuramento che prestano li cavallieri & fusse pergiuro o prevaricatore o che in lo esercito movesse seditioni o romori in detrimento del stato del suo Signore Duca o Capitano & che fusse preso da l’hoste & potesse ritornare & non ritornasse, perchè saria riputato per infame; et ancora che mandato fusse ad esplorare li progressi delli inimici & restasse con loro, qual più sarà transfuga, overo uno rustico et obligato ad altri, il quale in fraude venisse ad arte militare o chi manifestasse li secreti alli nimici, overo chi, per timore di battaglia, in la giornata infirmità dissimulasse, chè sarà desertore della militia; quello ancora che lascia il Signore alla battaglia & fugirà, perchè commette infideltà & incorrerà in grande infamia, come quello che cercasse amicitia con li nimici del suo Signore; commetteria grande infamia quello ancora che con fraude lasciasse il vigilare et custodire dello esercito di notte o di giorno, o la guardia della persona del suo Principe: sarà in pena capitale con infamia; et uno cavalliero, quale in tempo di guerra alienasse tutte l’arme, ch’è deserto della militia armata, et tale che con opera sua procurasse che gli nimici pigliasse li fideli et parte se l’opera procurasse coloro: et questo secondo la legge Imperiale sarà in pena d’esser posto in fuoco vivo; et quel tale ch’è publicamente escomunicato, et fosse usuraro, qual è infame, o uno mancatore di fede heretico, et ogni nobile ch’esercitasse mestiero non conveniente alla sua nobilitade, è a l’arte militare non condegno, et generalmente ogni huomo che fosse in grande infamia per alcun suo delitto, perchè per la infamia si perde la nobiltà; et similmente un bastardo figliuolo d’huomo nobile, che non havesse una gran virtù, si rifiuta, perchè li bastardi son stimati vili et ignobili et non della casata, riservando s’el fosse moderato et in arme lungo tempo praticato et virtuoso, il quale in caso di proprio honore non si riputaria per giustamente, perchè la natura humana è commune a tutti, et essendo tal bastardo legittimato dal Papa o da Principe, per matrimonio seguente, se fosse virtuoso non si potria ripellare, perchè tutte le leggi et decreti dicono che sono simili alli legittimi; et se fosse dato un bastardo a seguire la corte del Principe lungo tempo, acquisterà privilegio di legittimatione et non si potria rifiutare per questa via, riservando per gran vicij et difetti per li quali incorresse infamia intollerabile: et questo per la religione, ch’è in l’arte militare, la quale recerca grande observatione di virtù & la militare disciplina ha molti precetti descritti in la legie, li quali chi li possa ha gran principio & tale disciplina caccia tutte le infamie da sè & dalla militia: imperò al combattere molto se attende la fama & l’honore & la virtù. | ||
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+ | | '''{{par}} Capitulo [105] dove se tracta se uno semplice armigero po venire ad bactaglia con uno capitaneo.''' | ||
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| '''Cap. 230. Si tratta se uno armigero rusticano, lassate l’arme, se dipoi potrà venire alli cimenti del combattere.''' | | '''Cap. 230. Si tratta se uno armigero rusticano, lassate l’arme, se dipoi potrà venire alli cimenti del combattere.''' | ||
Habbiamo di sopra esaminato pienamente che uno rustico, overo ignobile, lungo tempo esercitato in arme, potrà provocare per causa del suo honore uno nobile per natura a combattere da persona a persona, ma dubitasi s’uno armigero rustico per natura, esercitato per lungo tempo in arme et dopo lasciato l’esercitio dell’arme non per delitto, nè per mancamento, volontariamente habita in casa sua antica & vorrà richiedere uno nobile per natura a dover combattere con lui per causa d’honore, se lo potrà fare senza ripulsa. La legge civile dispone ch’uno rustico non può provocare uno nobile a battaglia personale; questo provocatore allega che lui è fatto lungo tempo, esercitando l’arte militare et per questo è nobilitato; dall’altra parte si allega all’incontro che gli armigeri godono il privilegio militario infinchè sono in arme & fanno lo esercitio militare, cioè l’arte dell’arme, overo finchè sono in lizza & stanno preparati all’arte militare & questo ha lasciato l’esercitio militare & è ritornato alla pristina rusticità: & hor si dimanda che vorrà la ragione; dico prima, che uno rustico, che harà fatto il mestiero de l’arme longo tempo e che sia accettato in lo esercito per armigero, finchè serà in campo potrà combattere con ogni nobile per natura, in campo e fora de campo. Ma tutte le leggi voleno che dapoi che lassa in tutto mo mestiero de l’arme et andasse in casa sua, non ha quelli privilegij che godeno li armigeri, eccetto s’el va per pace fatta o con licentia o con proposito di ritornare, e quando sta in lista, o preparato a l’arme; e questo harà loco quando serà redutto in casa sua senza mancamento e quando doppo longo tempo esercitate l’arme, per infirmità o vecchiezza o per havere passati vinti anni in lo mestiere, allhora ha privilegio di cavalliero veterano, che non serà tenuto a servicij da persona vile e serà trattato alle pene come nobile & haverà molti altri privilegi per la legge Imperiale; et imperò questo, havendo fatto lo mestiero de l’arme longo tempo, fidelmente, virtuosamente & dapoi andarà senza ignominia et infamia licentiato da’ superiori a reposare a casa, non perderà la nobiltà acquistata per la virtù militare e quella goderà vivendo nobilmente in casa; e vuol M. Andrea de Isernia che uno nobile, habitando continuo in loco rustico si reputa nobile come habbiamo ditto, onde questo potrà combattere con uno nobile, non obstando che habitasse in loco rustico, perchè l’honore e nobiltade per virtù e per arme acquistata non si perde senza delitto, eccetto quando fusse licentiato da l’esercito per grande delitto commesso o che fusse di là fuggito non finiti li stipendij o quando vivesse vilmente commettendo latrocini o esercitasse mestieri vili appartinenti a lui, o stesse a servigi di persona ignobile, over commettesse viltà & negoci ad huomini nobili, non condegni, chè allhora saria macolata lor nobiltà per arme acquistata, riservando, secondo l’Imperatore, volesse che dessino opera alla cultura, qual è permesso a’ Cavallieri che fossino rimessi a tale esercitio con buona licentia o ad altri negoci honesti; & fa differentia l’Imperatore dalli privilegi dati a quelli ch’esercitano l’arme et quelli che godono gli armigeri che per vinti anni esercitate l’armi, e finito il stipendio o licentiati dallo esercito per causa honesta, andaranno ad ociare et riposare, perchè questi godono privilegi di decurioni & di veterani nobili & sono appellati veterani, ma quelli che sono nel fervore delle armi godono più grandi & diversi privilegi, dati per la legge Imperiale, delli quali privilegi militari parlano più & diverse legge Imperiale. | Habbiamo di sopra esaminato pienamente che uno rustico, overo ignobile, lungo tempo esercitato in arme, potrà provocare per causa del suo honore uno nobile per natura a combattere da persona a persona, ma dubitasi s’uno armigero rustico per natura, esercitato per lungo tempo in arme et dopo lasciato l’esercitio dell’arme non per delitto, nè per mancamento, volontariamente habita in casa sua antica & vorrà richiedere uno nobile per natura a dover combattere con lui per causa d’honore, se lo potrà fare senza ripulsa. La legge civile dispone ch’uno rustico non può provocare uno nobile a battaglia personale; questo provocatore allega che lui è fatto lungo tempo, esercitando l’arte militare et per questo è nobilitato; dall’altra parte si allega all’incontro che gli armigeri godono il privilegio militario infinchè sono in arme & fanno lo esercitio militare, cioè l’arte dell’arme, overo finchè sono in lizza & stanno preparati all’arte militare & questo ha lasciato l’esercitio militare & è ritornato alla pristina rusticità: & hor si dimanda che vorrà la ragione; dico prima, che uno rustico, che harà fatto il mestiero de l’arme longo tempo e che sia accettato in lo esercito per armigero, finchè serà in campo potrà combattere con ogni nobile per natura, in campo e fora de campo. Ma tutte le leggi voleno che dapoi che lassa in tutto mo mestiero de l’arme et andasse in casa sua, non ha quelli privilegij che godeno li armigeri, eccetto s’el va per pace fatta o con licentia o con proposito di ritornare, e quando sta in lista, o preparato a l’arme; e questo harà loco quando serà redutto in casa sua senza mancamento e quando doppo longo tempo esercitate l’arme, per infirmità o vecchiezza o per havere passati vinti anni in lo mestiere, allhora ha privilegio di cavalliero veterano, che non serà tenuto a servicij da persona vile e serà trattato alle pene come nobile & haverà molti altri privilegi per la legge Imperiale; et imperò questo, havendo fatto lo mestiero de l’arme longo tempo, fidelmente, virtuosamente & dapoi andarà senza ignominia et infamia licentiato da’ superiori a reposare a casa, non perderà la nobiltà acquistata per la virtù militare e quella goderà vivendo nobilmente in casa; e vuol M. Andrea de Isernia che uno nobile, habitando continuo in loco rustico si reputa nobile come habbiamo ditto, onde questo potrà combattere con uno nobile, non obstando che habitasse in loco rustico, perchè l’honore e nobiltade per virtù e per arme acquistata non si perde senza delitto, eccetto quando fusse licentiato da l’esercito per grande delitto commesso o che fusse di là fuggito non finiti li stipendij o quando vivesse vilmente commettendo latrocini o esercitasse mestieri vili appartinenti a lui, o stesse a servigi di persona ignobile, over commettesse viltà & negoci ad huomini nobili, non condegni, chè allhora saria macolata lor nobiltà per arme acquistata, riservando, secondo l’Imperatore, volesse che dessino opera alla cultura, qual è permesso a’ Cavallieri che fossino rimessi a tale esercitio con buona licentia o ad altri negoci honesti; & fa differentia l’Imperatore dalli privilegi dati a quelli ch’esercitano l’arme et quelli che godono gli armigeri che per vinti anni esercitate l’armi, e finito il stipendio o licentiati dallo esercito per causa honesta, andaranno ad ociare et riposare, perchè questi godono privilegi di decurioni & di veterani nobili & sono appellati veterani, ma quelli che sono nel fervore delle armi godono più grandi & diversi privilegi, dati per la legge Imperiale, delli quali privilegi militari parlano più & diverse legge Imperiale. | ||
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+ | | '''Capitulo [107] dove se tracta de una bactagliaa partita da cinque in cinque chi delloro deve essere el vencitore.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [108] dove se tracta se uno artifece sequenter larme et non lassando el suo mistiero se po venir{{dec|u|e}} ad bactaglia con altro armigero.''' | ||
| '''Cap. 231. Se uno artefice, seguendo l’arme & non lasciando il suo mestiero, può combattere con un altro armigero.''' | | '''Cap. 231. Se uno artefice, seguendo l’arme & non lasciando il suo mestiero, può combattere con un altro armigero.''' | ||
Dimandasi una questione necessaria al nostro proposito, se in campo saranno huomini negociatori o artefici et vili et faranno esercitio d’arme, essendo a soldo stipendiati, a piede overo a cavallo, come huomini d’armi et faranno l’arte loro, in campo per causa di loro honore provocare a combattere coloro un altro stipendiario nobile, overo huomo d’arme da honore, se potranno essere ricusati: dico sì con tal ragione, perchè quello deve essere ammesso a combattere con un huomo nobile, il quale sia huomo da potere esercitare l’arte militare secondo la legge d’Imperatore; quelli che esercitano arti mechaniche non debbano essere ammessi alla militia armata, nè ad esercitio d’arme, eccetto li nobili, et tutti negotiatori sono prohibiti dalla militia armata et similmente quelli che son proposti ad alcun mercimonio o a tenere statione, commercio o prattica o che faranno mercantie. Et questo dice Avicenna in una constitutione fatta sopra a simili, et fu indotto per ragione che in loro non regna animosità, nè utilità, nè constantia et debili, non disposti et non habili a l’arme et per ogni piccolo disagio vengono ad infermità et sono instabili alla battaglia et codardi et stanno con l’animo più disposto a loro che alla virilità et più alla pecunia et al guadagno che alla militia, et son sottili et non si deve ponere speranza in loro che possino dare la vittoria, ma più presto sono atti a fare consiglio et cogitano di fuggire, secondo che dice Vegetio, De re militare, che da gli eserciti si deveno cacciare da’ porci salvatici, che si possono accompagnare alla militia, che sono forti et robusti; dice Marco Catone havere audito, nel Bello Macedonio, non esser licito dover combattere con quello il qual non fosse armigero; vuole la legge che quello si deve pigliare all’esercitio d’arme che fosse nato di generatione armigera et huomini non nobili non possino esser della militia accettato senza licentia del Principe, perchè lo figlio suole esser simile al padre vile, et li plebei non si ammettano all’arte militare, secondo la legge Imperiale, nè servi o altri obligati di persona senza licenza del superiore et senza se vedere esperimentation grande di loro; et come habbiamo detto in un altro capitolo, huomini nobili ponno esser costretti all’arte militare per il Principe et non quelli che sono vili et ignobili et però potranno esser rifiutati dalli nobili et altri armigeri d’honore et tutti et li sopraditti, perchè sono prohibiti di esercitare la militia armata et saria carico di combatter con loro et la vittoria di questi tali non daria honore, nè fama, nè palma di vittoria. | Dimandasi una questione necessaria al nostro proposito, se in campo saranno huomini negociatori o artefici et vili et faranno esercitio d’arme, essendo a soldo stipendiati, a piede overo a cavallo, come huomini d’armi et faranno l’arte loro, in campo per causa di loro honore provocare a combattere coloro un altro stipendiario nobile, overo huomo d’arme da honore, se potranno essere ricusati: dico sì con tal ragione, perchè quello deve essere ammesso a combattere con un huomo nobile, il quale sia huomo da potere esercitare l’arte militare secondo la legge d’Imperatore; quelli che esercitano arti mechaniche non debbano essere ammessi alla militia armata, nè ad esercitio d’arme, eccetto li nobili, et tutti negotiatori sono prohibiti dalla militia armata et similmente quelli che son proposti ad alcun mercimonio o a tenere statione, commercio o prattica o che faranno mercantie. Et questo dice Avicenna in una constitutione fatta sopra a simili, et fu indotto per ragione che in loro non regna animosità, nè utilità, nè constantia et debili, non disposti et non habili a l’arme et per ogni piccolo disagio vengono ad infermità et sono instabili alla battaglia et codardi et stanno con l’animo più disposto a loro che alla virilità et più alla pecunia et al guadagno che alla militia, et son sottili et non si deve ponere speranza in loro che possino dare la vittoria, ma più presto sono atti a fare consiglio et cogitano di fuggire, secondo che dice Vegetio, De re militare, che da gli eserciti si deveno cacciare da’ porci salvatici, che si possono accompagnare alla militia, che sono forti et robusti; dice Marco Catone havere audito, nel Bello Macedonio, non esser licito dover combattere con quello il qual non fosse armigero; vuole la legge che quello si deve pigliare all’esercitio d’arme che fosse nato di generatione armigera et huomini non nobili non possino esser della militia accettato senza licentia del Principe, perchè lo figlio suole esser simile al padre vile, et li plebei non si ammettano all’arte militare, secondo la legge Imperiale, nè servi o altri obligati di persona senza licenza del superiore et senza se vedere esperimentation grande di loro; et come habbiamo detto in un altro capitolo, huomini nobili ponno esser costretti all’arte militare per il Principe et non quelli che sono vili et ignobili et però potranno esser rifiutati dalli nobili et altri armigeri d’honore et tutti et li sopraditti, perchè sono prohibiti di esercitare la militia armata et saria carico di combatter con loro et la vittoria di questi tali non daria honore, nè fama, nè palma di vittoria. | ||
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+ | | '''Capitulo [109] dove se tracta de uno reposto ad vactaglia per se in tempo de venire alala bactaglia co{{dec|u|m}}mecte delicto se per quello po essere repolsato.''' | ||
| '''Cap. 232. Si tratta di uno che alla battaglia commette delitto, se per quello può esser ricusato.''' | | '''Cap. 232. Si tratta di uno che alla battaglia commette delitto, se per quello può esser ricusato.''' | ||
Disfidati dui armigeri a combattere di tutta oltranza, a tempo d’uno si mostra secondo è solito, et prima che la giornata stabilita, uno di loro commetterà gravissimo delitto, per il quale riporta gran nota d’infamia et tale che se dal principio fosse stato con quella infamia sarebbe stato giustamente ricusato; et venendo la giornata l’altro manda la imbasciata, dicendoli che non delibera combattere con lui per causa che lui è armigero riprovato per tal malvagità et cattività dell’honestà c’ha commessa; quello replica «lo recusare si fa dal principio et non è fatta et ante approvata la mia persona, non la potresti più ripellare, et li patti sono fatti et il giudice ch’è diputato et ha differita la giornata diputata, et alla giornata non s’aspetta se non di combattere»; questo replica «il tempo della nostra disfidatione voi eri bello et netto armigero; dopo, primo che la giornata, voi siete caduto in tale infamia et mancamento»; dimandasi al giudice se tale armigero potrà rifiutare di non combattere con quell’infamiato: dice che sì, perchè non è differentia che uno sia dal principio armigero riprovato e che, di poi fatta la disfida et date le lettere del combattere, sia da recusare et rifiutare per causa di nuovo sopravenuta, la quale non era in tempo del segno accettato; & questo ditermina la legge, che ogni dignità, honore, preeminenza, officio et habilità data si perde per infamia, delitto o crimine, che dopo data la dignità si provasse, et specialmente un Cavalliero venuto alla militia armata, se dopo che sarà scritto al nimero et lista delli Cavallieri commetterà mancamento o delitto militare, sarà con infamia rimesso et deietto dallo esercito et soluto da ogni sacramento che prestato havesse et toltogli li militari segni et stimati, sì come ancora una donna si potrà rinonciare dal marito per adulterio che commettesse dopo fatto il matrimonio, ma non per quello c’havesse fatto innanzi; et così ancora, havendo giurato un Cavalliero ubbidire uno Signore, non sarà tenuto, se quello doppo commettesse delitto, per il quale non fosse da essere ubbidito dalli suoi o scommunicato; et ogni promessa & giuramento, s’intende stando la cosa in quel stato che sarà quando si fa o riservando la causa nuova che sopravvenisse; et il Decretale dice: “se io prometto sposare una donna et dopo gli fosse cavato un occhio, non sarò tenuto farlo”; et Seneca alli libri de’ beneficij dice: “acciocchè l’huomo sia tenuto fare ciò che promesso haverà, è necessario che non sia innovata cosa, per la quale il promissitore non sarà tenuto di farlo”; et imperò per nuovo mancamento sopraveniente potrà esser ricusato et rifiutato. | Disfidati dui armigeri a combattere di tutta oltranza, a tempo d’uno si mostra secondo è solito, et prima che la giornata stabilita, uno di loro commetterà gravissimo delitto, per il quale riporta gran nota d’infamia et tale che se dal principio fosse stato con quella infamia sarebbe stato giustamente ricusato; et venendo la giornata l’altro manda la imbasciata, dicendoli che non delibera combattere con lui per causa che lui è armigero riprovato per tal malvagità et cattività dell’honestà c’ha commessa; quello replica «lo recusare si fa dal principio et non è fatta et ante approvata la mia persona, non la potresti più ripellare, et li patti sono fatti et il giudice ch’è diputato et ha differita la giornata diputata, et alla giornata non s’aspetta se non di combattere»; questo replica «il tempo della nostra disfidatione voi eri bello et netto armigero; dopo, primo che la giornata, voi siete caduto in tale infamia et mancamento»; dimandasi al giudice se tale armigero potrà rifiutare di non combattere con quell’infamiato: dice che sì, perchè non è differentia che uno sia dal principio armigero riprovato e che, di poi fatta la disfida et date le lettere del combattere, sia da recusare et rifiutare per causa di nuovo sopravenuta, la quale non era in tempo del segno accettato; & questo ditermina la legge, che ogni dignità, honore, preeminenza, officio et habilità data si perde per infamia, delitto o crimine, che dopo data la dignità si provasse, et specialmente un Cavalliero venuto alla militia armata, se dopo che sarà scritto al nimero et lista delli Cavallieri commetterà mancamento o delitto militare, sarà con infamia rimesso et deietto dallo esercito et soluto da ogni sacramento che prestato havesse et toltogli li militari segni et stimati, sì come ancora una donna si potrà rinonciare dal marito per adulterio che commettesse dopo fatto il matrimonio, ma non per quello c’havesse fatto innanzi; et così ancora, havendo giurato un Cavalliero ubbidire uno Signore, non sarà tenuto, se quello doppo commettesse delitto, per il quale non fosse da essere ubbidito dalli suoi o scommunicato; et ogni promessa & giuramento, s’intende stando la cosa in quel stato che sarà quando si fa o riservando la causa nuova che sopravvenisse; et il Decretale dice: “se io prometto sposare una donna et dopo gli fosse cavato un occhio, non sarò tenuto farlo”; et Seneca alli libri de’ beneficij dice: “acciocchè l’huomo sia tenuto fare ciò che promesso haverà, è necessario che non sia innovata cosa, per la quale il promissitore non sarà tenuto di farlo”; et imperò per nuovo mancamento sopraveniente potrà esser ricusato et rifiutato. | ||
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+ | ! <p>{{rating|c}}<br/>by [[Michael Chidester]]</p> | ||
+ | ! <p>[[De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo)|First Edition]] [Latin] (1476){{edit index|De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo) 1476.pdf}}<br/>Transcribed by [[Kendra Brown]]</p> | ||
+ | ! <p>First Edition [Italian] (1476)<br/>Transcribed by [[Michael Chidester]]</p> | ||
+ | ! <p>Marozzo's Version (1536)<br/></p> | ||
+ | ! <p>Spanish Translation (1544){{edit index|Libro llamado batalla de dos (Paride del Pozzo) 1544.pdf}}<br/>Transcribed by [[Michael Chidester]]</p> | ||
+ | ! <p>English Translation (1580){{edit index|Questions of Honor and Arms (MS V.b.104)}}<br/>Transcribed by [[David Kite]]</p> | ||
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+ | | '''Capitulo [110] si facto il pacto de ro{{dec|u|m}}pere dece lanze et luno castara per incontro sela bactagliaa he finita no{{dec|u|n}} aspectando de finire derompere ledece lanze.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [111] dove se tracta de dui che in un medesmo punto luno tirando allaltro se ucifero chi deve essere el vencetore.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [112] nel quale se tracta de dui cavalieri disfida ti accavallo de li quali luno smontao appiede et occise lo suo nemico se iustamente deve essere vencitore.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [113] de dui conbactenti quali haviaano capitulati che quillo che cascasse dal cavallo fosse dalaltro soperato cascando in sieme al primo in contro quale de quilli deve essere vincitore.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [114] de dui cavalieri intrati in ca{{dec|u|m}}po ad oltra{{dec|u|n}}za et luno boctato ad terra havea presolo frenzo del cavallo delo nemico et percossolo cavallo per fare cascare el cavaliero et lo iudice sparte la bactaglia.''' | ||
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+ | | '''Capitulo [115] de dui intrate in bactaglia de oltranza et luno bocta per terra laltro equillo che sta de socto disse io so venzuto et dede una ferita al sopra stante et admazolo quaal sarra il vencitore.''' | ||
| '''Cap. 233. Come dui armigeri combattendo, l’uno disse all’altro «io mi rendo!» & strinse la spada & uccise il nemico.''' | | '''Cap. 233. Come dui armigeri combattendo, l’uno disse all’altro «io mi rendo!» & strinse la spada & uccise il nemico.''' | ||
Duoi armigeri combattendo in lizza a tutto transito & dicendo l’uno all’altro «renditi a me!», a cui l’altro rispose «io mi rendo!» &, dicendo tali parole, subito stingendo la spada, senz’altra risposta in tal modo percosse il nemico, che incontinente morto lo abbattè. Onde dubitandosi se quello c’haveva lo nimico ucciso, in tal caso meritassi esser lo vincitore; & essendo molte ragioni in contrario che non solo vincitore, anzi perditore rimanessi colui che per confessione di sua propria bocca, per prigione al suo nimico si vendette, chè di ragione non puote, nè deve il suo superatore più offendere, attento che per le parole l’huomo si liga; & dice M. Angelo da Perosa che tanto vale a dire «io mi rendo a te», quanto se dicessi «io ti dono la fede»; però si potria rispondere all’incontro che quando gli fatti non corrispondenti alle parole adoperati, ancora che dicessi «io mi rendo», mostrando che l’animo nella mente si consentiva, non si giudica esser renduto; attento che in tempo che le parole pronontiò, per gli fatti mostrò l’animo di quello esser molto alieno & perchè nel combatter, più che le parole si dinota, per causa che la mente è quella che fa gli fatti adoperare & quello che è nella mente, nelli fatti si dimostra & li signali son quelli che la intentione dell’animo manifesta & nell’huomo più la volontà che le parole si dinota. Onde havendo il renduto percussore, dicendo di parole, il suo nimico ammazzato, come vuole la legge, da più si stima ciò ch’è fatto & non parole dimostra; & Tullio dice: “dove sono li testimoni delli fatti, non son necessari quelli delle parole”; & più presto per li fatti le parole che non le parole per li fatti si comprende la volontà dell’animo, perchè li fatti più volte con le parole non si accordano & per quello solo li fatti notando s’hanno da seguire; & havendo li fatti l’homicidio è seguito, dimostrano le parole esser state derisorie & ditte per inganno, sì come per effetto gli atti hanno dimostrato, chè molte volte per parole la volontà dell’animo si recita, sì come nell’esempio del nostro Redentore Giesù Christo: si dinota che li perfidi Giudei diceano con false saluti: “Dio ti salvi, Re delli Giudei!”, dicendo con perverso animo tale vilissime parole a tanto Signore, condicente il suo santissimo & venerando volto con fortissime guanciate percoteano, dimostrando le parole dalli fatti esserne molto da lontano; onde dalle parole lo effetto si considera, perciocchè si presume ogni huomo essere dal principio come fu alla fine & perciò dicendo l’effetto per lo effetto non esser vero si dimostrano, sì come avviene che uno spesso farà il contrario di ciò che per esso è stato ragionato. Onde concludendo, dico quello esser vincitore che per gli fatti & non per parole la generosità dell’animo ha dimostrato; però si ha da vedere se colui che si rende, da lì a un certo spatio di tempo & non in quell’istante havesse percosso il suo nimico, dopo havendo accettato la sua disditta, & per traditore & per perditore si condanna, che per li segni si può chiaramente conoscere, colui il quale accetta la redentione del nimico, li quali sono questi: non offendendo più, ditte le parole, il suo renduto, over recessandosi indrieto, riponendo la spada, togliendo l’offesa; questi sariano segni havere accettato il nimico per perditore; & quello il quale offendesse da lì a un certo spacio di tempo il suo vincitore commetteria tradimento et premio di vittoria non meritaria; ma volendo dicidere il presente caso, al giudicio de’ preposti et de’ spettanti si rimette, quale haveranno potuto vedere & intendere gli atti & parole con qual modo & dispositione furno adoprate et prononciate, se’l ferire fu per alcun spatio dopo accettata la submissione, o di continente ad uno tempo li fatti con le parole ditte. | Duoi armigeri combattendo in lizza a tutto transito & dicendo l’uno all’altro «renditi a me!», a cui l’altro rispose «io mi rendo!» &, dicendo tali parole, subito stingendo la spada, senz’altra risposta in tal modo percosse il nemico, che incontinente morto lo abbattè. Onde dubitandosi se quello c’haveva lo nimico ucciso, in tal caso meritassi esser lo vincitore; & essendo molte ragioni in contrario che non solo vincitore, anzi perditore rimanessi colui che per confessione di sua propria bocca, per prigione al suo nimico si vendette, chè di ragione non puote, nè deve il suo superatore più offendere, attento che per le parole l’huomo si liga; & dice M. Angelo da Perosa che tanto vale a dire «io mi rendo a te», quanto se dicessi «io ti dono la fede»; però si potria rispondere all’incontro che quando gli fatti non corrispondenti alle parole adoperati, ancora che dicessi «io mi rendo», mostrando che l’animo nella mente si consentiva, non si giudica esser renduto; attento che in tempo che le parole pronontiò, per gli fatti mostrò l’animo di quello esser molto alieno & perchè nel combatter, più che le parole si dinota, per causa che la mente è quella che fa gli fatti adoperare & quello che è nella mente, nelli fatti si dimostra & li signali son quelli che la intentione dell’animo manifesta & nell’huomo più la volontà che le parole si dinota. Onde havendo il renduto percussore, dicendo di parole, il suo nimico ammazzato, come vuole la legge, da più si stima ciò ch’è fatto & non parole dimostra; & Tullio dice: “dove sono li testimoni delli fatti, non son necessari quelli delle parole”; & più presto per li fatti le parole che non le parole per li fatti si comprende la volontà dell’animo, perchè li fatti più volte con le parole non si accordano & per quello solo li fatti notando s’hanno da seguire; & havendo li fatti l’homicidio è seguito, dimostrano le parole esser state derisorie & ditte per inganno, sì come per effetto gli atti hanno dimostrato, chè molte volte per parole la volontà dell’animo si recita, sì come nell’esempio del nostro Redentore Giesù Christo: si dinota che li perfidi Giudei diceano con false saluti: “Dio ti salvi, Re delli Giudei!”, dicendo con perverso animo tale vilissime parole a tanto Signore, condicente il suo santissimo & venerando volto con fortissime guanciate percoteano, dimostrando le parole dalli fatti esserne molto da lontano; onde dalle parole lo effetto si considera, perciocchè si presume ogni huomo essere dal principio come fu alla fine & perciò dicendo l’effetto per lo effetto non esser vero si dimostrano, sì come avviene che uno spesso farà il contrario di ciò che per esso è stato ragionato. Onde concludendo, dico quello esser vincitore che per gli fatti & non per parole la generosità dell’animo ha dimostrato; però si ha da vedere se colui che si rende, da lì a un certo spatio di tempo & non in quell’istante havesse percosso il suo nimico, dopo havendo accettato la sua disditta, & per traditore & per perditore si condanna, che per li segni si può chiaramente conoscere, colui il quale accetta la redentione del nimico, li quali sono questi: non offendendo più, ditte le parole, il suo renduto, over recessandosi indrieto, riponendo la spada, togliendo l’offesa; questi sariano segni havere accettato il nimico per perditore; & quello il quale offendesse da lì a un certo spacio di tempo il suo vincitore commetteria tradimento et premio di vittoria non meritaria; ma volendo dicidere il presente caso, al giudicio de’ preposti et de’ spettanti si rimette, quale haveranno potuto vedere & intendere gli atti & parole con qual modo & dispositione furno adoprate et prononciate, se’l ferire fu per alcun spatio dopo accettata la submissione, o di continente ad uno tempo li fatti con le parole ditte. |
Revision as of 01:02, 27 September 2023
Paride del Pozzo | |
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Also known as | Paridis de Puteo |
Born | 1410 Pimonte |
Died | 1493 Napoli |
Resting place | Chiesa d'Sant Agostino |
Occupation | Jurist |
Citizenship | Neapolitan |
Alma mater | University of Naples |
Patron | Alfonso V of Aragon |
Influenced | Achilles Marozzo |
Genres | Legal treatise |
Language | |
Notable work(s) | De duello (1476) |
Paride del Pozzo (called il Puteo; Latin: Paridis or Paris de Puteo) (1410-1493) was 15th century Italian jurist. He was born in Pimonte in the Duchy of Amalfi, from a family of Piedmontese origin.[1] He moved to Napoli early in life, where he began his study of the law; he went on to study at universities in Roma, Bologna, Firenze, and Perugia. Upon his return to Napoli, he entered the service of Alfonso V of Aragon ("the Magnanimous"), king of Napoli, and served in positions including General Auditor and General Inquisitor.
Later in his career, Pozzo wrote and published various legal treatises; perhaps owing to their position at the very beginning of the history of printing, they were reprinted many times over the subsequent century. In 1472-73, he published De syndicatu officialium, a treatise on forensic evidence. He followed this in 1476-77 with De duello, vel De re militari in singulari certamine ("On the Duel, or On Military Matters in Single Combat"). This treatise is particularly important due to its detailed descriptions of dueling laws and customs, which help establish the context of 15th century fighting systems, and also of incidents from specific historical duels, which shed light on how fighting looked in practice.
Pozzo died in 1493 and was buried in the Chiesa d'Sant Agostino in Napoli.
Contents
Treatise
For further information, including transcription and translation notes, see the discussion page.
Work | Author(s) | Source | License |
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Translation | Michael Chidester | Wiktenauer | |
Latin (1476) | Kendra Brown | Index:De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo) | |
Italian (1521) | Michael Chidester | Index:Duello, libro de re (Paride de Pozzo) | |
Spanish (1544) | Michael Chidester | Index:Libro llamado batalla de dos (Paride del Pozzo) | |
English (1580) | David Kite | Index:Questions of Honor and Arms (MS V.b.104) |